Nullità del ricorso nel rito del lavoro e rimedi: orientamenti di legittimità e di merito
Antonio Lombardi
18 Ottobre 2024
Quali sono i casi di nullità del ricorso introduttivo del processo del lavoro e, soprattutto, quali sono i rimedi? Differenze tra la giurisprudenza di legittimità e quella di merito.
Premessa
La nullità del ricorso introduttivo nel processo del lavoro può riguardare gli elementi essenziali che compongono la c.d. vocatio in ius (identificazione dell'organo giudiziario, delle parti del giudizio, o la corretta e tempestiva evocazione del resistente) o quelli che definiscono la c.d. editio actionis (petitum, causa petendi e conclusioni).
L'assenza di articolazioni istruttorie o la carente specificazione delle stesse incidono sull'accoglibilità della domanda ma non sulla validità del ricorso.
In merito alle conseguenze della nullità, se da un lato non vi è dubbio in ordine alla possibilità di sanatoria endogiudiziale dei vizi della vocatio in ius, non si registra unanimità di vedute in ordine all'applicazione del meccanismo di cui all'art. 164, comma 5 c.p.c. alla nullità dell'editio actionis.
Gli elementi essenziali del ricorso introduttivo
Il tema della nullità del ricorso introduttivo del processo del lavoro trova una collocazione nevralgica nella dogmatica processualcivilistica, rappresentando il campo elettivo di contrapposizione di due opposte filosofie che, sullo specifico aspetto dell'applicazione del regime di sanatoria dei vizi afferenti all'editio actionis, hanno dato luogo a un contrasto giurisprudenziale, soltanto di recente composto in sede di legittimità.
L'analisi dell'istituto della nullità del ricorso non può che prendere le mosse dall'individuazione degli elementi costitutivi dell'atto introduttivo del processo del lavoro, la cui omessa o incompleta individuazione dà luogo al fenomeno di patologia processuale.
Occorre, dunque, partire dall'esame dell'art. 414 c.p.c., rubricato «forma della domanda», che contiene l'elencazione degli elementi essenziali del ricorso. La disposizione deve, inoltre, essere integrata con l'art. 125 c.p.c., disciplinante il contenuto minimo comune al ricorso, alla comparsa, al controricorso e al precetto, che in parte riprende il contenuto dell'art. 414 c.p.c., aggiungendovi elementi non ricompresi nell'elencazione.
Il primo blocco di elementi individuati dall'art. 414 c.p.c. attiene all'identificazione dei protagonisti del processo.
Secondo la versione degli artt. 125 e 414 c.p.c. ritoccata dal cd Correttivo Cartabia, nella versione ultima, in corso di approvazione parlamentare, il ricorso dovrà contenere:
l'indicazione del giudice;
il nome, il cognome, il codice fiscale e la residenza o il domicilio del ricorrente;
il nome, il cognome, il codice fiscale e la residenza o il domicilio o la dimora nonché l'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi del convenuto;
se ricorrente o convenuto è una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, il ricorso deve indicare la denominazione o ditta nonché la sede del ricorrente o del convenuto.
Tra le indicazioni relative alle parti, con la prescrizione concernente l'indicazione del codice fiscale, risulta opportunamente uniformato il contenuto dell'art. 414 c.p.c. a quello dell'art. 125 c.p.c. Viene, inoltre, eliminata l'anacronistica previsione circa la necessità di indicazione del domicilio eletto, nel comune in cui ha sede l'organo adito.
Nel caso in cui la parte stia in giudizio personalmente, ai sensi dell'art. 417 c.p.c., sulla base delle modifiche del Correttivo Cartabia, vi sarà facoltà di indicazione di un indirizzo di posta elettronica certificata, risultante da pubblici elenchi, o di elezione di un domicilio digitale speciale presso i quali andranno effettuate le comunicazioni e le notificazioni, tramite posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato.
I nn. 3 e 4 dell'art. 414 c.p.c. definiscono, invece, la cd editio actionis, ovvero il contenuto oggettivo della domanda suddivisa, dalla tradizionale dottrina processualistica, nel petitum e nella causa petendi.
Il petitum, a sua solta, si articola in petitum immediato, identificato nella tipologia di tutela e provvedimento azionati (es. domanda reintegratoria o condanna al pagamento di somma) e petitum mediato, alla stregua di bene della vita cui si ambisce attraverso l'iniziativa giurisdizionale (es. posto di lavoro, credito pecuniario); causa petendi, invece, è il complesso degli elementi di fatto e delle ragioni giuridiche e argomentative che costituiscono l'architrave del ricorso.
In merito alle conclusioni , contemplate dallo stesso n. 4 dell'art. 414 c.p.c., le stesse sono fisiologicamente collocate in calce al ricorso, quale sviluppo consequenziale delle allegazioni in fatto e delle argomentazioni giuridiche ed appaiono sovente formulate separatamente per punti specifici, talvolta dispiegate in via gradata, subordinata o condizionata, conformando in modo corrispondente i poteri del giudice, che sarà tenuto a pronunciarsi nell'ordine e sulla base della specifica declinazione proposta dal ricorrente.
L'elemento costitutivo di cui al n. 5 (ovvero l'indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e, in particolare, dei documenti che si offrono in comunicazione, quale espressione del principio di circolarità degli oneri di allegazione e prova, nonché della c.d. full disclosure, secondo cui tutti gli elementi che fondano della domanda devono essere acclusi agli atti introduttivi del giudizio) non incide sulla struttura del ricorso, cagionandone l'invalidità in caso di omessa o incompleta specificazione, bensì sull'accoglibilità dello stesso, in relazione al principio dispositivo ed alla ripartizione degli oneri probatori (Cass. civ., sez. lav., 14 febbraio 2020, n. 3816; Trib. Milano, sez. lav., 16 luglio 2019).
La nullità per vizi della vocatio in ius
È nota la regola secondo cui, nel caso in cui uno specifico istituto non trovi disciplina positiva nel blocco dedicato al rito laburistico ex artt. 409 e ss. c.p.c., occorre fare residuale applicazione della disciplina codicistica, prevista in via generale o nella parte dedicata al rito ordinario di cognizione, previa verifica della compatibilità della specifica regola con l'impianto ed i principi fondamentali del rito del lavoro.
L'attuale versione dell'art. 164 c.p.c., norma di parte generale, annette ai vizi afferenti alla vocatio in ius (id est omessa o incompleta indicazione dell'organo giudiziario o degli elementi identificativi dell'attore e del convenuto) una duplice possibilità di sanatoria: la costituzione in giudizio del convenuto, con effetti sananti, o la rinnovazione della citazione entro il termine perentorio stabilito dal giudice, con effetti della domanda a prodursi sin dalla prima notificazione. Tale disposizione appare pianamente applicabile al rito del lavoro, non individuandosi alcun profilo di incompatibilità strutturale o di principio.
L'individuazione, nel contesto dell'atto introduttivo, del destinatario della domanda giudiziale, va completata con la tempestiva e rituale evocazione di tale soggetto in giudizio, secondo la disciplina dettata dall'art. 415 c.p.c., che regola il decreto di fissazione di udienza e la notificazione del ricorso nel rispetto del c.d. termine a difesa, la cui inosservanza dà, pacificamente, luogo a nullità della vocatio in ius, al pari dell'omessa o incompleta individuazione del soggetto.
Occorre distinguere l'ipotesi dell'omessa notificazione del ricorso da quella della irrituale notificazione, sotto il profilo del mancato rispetto del termine a difesa, ovvero dei trenta giorni tra la notificazione del ricorso e l'udienza di discussione, contemplati dall'art. 415, comma 5 c.p.c.
In caso di omessa notificazione, al fine di attivare il meccanismo sanante sarà imprescindibile un atto di impulsodel ricorrente, attraverso la comparizione in udienza e la richiesta di concessione di un nuovo termine per la notificazione, evenienza nella quale il giudice disporrà la rinnovazione della notificazione nel termine perentorio concesso (Corte app. Milano, sez. lav., 1 agosto 2019, n. 1295. Contra Trib. Roma, sez. VI, 27 novembre 2019, n. 22894; Trib. Treviso, sez. lav., 21 febbraio 2018, n. 99, secondo cui, nel caso di omessa notificazione, il ricorso andrebbe dichiarato improcedibile).
La nullità della vocatio in ius può registrarsi anche sotto il profilo del mancato rispetto del termine a difesaexart. 415, comma 5 c.p.c. ovvero della notificazione del ricorso e del decreto al di là del termine di trenta giorni calcolati a ritroso dall'udienza exart. 420 c.p.c., che assolve alla funzione di garantire al convenuto in giudizio un adeguato lasso temporale per prendere piena cognizione della controversia, conferire incarico fiduciario e predisporre adeguate e compiute difese processuali, da trasporre nell'atto di costituzione in giudizio.
Anche in caso di mancato rispetto del termine a comparire la nullità è sanata dalla costituzione del convenuto, a meno che quest'ultimo si costituisca al solo fine di eccepire il vizio, senza svolgere difese nel merito. In tal caso, essendo a lui noto il contenuto del ricorso, sarà sufficiente il differimento dell'udienza a non meno di trenta giorni, potendo depositare, non più tardi di dieci giorni dall'udienza fissata, nuova memoria di costituzione contenente compiute difese nel merito.
Laddove il convenuto non sia costituito, il giudice, su impulso del ricorrente, rinvierà l'udienza di discussione, concedendo nuovo termine per la notificazione del ricorso, del decreto e del provvedimento di rilievo della nullità, nel rispetto del termine a difesa.
In assenza di tale impulso, ad esempio in caso di mancata comparizione alla prima udienza di trattazione, il giudice provvederà a dichiarare l'estinzione del procedimento, ai sensi dell'art. 306 c.p.c.
La nullità per vizi dell'editio actionis
Il profilo dell'istituto di maggior interesse concerne senza dubbio i vizi afferenti all'editio actionis, identificabile nell'oggetto della domanda, che si articola nella compiuta e tassativa esposizione dei fatti costitutivi del diritto del quale si chiede tutela giurisdizionale, l'indicazione della cornice giuridica nella quale i fatti vanno sussunti e lo svolgimento delle conclusioni, che condensano le richieste avanzate.
Le principali questioni concernono, da un lato, l'individuazione del grado di specificazione minima tale da ritenere assolto l'onere assertivo e deduttivo gravante sul ricorrente e, dall'altro, le conseguenze dell'eventuale declaratoria di nullità del ricorso.
L'onere di minima specificazione assume, secondo la giurisprudenza (cfr. Cass. civ., sez. lav., 17 luglio 2018, n. 19009), valenza bidirezionale, essendo necessario a porre il convenuto in condizione di predisporre la propria difesa e a mettere in condizione il giudice di comprendere gli estremi della controversia. La nullità va, pertanto, dichiarata soltanto quando dal complessivo esame dell'atto e dei documenti contenuti nella domanda introduttiva risulti oggettivamente impossibile l'individuazione degli elementi oggettivi della domanda (Cass. civ., sez. lav., 10 luglio 2023, n. 19450), sì da defedare irrimediabilmente le possibilità di difesa del convenuto e la capacità di comprendere l'oggetto del giudizio da parte del giudice.
Ciò, in particolare, ha luogo quando le allegazioni in fatto non appaiono sufficienti a delineare gli elementi essenziali della domanda né l'attività di acquisizione di chiarimenti e specificazioni, condotta dal giudice nel corso dell'interrogatorio libero, può porvi rimedio. Al contempo, i profili di nullità oggettiva possono riguardare le conclusioni, omesse o formulate in maniera contraddittoria, dovendosi sul punto richiamare il principio generale secondo cui, ai fini dell'interpretazione del contenuto della domanda introduttiva del giudizio, occorre far riferimento al tenore complessivo dell'atto, con la conseguenza che eventuali omissioni o contraddittorietà nelle conclusioni vanno interpretate, ed eventualmente risolte, attraverso l'interpretazione globale e sostanziale del ricorso (Corte app. Cagliari, sez. II, 18 ottobre 2022, n. 458; Corte app. Firenze, sez. I, 4 gennaio 2021, n. 4).
L'incompleta o incongrua esposizione degli elementi di diritto non appare, infine, atta a determinare conseguenze invalidanti, atteso che l'interpretazione e qualificazione giuridica dei fatti allegati è attività che compete al giudice, in virtù del principio iura novit curia. Il giudice sarà, dunque svincolato dalle formule adottate dalla parte, dovendo egli tenere conto esclusivamente del contenuto sostanziale della pretesa, come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del medesimo, nonché del provvedimento in concreto richiesto (Trib. Terni, 27 luglio 2017, n. 624).
In merito alle conseguenze del rilievo, d'ufficio o su eccezione di parte, di nullità del ricorso, sotto il profilo dell'editio actionis, si contrappongono due orientamenti espressione di opposte filosofie di ermeneutica processuale.
Secondo un primo orientamento (Cass. civ., sez. lav., 27 maggio 2008, n. 13825, Trib. Venezia, 7 luglio 2021, n. 452), il rito del lavoro sarebbe incompatibile con il meccanismo di sanatoria contemplato dall'art. 164, comma 5, c.p.c., che prevede l'assegnazione al ricorrente di un termine perentorio per la rinnovazione dell'atto, in caso di mancata costituzione del resistente o, nel caso in cui il resistente si sia costituito, per l'integrazione della domanda.
Secondo tale tesi, l'ulteriore previsione secondo cui la rinnovazione o integrazione del ricorso non impedisce la maturazione delle decadenze, nel frattempo intervenute e la salvezza dei diritti acquisiti appare strutturalmente incompatibile con la rigidità dell'assetto di preclusioni assertive e probatorie.
Difatti, a fronte dell'eventuale integrazione della domanda, resterebbe ferma la maturata decadenza del ricorrente sul piano istruttorio, non potendo egli indicare nuovi temi di prova a supporto delle circostanze aggiuntive eventualmente allegate nell'atto rinnovato o integrato con conseguente scardinamento della necessaria circolarità tra oneri di allegazione, contestazione e prova connotata, nel rito del lavoro, dal principio di prevenzione nella formulazione delle istanze istruttorie da parte del ricorrente, e sovvertimento dell'impianto processuale, non accettabile sul piano logico, né sotto quello della coerenza del sistema nel suo complesso.
Il ricorso, dunque, andrebbe sic et simpliciter dichiarato nullo, con definizione del giudizio e facoltà, in capo al ricorrente, di riproporre lo stesso, non incorrendo in alcuna preclusione, stante la natura meramente processuale della pronuncia definitoria del precedente giudizio.
Tale orientamento appare, tuttavia, ampiamente recessivo, essendosi espressa la Cassazione, ripetutamente e recentemente (ex plurimis Cass. civ., sez. lav., 20 novembre 2023, n. 32100) nel senso della necessaria applicazione, anche al rito del lavoro, del regime di sanatoriadi cui all'art. 164, comma 5, c.p.c., con assegnazione di un termine perentorio al ricorrente per la rinnovazione dell'atto o, nel caso di intervenuta costituzione del resistente, per l'integrazione della domanda, ribadendosi, tuttavia, che sanatoria non vale a rimettere in termini il ricorrente rispetto ai mezzi di prova non indicati né specificati in ricorso.
In conclusione
Nonostante l'espressa presa di posizione della Cassazione si registra, tuttavia, la pervicace tendenza dei giudici di merito ad escludere l'applicazione di meccanismi di sanatoria dei vizi dell'editio actionis, definendo il giudizio con un rilievo di nullità.
A ben vedere, tuttavia, i presupposti teorici su cui si fonda tale minoritario orientamento appaiono espressione di una concezione rigida ed anacronistica dell'ermeneutica processuale, superata dalle più recenti tendenze normative, consacrate nella riforma Cartabia di cui al d.lgs. n. 149/2022. Per effetto di tale riforma, difatti, si assiste all'evidente tendenza, anche nei riti civili, all'anticipazione delle preclusioni assertive e probatorie che, similmente al rito del lavoro, coincidono con gli atti introduttivi del giudizio, senza che ciò ponga un problema di compatibilità di tale nuovo assetto con il meccanismo di sanatoria dell'art. 164, comma 5 c.p.c.
Così, ad esempio, nel meccanismo di introduzione del giudizio civile, l'eventuale rilievo di nullità della citazione avrà luogo, nel corso delle verifiche preliminari ex art. 171-bis, comma 2 c.p.c., a piattaforma assertiva e probatoria già composta negli atti introduttivi, valendo le memorie integrative ex art. 171-ter c.p.c., eventualmente depositate, ad introdurre nuove prove soltanto a fronte della modifica della piattaforma assertiva, per effetto di domande e eccezioni nuove, ma non dell'eventuale rilievo di nullità della citazione. Similmente, nel rito semplificato di cognizione ex art. 281-decies e ss. c.p.c., è negli atti introduttivi che le parti devono concentrare ogni allegazione e correlativa offerta di prova, potendosi introdurre prove nuove, ai sensi dell'art. 281-duodecies, ult. comma c.p.c. soltanto nelle memorie autorizzate di precisazione e modifica delle domande, eccezioni e conclusioni.
Occorre, pertanto, verificare la portata di una rigorosa applicazione dell'art. 164, comma 5 c.p.c. nell'ambito del rito laburistico, scandagliando l'esistenza di correttivi dell'evidente aporia di sistema che, da un lato, consente al ricorrente di integrare o rinnovare il ricorso nullo e, dall'altro, gli preclude il pieno dispiegamento delle prerogative difensive, tenendo ferme le preclusioni maturate.
A ben vedere, tuttavia, una significativa parte delle fattispecie di nullità del ricorso introduttivo concerne casi, come l'omessa specificazione delle voci di credito retributivo e la mancata allegazione diconteggi, pacificamente parte della quota assertiva del ricorso di lavoro, nelle quali le allegazioni integrative risulteranno sufficienti a decidere il ricorso o ad attivare poteri istruttori in senso ampio (es. CTU contabile), non soggetti a barriere preclusive.
Il meccanismo va, inoltre, contemperato con le peculiarità dell'istruttoria nel rito del lavoro, ed in particolare con le regole speciali in tema di ammissione della prova ed i poteri d'ufficio che si appuntano in capo al giudice del lavoro.
Sotto il primo profilo, può essere valorizzata la maggiore libertà di cui gode la parte della controversia di lavoro nella formulazione dei capitoli di prova orale alla quale, secondo un orientamento di legittimità, non risulta applicabile l'art. 244 c.p.c., che prevede l'indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati, su cui ciascuna di esse deve essere interrogata, essendo viceversa sufficiente la specifica allegazione, nel corpo della narrativa, delle circostanze in fatto, sui cui interrogare i testimoni individuati (Cass. civ., sez. lav., 5 ottobre 2016, n. 19915).
Conseguentemente, nel caso di rilievo della nullità del ricorso e attivazione del meccanismo di sanatoria, non vi è dubbio che i testimoni già indicati in ricorso possano essere escussi anche sulle nuove circostanze in fatto, contenute nel ricorso in rinnovazione o nella memoria di integrazione della domanda.
Né va, infine, obliterata la facoltà di attivazione dei poteri istruttori d'ufficio del giudice che se, da un lato, non può essere volta a superare gli effetti di una tardiva richiesta istruttoria, o a supplire a una carenza probatoria, in funzione sostitutiva degli oneri di parte, può essere utilizzata in ottica di contemperamento del principio dispositivo con le esigenze di ricerca della verità materiale quando le risultanze di causa offrano già significativi dati di indagine, al fine di superare lo stato di incertezza dei fatti costitutivi di cui di controverte (Cass. civ., sez. lav., 27 ottobre 2020, n. 23605), come nel caso di un ricorso che, pur presentandosi carente di fondamentali allegazioni, necessarie a delineare compiutamente il contenuto della domanda giudiziale, risulti comunque definito nel proprio impianto fondamentale.
Riferimenti
BAUSARDO R., L’introduzione del giudizio ad opera del ricorrente, in Aa.Vv., Il processo del lavoro, collana Pratica professionale Lavoro, diretta da P. Curzio, L. Di Paola, R. Romei, Milano, Giuffrè, 2017, 188;
MARTELLONI F., La nullità del ricorso per indeterminatezza del thema decidendum e la controversa questione della sanabilità del vizio, in Lav. giur., 2007, 391 ss;
VULLO E., Sulla nullità del ricorso introduttivo nel processo del lavoro per vizi afferenti all’editio actionis, in Giur. it., 2002, 1406 ss..
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