Contratti di appalto di servizi: misure cautelari personali per indebita compensazione di crediti inesistenti operata dalla società che fornisce i lavoratori

17 Ottobre 2024

In sede di decisione sull'applicabilità di misure cautelari, si discute della responsabilità penale del rappresentante legale di una società che abbia utilizzato, mediante la stipula di contratti di appalto, lavoratori dipendenti formalmente assunti da società fittizie le quali, obbligate al versamento degli oneri previdenziali e fiscali, hanno in realtà omesso il pagamento delle somme, compensandole con crediti inesistenti. Dall'analisi condotta, la Corte di cassazione ha escluso che l'ipotetico vantaggio economico anche delle imprese appaltatrici e la responsabilità solidale dell'impresa committente costituissero gravi indizi di colpevolezza tali da giustificare il concorso nella fattispecie di indebita compensazione da parte dell'impresa utilizzatrice dei lavoratori.

Massima

In sede cautelare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza deve essere valutata sia con riguardo agli elementi oggettivi del reato sia con riguardo all'elemento soggettivo, il cui apprezzamento deve tenere conto di tutti gli elementi accertati.

Va poi evidenziato che la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza a fini cautelari deve tenere conto della regola di giudizio a favore dell'imputato nel caso di dubbio, in quanto, se due significati possono ugualmente essere attribuiti a un dato probatorio, deve privilegiarsi quello più favorevole all'imputato, che può essere accantonato solo ove risulti inconciliabile con altri univoci elementi di segno opposto.”

Il caso

Misure cautelari personali nel caso di indebita compensazione di crediti inesistenti

I fatti narrati nella sentenza in commento riconducono all'utilizzo da parte della società “Brico Market Srl”, di cui l'imputato era rappresentante legale ed amministratore unico, di personale formalmente assunto da società fittizie, le quali mettevano a disposizione i prestatori di lavoro, restando obbligate per i debiti contributivi e fiscali connessi ai rapporti di lavoro subordinati e, però, omettendo di pagare le somme dovute per tali titoli attraverso il ricorso alla compensazione delle stesse con crediti inesistenti.

La fattispecie incriminatrice veniva individuata in quella contemplata dall'art. 10-quater del D. Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000, nei limiti del concorso dell'art. 110 c.p. da parte di colui che aveva utilizzato i dipendenti di società fittizie in forza di un contratto di appalto di servizi.

Per quello che qui interessa, il Tribunale di Caltanisetta, pronunciando in materia di misure cautelari personali, aveva disposto l'applicazione della misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare l'attività di impresa e di rivestire uffici direttivi delle persone giuridiche per la durata di sei mesi nei confronti del titolare dell'impresa utilizzatrice che avrebbe, secondo il Giudice, concorso nella compensazione di crediti inesistenti materialmente effettuate dalle società fittizie.

L'imputato presentava ricorso per cassazione che aveva come effetto quello dell'annullamento dell'ordinanza emessa e del rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Caltanisetta secondo i principi qui di seguito riferiti e commentati.

La questione

Elementi di colpevolezza dell'impresa utilizzatrice di manodopera nell'indebita compensazione di crediti inesistenti operata dalla società che fornisce i lavoratori

In sede di applicazione di misure cautelari personali, ci si domanda quali siano i gravi indizi di colpevolezza che possano determinare un concorso di colui che si sia avvalso del personale messo a disposizione da società fittizie nella condotta criminosa di quest'ultime che, in particolare, abbiano effettuato compensazioni mediante l'utilizzo di crediti inesistenti ai fini del pagamento di oneri fiscali e previdenziali.

Le soluzioni giuridiche

Criteri per la valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza

Di norma, i contribuenti possono eseguire i versamenti delle imposte, dei contributi INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, mediante la compensazione dei crediti dello stesso periodo vantati nei confronti dei medesimi soggetti (cfr. art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241).

Il problema sorge allorquando la compensazione possa risultare indebita, eseguita utilizzando “crediti inesistenti” e/o “crediti non spettanti”.

L'art. 10-quater del d.lgs. n. 74/2000 punisce l'indebita compensazione di chiunque non versi le somme dovute mediante l'utilizzo di “crediti non spettanti” o “crediti inesistenti” per un importo annuo superiore a cinquantamila euro.

Se i crediti si qualificano come “non spettanti” allora l'autore della condotta viene punito con la reclusione da sei mesi a due anni, mentre se i crediti sono da ritenersi “inesistenti” la reclusione è da un anno e sei mesi a sei anni.

La Corte di cassazione in esame, al fine di dirimere la controversa posizione di colui che utilizza i lavoratori forniti da società che operano le indebite compensazioni per il pagamento degli oneri fiscali e previdenziali relativi ai contratti dei dipendenti, richiama due principi ormai consolidati nel nostro ordinamento.

Innanzitutto, in sede di misure cautelari la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza deve essere valutata sia con riguardo agli elementi oggettivi del reato sia con riguardo all'elemento soggettivo, il cui apprezzamento deve tenere conto di tutti gli elementi accertati (cfr. per tutte, sez. V, 28 novembre 2013, n. 7465, dep. 2014 e sez. V, 23 settembre 2004, n. 42368).

Inoltre, la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza a fini cautelari deve tenere conto della regola di giudizio a favore dell'imputato nel caso di dubbio, in quanto, se due significati possono ugualmente essere attribuiti a un dato probatorio, deve privilegiarsi quello più favorevole all'imputato, che può essere accantonato solo ove risulti inconciliabile con altri univoci elementi di segno opposto (cfr., tra le tante, sez. III, 22 marzo 2023, n. 31022 e sez. III, 11 gennaio 2019, n. 17527).

Analizzando il caso di specie, gli indizi a carico del rappresentante legale della "B.M. Srl erano dati: a) dalla consapevolezza che l'accordo per "esternalizzare" i dipendenti doveva necessariamente tradursi in un risultato utile anche per l'appaltatore; b) dalla responsabilità solidale del committente imprenditore e del datore di lavoro, per il trattamento retributivo, per i contributi previdenziali e per i premi assicurativi dovuti dall'appaltatore e da eventuali subappaltatori nei confronti dei loro dipendenti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto di servizi, ed entro il termine di due anni dalla cessazione dell'appalto, a norma dell'art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276/2003.

In applicazione della regola di giudizio a favore dell'indagato in caso di dubbio, affermata dalla giurisprudenza anche con specifico riguardo alla materia delle misure cautelari personali, la Corte di cassazione esclude che, nel caso di specie, sussistano gravi indizi di colpevolezza perché possa ritenersi configurabile il concorso nelle fattispecie di indebita compensazione da parte dell'impresa utilizzatrice dei lavoratori.

Per un verso, la consapevolezza in ordine alla ricerca di vantaggi economici anche da parte delle imprese appaltatrici, le quali assumevano i lavoratori e li mettevano a disposizione della "B.M. Srl", non presuppone necessariamente la consapevolezza del ricorso a compensazioni mediante l'utilizzo di crediti inesistenti. Invero, risparmi di costi potevano provenire da trattamenti deteriori dei dipendenti con riguardo a retribuzioni, orari di lavoro, compensi per straordinari, permessi e trattamenti di fine rapporto.

Sotto il profilo della responsabilità solidale di cui all'art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276/2003, se quest'ultimo evidenzia l'interesse dell'impresa committente dell'appalto di servizi a ricevere rassicurazioni sul pagamento dei debiti retributivi e previdenziali, di per sé, non implica, comunque, un indizio univoco a carico dei suoi gestori in ordine alla loro consapevolezza di partecipare a condotte di evasione.

In ultima analisi, non è stato rilevato dalla Corte di cassazione un pericolo di reiterazione di condotte analoghe in quanto la "B.M. Srl" ha interrotto ogni rapporto con le ditte appaltatrici indicate nelle imputazioni da tempo, e, anzi, ha assunto direttamente persone prima dipendenti di tali ditte.

Osservazioni

Distinzione tra “crediti inesistenti” e “crediti non spettanti”

A seguito della riforma operata sul sistema sanzionatorio con il d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, la rilevanza dell'indebita compensazione varia a seconda che si tratti di "crediti inesistenti" o di "crediti non spettanti".

La citata disciplina è intervenuta modificando sia la normativa penalistica prevista dall'art. 10-quater del d.lgs. n. 74/2000 che quella tributaria dell'art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997.

Almeno fino alla successiva e recentissima revisione del sistema sanzionatorio tributario di giugno 2024 di cui si dirà a breve, parte della giurisprudenza di legittimità (si v. Cass. pen., sez. III, del 21 febbraio 2023, n. 16353) tendeva a voler tenere distinta la nozione penalistica da quella tributaria sul presupposto che l'art. 10-quater del d.lgs. n. 74/2000 non richiamava espressamente l'art. 13 del d.lgs. n. 471/1997.

La citata sentenza n. 16353 del 21 febbraio 2023 evidenziava infatti che, proprio perché le norme erano state modificate con lo stesso testo normativo, il mancato richiamo dell'art. 13 nella fattispecie penale di indebita compensazione costituiva un forte argomento a sostegno della inapplicabilità della definizione di "credito inesistente" contenuta nella normativa tributaria.

Diversamente, si interpretava la locuzione "crediti inesistenti", contenuta nel comma 2 dell'art. 10-quater del D. Lgs. n. 74 del 2000 proprio alla luce dell'art. 13 del d.lgs. n. 471/1997, considerando che il comma 5 del citato art. 13 prevedeva come inesistente il credito in relazione al quale mancava, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non era riscontrabile mediante i controlli automatici previsti dalla normativa tributaria di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600/1973 e all'art. 54-bis del d.P.R. n. 633/1972 e per cui veniva applicata la sanzione amministrativa pecuniaria dal 100 al 200% della misura del credito stesso.

Mentre il “credito non spettante” veniva regolamentato dal comma 4 dell'art. 13 del d.lgs. n. 471/1997 con la minor sanzione del 30% per i casi di utilizzo credito di imposta in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità previste dalla legge.  

In ambito tributario, la dicotomia credito inesistente/credito non spettante era fatto noto dalle sentenze gemelle della Cassazione civile n. 34443, n. 34444 e n. 34445 del 2021, depositate il 16 novembre 2021. Le due categorie erano strutturalmente distinte e, sul piano logico, alternative: il credito era inesistente oppure esisteva ma non era spettante.

In ambito penalistico, con sentenza del 3 marzo 2022, n. 7615, la Corte di Cassazione penale, Sez. III, partendo proprio dal contenuto delle sentenze n. 34444 - 34445 e 34446 della Sezione civile, aveva ritenuto: La Corte rileva che la definizione di credito inesistente si desume dal d.lgs. n. 471/1997, art. 13, comma 5, come novellato nel 2015, secondo cui si considera tale il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile attraverso i controlli di cui al d.P.R. n. 600/1973, artt. 36-bis e 36-ter e al d.P.R. n. 633/1972, art. 54-bis. Devono dunque ricorrere entrambi i requisiti per considerare inesistente il credito: a) deve mancare il presupposto costitutivo (ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili, finanziari o patrimoniali del contribuente); b) l'inesistenza non deve essere riscontrabile attraverso controlli automatizzati o formali o dai dati in anagrafe tributaria. Ne deriva, a contrario, che se manca uno di tali requisiti, il credito deve ritenersi non spettante”.

Detto ciò, occorre però considerare che, recentemente, è stata varata la revisione del sistema sanzionatorio tributario con il d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87.

L'art. 13 e, per quello che ci compete, il comma 4 ed il comma 5 del d.lgs. n. 471/1997 sono stati modificati e la nozione di credito inesistente e/o non spettante è stata così finalmente uniformata sia per l'ambito tributario che per quello penale.

A questo punto, per le violazioni commesse dal 1° settembre 2024, si considerano “inesistenti” i crediti previsti dall'art. 1, comma 1, g-quater del d.lgs. n. 74/2000, come modificato, ovverossia:

“1) i crediti per i quali mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento; 2) i crediti per i quali i requisiti oggettivi e soggettivi di cui al numero 1) sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici”.

Nel caso del punto uno la sanzione amministrativa pecuniaria sarà pari al 70% del credito utilizzato in compensazione, mentre nel caso del punto due la medesima sarà aumentata dalla metà al doppio.

Si considerano “non spettanti” i crediti previsti dall'art. 1, comma 1, g-quinquies del d.lgs. n. 74/2000, come modificato, ovverossia:

“1) i crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quelli fruiti in misura superiore a quella stabilita dalle norme di riferimento; 2) i crediti che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito; 3) i crediti utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi espressamente previsti a pena di decadenza.”.

Nel caso di utilizzo di un “credito non spettante” si applicherà, salvo diverse disposizioni speciali, la sanzione amministrativa pecuniaria pari al 25% del credito utilizzato in compensazione.

Con riferimento allo specifico ambito penalistico, come in precedenza, se i crediti si qualificano come “non spettanti” l'autore della condotta verrà punito con la reclusione da sei mesi a due anni, mentre se i crediti sono da ritenersi “inesistenti” la reclusione sarà da un anno e sei mesi a sei anni.

In aggiunta però, l'art. 1, comma 1, lett. d) del d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87 ha previsto la punibilità dell'agente per il reato di cui al comma 1 dell'art. 10-quater del d.lgs.. n. 74/2000 riguardante le indebite compensazioni per i crediti non spettanti” esclusa “quando, anche per la natura tecnica delle valutazioni, sussistono condizioni di obiettiva incertezza in ordine agli specifici elementi o alle particolari qualità che fondano la spettanza del credito”.

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