Contratto di agenzia: inapplicabilità del termine di decadenza per l’impugnazione del licenziamento previsto per il rapporto di lavoro subordinato
22 Ottobre 2024
Massima Il termine di decadenza per l'impugnazione del licenziamento nel rapporto di lavoro subordinato di cui all'art. 6 della legge 15 luglio 1966 non si applica al recesso nel contratto di agenzia, nonostante le previsioni di cui all'art. 32 della l. n. 183/2010. Il caso Cessazione di un rapporto di agenzia per asserita giusta causa La controversia oggetto della pronuncia in commento deriva dalla cessazione di un rapporto di agenzia per asserita giusta causa effettuato dal preponente in data 19 luglio 2012. L'agente impugnava il recesso in via stragiudiziale in data 27 luglio 2012 e azionava le domande di pagamento dell'indennità di mancato preavviso ex art. 1750 c.c. e di fine rapporto ex art. 1751 c.c., previa declaratoria di inesistenza della contestata giusta causa, con ricorso iscritto a ruolo il 24 luglio 2014. La domanda veniva dichiarata improcedibile dal Tribunale di Napoli con sentenza del 13 novembre 2015, poi confermata dalla Corte di Appello di Napoli in base alla riferibilità anche al contratto di agenzia dell'istituto della decadenza previsto dall'art. 32 lett. b), comma 3, della legge n. 183/2010, posto che il ricorso era stato proposto una volta scaduti i termini di legge. La pronuncia della Corte di Appello veniva impugnata con ricorso in Cassazione affidato a un unico motivo. La questione Applicabilità del termine di decadenza previsto dall'art. 32, comma 3, lett. b) l. n. 183/2010 al contratto di agenzia Il tema centrale della pronuncia attiene all'ambito di operatività del termine di decadenza previsto dall'art. 32, comma 3, lettera b) della legge n. 183/2010 e in particolare se lo stesso sia o meno applicabile ai rapporti di agenzia. La legge 4 novembre 2010, n. 183 (“Collegato lavoro”) contiene una serie disposizioni e novità in materia di lavoro subordinato, previdenza, legislazione sociale e controversie di lavoro (cfr. in dottrina VENEZIA – BALDI, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il franchising., XI ed., 2023, Giuffré Francis Lefebvre, p. 733 e ss.). La disposizione che rileva ai fini del giudizio in oggetto è l'art. 32 dedicato alla disciplina dell'impugnazione dei licenziamenti, a modifica delle previsioni di cui all'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604 e al suo ambito di operatività, che ha creato contrasti in dottrina e giurisprudenza, ma che a mio avviso va individuato nel senso di escludere il rapporto di agenzia, come correttamente affermato dalla pronuncia in commento. L'art. 32 ha sostituito il primo e il secondo comma dell'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, in tema di licenziamenti individuali nei contratti di lavoro subordinato, ribadendo il termine di decadenza di 60 giorni, decorrente dalla ricezione della comunicazione scritta del licenziamento o dei motivi, entro il quale il licenziamento stesso deve essere impugnato dal lavoratore con qualunque atto scritto, anche stragiudiziale, idoneo a rendere palese la volontà di impugnarlo. La novità introdotta attiene alla condizione di efficacia dell'impugnazione, costituita dal deposito del ricorso nella cancelleria del Tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di conciliazione o arbitrato, da effettuarsi entro il successivo termine di 270 giorni. Nel caso in cui la conciliazione o l'arbitrato vengano rifiutati o comunque laddove non sia raggiunto l'accordo sul loro espletamento, il ricorso dinanzi al giudice del lavoro dovrà essere depositato a pena di decadenza entro ulteriori 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo. Il legislatore ha poi ritenuto di ampliare l'ambito di applicazione del nuovo regime di decadenze introdotto nell'art. 6 anche, tra le altre, alle seguenti fattispecie:
Sulla base di quanto previsto al punto ii. parte della dottrina, non senza condivisibili perplessità in ordine alle motivazioni e alle contraddizioni insite in tale estensione, ha ritenuto che i termini di decadenza dell'art. 6 fossero da considerarsi applicabili anche ai rapporti di agenzia richiamati nell'art. 409, n. 3 c.p.c. e cioè a quelli, sottoposti al rito del lavoro, nei quali l'agente svolga la propria attività in maniera prevalentemente personale. A mio avviso invece, come già accennato e come confermato dalla pronuncia in commento, i termini di decadenza previsti nell'art. 6 non si applicano ai contratti di agenzia, e in particolare non si applicano ai contratti di agenzia menzionati nell'art. 409, n. 3 c.p.c. La soluzione giuridica Ai rapporti di agenzia non si applichi il termine di decadenza di cui all'art. 32, comma 3, lett. b), l. n. 183/2010. La Corte, a conferma di una precedente decisione del 2021 (Cass. n. 8964/2021) e dopo aver individuato il punto centrale della vertenza nell'applicabilità o meno anche ai rapporti di agenzia del termine di decadenza dell'art. 32 comma 3, lett. b) della l. 183/2010, ha individuato la ratio della norma nell'estensione a ulteriori ipotesi rispetto a quella originaria del licenziamento al fine di contrastare il rallentamento dei tempi del contenzioso, con la moltiplicazione degli effetti economici in caso di sentenza favorevole e la stabilizzazione delle posizioni giuridiche delle parti nei casi in cui si abbia l'esigenza di conoscere in tempi ragionevoli se e quanti lavoratori possano far parte dell'organico aziendale. È stato poi correttamente sottolineato il carattere eccezionale della norma che, avendo ad oggetto una limitazione temporale per l'esercizio dell'azione giudiziaria, ne impone un'interpretazione rigorosa soprattutto in relazione alla fattispecie di chiusura di cui all'art. 32 comma 4, lettera d) (Cass. n. 13179/2017). La Corte ha poi richiamato i limiti imposti a un'eventuale interpretazione estensiva dalle norme della Costituzione (art. 2,111 e 117), del diritto euro unitario (art. 47 della Carta di Nizza) e della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (art. 6). Dal punto di vista interpretativo si è poi sottolineata la centralità del criterio letterale, con la conseguente possibilità di integrarne il significato e la connessa portata precettiva con l'esame complessivo del testo e della “mens legis” solo laddove l'interpretazione letterale non sia chiara e univoca (Cass. n. 24165/2018; Cass. n. 12081/2003 e Cass. n. 5128/2001). In proposito, sia considerando il dato letterale della norma, sia quello logico sistematico, la Corte ha correttamente escluso che il legislatore volesse ricomprendere il rapporto di agenzia nell'ambito di operatività della decadenza di cui all'art. 32, comma 3, lett. b) della l. n. 183/2010. Dal punto di vista letterale la Corte ha sottolineato che le fattispecie individuate nell'art. 409, n. 3 c.p.c. sono state definite da dottrina e giurisprudenza come rapporti parasubordinati, così facendo intendere che nella categoria generale della parasubordinazione rientrano le varie tipologie contrattuali (agenzia, rappresentanza commerciale e gli altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato) ponendosi, rispetto alla categoria, in un rapporto da species a genus, con la conseguente esclusione di una possibilità di assimilazione terminologica. Nell'art. 32 il legislatore ha fatto riferimento solo ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e non ai contratti di agenzia, precisando per contro il riferimento alle “modalità a progetto” quando ha ritenuto di ampliare l'ambito di operatività dell'istituto. Anche il riferimento al “committente” contenuto nell'art. 32 non è in linea con il contratto di agenzia, dove è per contro utilizzato il diverso termine “preponente”. Dal punto di vista logico sistematico sono state invece valorizzate le divere fonti normative (codice civile, aec e legge professionale) che caratterizzano il contratto di agenzia rispetto ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e la loro diversità di struttura e caratteristiche. Gli agenti possono infatti avere dipendenti, essere costituiti in forma societaria e sono dunque incompatibili con la natura prevalentemente personale dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, né può ipotizzarsi l'operatività della decadenza solo per alcune tipologie di agenti, ostandovi un criterio di uniformità e certezza del diritto. Oltre a ciò l'art. 1751 c.c. già prevede un'ipotesi di decadenza dal diritto all'indennità di fine rapporto che va richiesta dall'agente entro un anno dalla sua cessazione, ancorché di natura sostanziale, ma che in caso di coesistenza con quella di natura processuale di cui all'art. 32, potrebbe incidere sull'esigenza del simultaneus processum e sulla necessità di un accertamento giudiziale unitario, in ordine alla verifica sia dell'arbitrarietà del recesso, sia della debenza delle indennità connesse alla cessazione del rapporto, non dovute in caso di sussistenza di una gusta causa. In conclusione, la Corte ha correttamente stabilito che ai rapporti di agenzia non si applichi il termine di decadenza di cui all'art. 32, comma 3, lettera b) della legge n. 183/2010. Il ricorso è stato quindi accolto, cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione, che procederà a un nuovo esame tenendo conto dei principi di diritto enunciati. Osservazioni L'esclusione dell'applicabilità al contratto di agenzia del termine di decadenza di cui all'art. 32 della l. 183/2010 è senza alcun dubbio condivisibile, come peraltro già avevo precisato in passato. Difatti, le disposizioni della cui applicabilità si tratta sono norme che fissano un obbligo di impugnazione collegato a termini di decadenza il cui spirare determina l'inefficacia dell'impugnazione. Trattasi dunque di norme che devono essere interpretate restrittivamente, così come restrittivamente va intesa l'estensione del loro ambito di applicazione prevista dall'art. 32, comma 3, lett. b). Pertanto, l'elencazione ivi contenuta va intesa in senso tassativo e come tale insuscettibile di ulteriori estensioni non espressamente previste dal dettato normativo. Oltre a ciò, come giustamente rilevato dal Supremo Collegio, il testo della norma, lungi dal richiamare complessivamente il recesso nei rapporti di cui all'art. 409, n. 3 c.p.c., o specificamente il recesso nel contratto di agenzia, si riferisce esclusivamente al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all'art. 409, n. 3) c..p.c. e nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nella modalità a progetto. Non vi è dunque alcun riferimento espresso né al recesso del preponente (ma bensì al committente, che ben si attaglia esclusivamente ai contratti d'opera e/o ai contratti a progetto), né ai contratti di agenzia. La scontata obiezione relativa all'inclusione dei contratti di agenzia, in quanto facenti parte della più ampia categoria dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, si scontra con il dato letterale costituito dal riferimento al “committente”, figura assente nel contratto di agenzia. Inoltre, il disposto dell'art. 409, n. 3 c.p.c. indica espressamente i rapporti di agenzia, i rapporti di rappresentanza ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. Pertanto, il riferimento effettuato al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, stante la necessaria interpretazione restrittiva sopra accennata, non può comportare l'automatica estensione del regime di obbligatoria impugnazione e correlati termini di decadenza anche ai contratti di agenzia sottoposti al rito del lavoro, dovendo per contro limitarsi ai contratti d'opera e ai contratti a progetto (e cioè agli « altri rapporti di collaborazione... »). Non va dimenticata inoltre la rubrica dell'art. 32, riferita a «Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato ». Oltre agli indiscutibili dati letterali di cui sopra e alla necessitata interpretazione restrittiva che discende dalla natura stessa della norma, con la conseguente tassatività delle ipotesi di estensione ivi indicate, va altresì sottolineata l'ingiustificata disparità di trattamento, con conseguenti profili di legittimità costituzionale, che verrebbe a generarsi, come confermato dalla Cassazione, tra agenti costituiti in forma societaria e agenti che svolgano la propria attività in maniera prevalentemente personale. Soltanto questi ultimi infatti sarebbero gravati dall'onere di impugnazione del recesso del preponente e di successivo deposito del ricorso nei termini di decadenza indicati dall'art. 6. In conclusione è a mio avviso da adottarsi un'interpretazione letterale e restrittiva che, basata sulla tassatività dell'elencazione estensiva contenuta nell'art. 32, commi 3 e 4 della l. n. 183/2010, escluda in radice la possibilità di considerare applicabili ai rapporti di agenzia, anche sottoposti al rito del lavoro, le modifiche introdotte nell'art. 6 della l. n. 604/1966 in tema di licenziamenti individuali. Riferimenti bibliografici
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