La procura rilasciata «con ogni più ampia facoltà di legge» comprende la legittimazione a proporre appello incidentale

22 Ottobre 2024

La procura alle liti con formule del tipo «con ogni facoltà» può ritenersi comprensiva della facoltà di proporre appello incidentale?

Massima

In tema di verifica del potere rappresentativo, la procura rilasciata «con ogni più ampia facoltà di legge» con atto pubblico o scrittura privata autenticata, costituendo valutazione riservata al giudice di merito, non sindacabile nel giudizio di legittimità ove adeguatamente motivata, legittima il legale a proporre appello incidentale in quanto espressione ritenuta comprensiva del potere di compiere ogni attività processuale utile all'appellato.

Il caso

La Corte di Appello accoglieva la domanda proposta in via incidentale di restituzione di un terreno dato in comodato.

L’appellante principale proponeva ricorso in cassazione, lamentando - tra gli altri motivi - che il mandato allegato alla memoria di costituzione di controparte nel giudizio di appello non conferisse alcun potere di impugnare in via incidentale la sentenza oggetto gravame, ma solo quello di rappresentanza e difesa in quel giudizio.

La Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, rilevando che sebbene il mandato rilasciato in calce alla comparsa di risposta (contenente anche il gravame incidentale) prevedeva la nomina e costituzione del difensore a rappresentare e difendere «con ogni più ampia facoltà di legge», tuttavia tale formula doveva ritenersi comprensiva del potere di compiere ogni attività processuale utile all’appellato, ivi compresa quella di proporre appello incidentale.

La questione

La questione in esame è la seguente: il rilascio della procura in modo essenziale e generico, con formule del tipo «con ogni facoltà», può ritenersi comprensiva della facoltà di proporre appello incidentale?

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento si occupa della problematica relativa all'estensione dei poteri conferiti dalla parte al difensore con la procura alle liti, specie nelle ipotesi in cui quest'ultima sia rilasciata in modo essenziale e generico, con formule del tipo «con ogni più ampia facoltà di legge», quale quella del caso di specie.

La procura alle liti è l'atto formale con il quale si attribuisce al difensore lo ius postulandi, il “ministero” di rappresentare la parte nel processo (Cass. civ., sez. un., 7 marzo 2005, n. 4814), ed ha natura di negozio unilaterale processuale, formale ed autonomo, che investe della rappresentanza in giudizio il difensore.

Essa, dunque, come tale, va senz'altro tenuta distinta dal presupposto rapporto c.d. interno, il quale ha fonte nel contratto di prestazione d'opera professionale stipulato tra quest'ultimo e la parte – o chi per essa, restando insensibile alla sorte del contratto di patrocinio (Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2010, n. 4489).

La legge non determina il contenuto necessario della procura, limitandosi a distinguere tra procura generale e speciale (art. 83, comma 2, c.p.c.) e a stabilire che il difensore può compiere e ricevere, nell'interesse della parte, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati, mentre non può compiere atti che importano disposizione del diritto in contesa, se non ne ha ricevuto espressamente il potere (art. 84 c.p.c.).

Dunque, il contenuto della procura risulta di fatto determinato, da un lato, dallo stesso contenuto del rapporto controverso e, dall'altro, dal risultato perseguito dal mandante nell'intentare la lite o nel resistere ad essa.

I poteri processuali risultano al difensore attribuiti direttamente dalla legge, con la procura la parte realizzando «semplicemente una scelta ed una designazione», e non anche un'«attribuzione di poteri», al cui riguardo la volontà della parte è pertanto «irrilevante» (Cass. civ. n. 2373/1972).

Per converso, l'ampiezza dei poteri derivanti al difensore deriva in modo sostanzialmente automatico dal rilascio stesso della procura, tanto è vero che a quest'ultima in assenza di specifica regolamentazione, si applica la disciplina codicistica sulla rappresentanza e sul mandato, avente carattere generale rispetto a quella processualistica, ivi compreso, dunque il principio generale posto all'art. 1708 c.c. secondo cui il mandato comprende tutti gli atti necessari al compimento dell'incarico conferito (Cass. civ., sez. lav., 3 maggio 2006, n. 10209).

La decisione si discosta dall'orientamento di legittimità che tende a delimitare il raggio d'azione del difensore entro i confini formali del testo della procura ad litem, con particolare riferimento alla nota questione della chiamata in giudizio del terzo in garanzia c.d. impropria, circa la quale la Suprema Corte si era a suo tempo espressa opinando, pur con qualche distinguo, per la nullità e/o inammissibilità della chiamata in base all'originaria procura che non prevedesse, almeno implicitamente, l'autorizzazione dell'assistito a procedervi (Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2009, n. 20825; Cass. civ., sez. III, 11 marzo 1992, n. 2929).

In relazione alla possibilità di proporre appello incidentale, il giudice della nomofilachia aveva riconosciuto tale facoltà al difensore, in quanto la facoltà di proporre tutte le domande ricollegabili all'interesse del suo assistito e riferibili all'originario oggetto della causa è attribuita al difensore direttamente dall'art. 84 c.p.c., e non dalla volontà della parte che conferisce la procura alle liti, rappresentando tale conferimento non un'attribuzione di poteri ma semplicemente una scelta ed una designazione, con la conseguenza che la natura dell'atto con il quale od all'interno del quale viene conferita, o la sua collocazione formale, non costituiscono elementi idonei a limitare l'ambito dei poteri del difensore (Cass. civ., sez. un., 14 settembre 2010, n. 19510).

Osservazioni

Anche in presenza di procura ad litem di contenuto «scarno e generico», si è ritenuto rientrante nella discrezionalità tecnica del difensore:

  • impostare la lite e scegliere la condotta processuale più rispondente agli interessi del proprio rappresentato;
  • proporre tutte le domande comunque ricollegabili all'oggetto originario;
  • fissare con le conclusioni definitive il thema decidendum;
  • modificare la condotta processuale in relazione agli sviluppi e agli orientamenti della causa nel senso ritenuto più rispondente agli interessi del proprio cliente;
  • compiere, con effetto vincolante per la parte, tutti gli atti processuali non riservati espressamente alla stessa, come ad esempio consentire od opporsi alle prove avversarie e di rilevarne l'inutilità, rinunziare a singole eccezioni o conclusioni, ridurre la domanda originaria e rinunziare a singoli capi della domanda, senza l'osservanza di forme rigorose (Cass. civ., sez. un., 14 marzo 2016, n. 4909).

Dunque, secondo lo schema logico fatto proprio dalle sezioni unite, il difensore, nell'ambito del giudizio per cui è stato officiato, può compiere la più ampia gamma di attività in base alla procura “pura e semplice”, per quanto sinteticamente essa possa essere stata rilasciata.

Se è vero che i poteri del difensore discendono direttamente dalla legge, la procura valendo solamente a realizzare la scelta e la designazione dell'avvocato e a far emergere la relativa (più o meno ampia) eventuale limitazione in base alla volontà della parte, ne deriva che la procura, ove risulti come nella specie conferita in termini ampi e comprensivi, in base a un'interpretazione costituzionalmente orientata della normativa processuale idonea a dare attuazione ai principi di tutela del diritto di azione e di difesa nonché di economia processuale (artt. 24 e 111 Cost.) deve intendersi come idonea ad attribuire al difensore il potere di esperire tutte le azioni necessarie o utili per il conseguimento del risultato a tutela dell'interesse della parte assistita (Cass. civ., sez. VI, 5 agosto 2021, n. 22380).

La facoltà del difensore di una parte di proporre tutte le domande utili alla parte rappresentata, ricollegabili all'interesse del suo assistito e riferibili all'originario oggetto della causa, gli è attribuita direttamente dall'art. 84 c.p.c. e non dalla volontà della parte che conferisce la procura alle liti (volontà che può assumere rilievo solo al fine dell'eventuale limitazione dei «poteri del procuratore derivanti dalla legge»).

Tale conferimento, infatti, non rappresenta un'attribuzione di poteri, ma solo una scelta e una designazione, tanto che la natura dell'atto con il quale viene conferita o all'interno del quale è contenuta e la sua collocazione formale non costituiscono elementi idonei a limitare l'ambito dei poteri del difensore.

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