Licenziamenti collettivi: accertamento della legittimità della procedura se circoscritta a un solo sito aziendale
16 Ottobre 2024
Massima Il potere datoriale di limitare la platea dei lavoratori interessati alla riduzione del personale con riguardo a un determinato reparto/settore/sede territoriale, presuppone – per la legittimità dell'operazione ai sensi dell'art. 5, comma 1, L. n. 223/1991 – l'indicazione, nell' avviso di avviamento della procedura, sia delle ragioni che giustificano tale limitazione, sia delle ragioni per cui non si ritenga di ovviare a ciò con trasferimenti degli interessati ad altre unità produttive, in presenza di fungibilità delle mansioni espletate. L'efficacia sanante – di vizi della procedura – dell'accordo sindacale raggiunto ex art. 4, comma 12, L. n. 223 (secondo le modifiche apportate dalla L. n. 92/2012) si realizza solo nel caso in cui risulti, dall' accordo medesimo, che le parti hanno appositamente considerato detti vizi, manifestando la volontà di sanarli: ciò è tuttavia possibile solo con riguardo ai vizi formali e non a quelli sostanziali, quali i vizi afferenti ai criteri di scelta dei lavoratori da licenziare. Il caso Breve premessa La sentenza in oggetto attiene all'applicazione della normativa sui licenziamenti collettivi, di cui alla L. n. 223/1991, che impone determinati vincoli procedurali e sostanziali alle imprese (con più di 15 dipendenti) che “in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno 5 licenziamenti, nell'arco di 120 giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell'ambito del territorio di una stessa provincia” (art. 24 comma 1). Come noto, nel caso di licenziamenti collettivi, a differenza dei licenziamenti individuali, il sindacato giudiziale – che può portare all'accertamento dell'illegittimità dell'espulsione del lavoratore interessato – non si incentra (usualmente) sulla verifica della sussistenza delle esigenze tecnico-produttive, ed organizzative alla base del licenziamento, ma del rispetto delle previste procedure propedeutiche e dei criteri di selezione del personale da estromettere. Particolarmente questi ultimi (criteri) rappresentano un aspetto delicato e nevralgico, perché atti ad impattare sulle posizioni giuridiche individuali, riferendo a uno o più lavoratori, piuttosto che ad altri, le conseguenze dell'iniziativa espulsiva, cioè, della esigenza imprenditoriale sottesa. I criteri di selezione del personale sono, come noto, indicati nell'art. 5 L. n. 223 cit., norma che – in riferimento alla fattispecie esaminata nella sentenza – assume particolare rilevanza in quanto afferma che “... L'individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico-produttive, ed organizzative del complesso aziendale …” e che, quindi, in via di principio, esclude si possa procedere limitatamente ai lavoratori di un determinato plesso dell'impresa, salvo che ne vengano dimostrati i presupposti giustificativi. La questione giuridica Nel caso in oggetto, il lavoratore ricorrente aveva anzitutto ottenuto soddisfazione nei due gradi di merito; in particolare la Corte di Appello aveva rilevato, in senso a lui favorevole, come la comunicazione aziendale di avvio della procedura di licenziamento non contenesse, da un lato, l'indicazione (necessaria per la legittimità dell'iniziativa) delle ragioni per le quali l'ambito in cui operare la scelta dei lavoratori da licenziare fosse stato limitato ad un determinato sito aziendale (l'unità produttiva cui apparteneva il ricorrente) e, dall'altro, le ragioni per le quali i lavoratori di tale sito non fossero ritenuti in grado di svolgere mansioni fungibili con quelle dei lavoratori degli altri siti aziendali. Tali evidenze, ad avviso del giudice di secondo grado, non potevano ritenersi superate in forza del conclusivo accordo d'esodo definito con le OO.SS. aziendali. Avverso tale sentenza l'azienda ricorreva in Cassazione articolando una serie di motivi con cui intendeva, complessivamente, avvalorare l'errata applicazione della normativa di riferimento (artt. 4,5,24 della L. 223/1991). Ciò sia sostenendo l'assenza di vizi di forma nella comunicazione di apertura della procedura, nella quale, asseriva la ricorrente, non è richiesto sia comprovata la infungibilità (altrove) delle mansioni dei lavoratori impiegati nel sito ove sono attuati i licenziamenti; sia ribadendo l'efficacia sanante dell'accordo sindacale concluso al termine della procedura; sia affermando che, a ogni modo, la fattispecie non può portare a una tutela reintegratoria, ma eventualmente solo indennitaria. La soluzione La sentenza di Cassazione La Cassazione, a seguito di un dettagliato esame dei motivi di ricorso e in conformità di un consolidato orientamento di legittimità, ne dispone il rigetto e conferma la condanna alla reintegrazione del lavoratore interessato. In tal senso, viene anzitutto ricordato come, secondo il costante indirizzo (v. Cass. nn. 1512/2024 e 5373/2019), il potere datoriale di limitare la platea dei lavoratori interessati alla riduzione del personale, con riguardo a un determinato reparto/settore/sede territoriale – per essere legittimamente esercitato – presuppone l'indicazione nella comunicazione di avviamento della procedura, sia di comprovate ragioni che giustificano tale limitazione, sia di altrettanto congrue ragioni per cui non si possa ovviare a ciò con trasferimenti degli interessati ad altre unità produttive (restando irrilevanti eventuali maggiori oneri connessi al trasferimento). In ordine, poi, alla ritenuta efficacia sanante dell'accordo sindacale raggiunto in esito alla procedura, la Cassazione rammenta anzitutto che, ai sensi dell'art. 4, comma 12, L. n. 223 cit., secondo le modifiche apportate dalla L. n. 92/2012, “eventuali vizi della comunicazione possono essere sanati, ad ogni effetto di legge, nell'ambito di un accordo sindacale concluso nel corso della procedura”. Tale previsione va rettamente intesa nel senso che dal raggiunto accordo – perché produca l'effetto di legge – deve risultare una volontà delle parti univocamente diretta a sanare vizi appositamente indicati, il che è escluso sia avvenuto nel caso di specie. D'altra parte – è rilievo dirimente – la sanatoria può ammettersi a fronte di vizi formali della comunicazione, ma nel caso di specie si tratta di vizi sostanziali. Vizi sostanziali che concretandosi in una violazione dei criteri di scelta ex art. 5, comma 1, L. n. 223 comportano, altresì, la tutela reintegratoria (ex art. 18, comma 4, L. n. 300/1970), atteso che quella indennitaria è circoscritta ad ipotesi di violazione di vizi solo formali. Osservazioni La sentenza in esame non contiene elementi innovativi rispetto a precedenti, uniformi approdi della giurisprudenza di legittimità e tuttavia rappresenta una efficace sintesi dei profili di rilievo nella materia; in quanto tale offre utili spunti per valutare e riflettere, fra l'altro, su: i) quando possa ritenersi legittima una procedura di licenziamento circoscritta ad una sede e non estesa al complesso aziendale; ii) quali limiti incontri l'accordo sindacale sanante di cui al novellato art. 4, comma 12, L. n. 223/1991. Sotto il primo profilo va osservato come, alla luce della disciplina della materia, la limitazione, da parte datoriale, della procedura d'esodo ad un unico sito aziendale (o ad alcuni) rappresenta necessariamente l'eccezione, essendo ammissibile solo al ricorrere di presupposti assai stringenti. In pratica, risulta debbano sussistere condizioni oggettive tali per cui nel sito considerato vengono svolte, dai lavoratori interessati, attività non omogenee con quelle svolte negli altri siti e che, più precisamente, i lavoratori ivi impiegati svolgano mansioni differenti e infungibili. Esempio di ciò può darsi nell'ipotesi di azienda che destina un'autonoma unità produttiva ad attività ausiliaria di servizio di trasporto delle merci prodotte, unità nella quale sono impiegati lavoratori con qualifica di autisti, infungibile rispetto al lavoro di produzione svolto nelle altre unità. Quanto poi al raggiungimento di un accordo sindacale conclusivo della procedura, ne va certamente esclusa l'efficacia sanante ove difettino i presupposti atti ad avvalorare la limitazione della procedura d'esodo a un unico sito aziendale. D'altra parte, come evidenziato dalla Cassazione, tale accordo può riguardare vizi formali della procedura e non invece vizi sostanziali, quali quelli afferenti all'applicazione dei criteri di scelta ex art. 5, comma 1, cit. Tale norma radica nella posizione individuale di ciascun lavoratore interessato un diritto (o se si vuole una aspettativa di diritto) che certamente non può essere pregiudicato attraverso un'intesa ex art. 4, comma 12 cit. Peraltro, in via ipotetica, è immaginabile il caso in cui le parti, a fronte di una situazione obiettivamente incerta o controversa, con accordo sindacale si diano atto della sussistenza dei presupposti che giustificano la limitazione del licenziamento a un determinato sito produttivo (e della infungibilità o limitata fungibilità delle mansioni svolte dai lavoratori ivi impiegati). Si tratterebbe di fattispecie assimilabile, in certa misura, a un negozio di accertamento, che in quanto tale non verrebbe però a “compromettere” le posizioni individuali dei lavoratori interessati, in difetto di corrispondenza fra quanto accertato e la situazione reale (es. error facti). |