Verifiche preliminari di cui all'art. 171-bis c.p.c.: in attesa del Correttivo
23 Ottobre 2024
Premessa: tormentata vita del nuovo 171-bis c.p.c. Una premessa corre d'obbligo. L'art. 171-bis c.p.c. costituisce una novità assoluta della fase introduttiva del giudizio di primo grado, come rimodellata dalla riforma processuale del 2022. Sin da subito la previsione ha suscitato rilievi critici. La valutazione negativa è collegata alla più generalizzata critica rivolta da parte della processualistica alla nuova configurazione data dal riformatore del 2022 alla fase introduttiva del processo ordinario di cognizione. Da più parti è stato evidenziato che il nuovo rito non sarebbe stato ben concepito in taluni snodi procedurali. Partendo da questa presupposto e considerata l'assoluta novità del nuovo rito, la disposizione è stata oggetto di reinterpretazione da parte della prassi giudiziaria, che ha fornito una rilettura degli adempimenti previsti, conferendovi una variegata molteplicità di significati, non immediatamente percepibili dal dato positivo. La prassi ha reinterpretato il disposto normativo, effettuando una sorta di «intervento di ortopedia interpretativa», che ne evidenzia un'applicazione «a macchia di leopardo», che implica una sostanziale vanificazione della certezza delle regole processuali, che dovrebbero essere stabili, oltreché consolidate. Un primo correttivo della riforma di cui al d.lgs n. 149/2022 è stato approvato dal Governo nella seduta del Consiglio dei ministri del 15 febbraio scorso, cui sono seguiti i pareri parlamentari (con osservazioni) e, a breve distanza, è intervenuta la pronunzia interpretativa di rigetto della Corte Cost., 3 giugno 2024, n. 96. Infine, nella seduta del Consiglio dei ministri del 27 settembre 2024, il Governo ha apportato talune limitate innovazioni al primo correttivo, ritrasmettendone il testo modificato alle Camere per i prescritti nuovi pareri delle Commissioni competenti, prima di adottare il deliberato definitivo entro la data finale del 2 novembre 2024 (art. 1, comma 3, l. n. 206/2021). Obiettivi del correttivo Il correttivo costituisce una «prima messa a punto» («rispetto al quale apporta ulteriori miglioramenti in termini di recupero di efficienza della giustizia civile»: Relazione, p. 3) di un testo normativo, la riforma del 2022, che, durante il primo periodo di applicazione, ha mostrato talune criticità, quale effetto dei tempi estremamente ristretti di redazione ed approvazione. In ogni caso, come ha cura di precisare la Relazione Illustrativa (p. 2), l'intervento governativo si «scrive degli impegni assunti dal PNRR ed è indirizzato al perseguimento dei medesimi obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile che hanno ispirato la novella». Questo significa che i criteri di ispirazione della delega processuale (a tenore dell'art. 1, l. n. 206/2021), continuano a costituire punto di riferimento e bussola orientativa dell'interprete ed anche dell'intervento correttivo. Ciò può spiegare talune scelte compiute di quest'ultimo testo, tra cui, come si noterà infra, il mancato accoglimento della proposta di introdurre un'udienza filtro antecedente l'udienza di prima comparizione per l'adozione dei provvedimenti sulle verifiche preliminari (art. 171-bis, comma 2 c.p.c., novellato). Dal momento che una diversa soluzione avrebbe rallentato la «speditezza del processo civile», ponendosi in frizione con gli obiettivi delineati dal PNRR. Criticità dell'art. 171-bis c.p.c. Lo schema correttivo interviene su taluni profili critici del testo affidato all'art. 171-bis c.p.c., perseguendo «la funzione di dirimere perplessità ed eliminare alcuni inconvenienti verificatisi nella prassi giudiziaria» (come precisa la prima Relazione Illustrativa, p. 11). Per quanto non tutte le criticità suscitate dal nuovo dettato normativo vengono risolte. Anzitutto, il legislatore del correttivo interviene con una modifica di carattere formale laddove evidenzia in modo trasparente, quanto già avevano segnalato i commentatori sul testo originario, in particolare, introducendo un autonomo primo comma, che recita: «scaduto il termine di cui all'articolo 166, entro i successivi quindici giorni il giudice istruttore verifica d'ufficio la regolarità del contraddittorio». In precedenza, tale prescrizione era un tutt'uno col catalogo delle verifiche da compiere in via preliminare. Ciò significa che, a scanso di equivoci, le verifiche preliminari sono sempre obbligatorie per il giudice, come era sufficientemente assodato in via interpretativa, nell'ottica di chiarire i successivi adempimenti processuali. La previsione, inserita in un nuovo autonomo comma, il primo, evidenzia questo primario dovere del magistrato. Il legislatore del correttivo non ha invece chiarito quali conseguenze processuale scaturiscano in ipotesi di inadempimento, ovvero di ritardo, da parte del giudice, nell'espletamento del dovere processuale di effettuare le verifiche preliminari ante udienza (sul problema si rinvia infra). Come si noterà nel prosieguo, il catalogo degli adempimenti preliminari è stato notevolmente implementato dalle norme del correttivo (rilievo d'ufficio dell'incompetenza; declaratoria di contumacia dell'attore o del convenuto, declaratoria di estinzione del processo, conversione del rito da ordinario in semplificato, etc.). In tal modo viene valorizzato questo adempimento processuale che è divenuto uno snodo processuale cruciale per indirizzare la dinamica del processo. Aggiornamento del catalogo delle verifiche preliminari 1. Contumacia Il catalogo dei provvedimenti di sanatoria pronunziabili dal giudice (di cui al nuovo capoverso della norma), viene, seppur in minima parte, rivisto. Si nota anzitutto una modifica di tipo topografico. Dato che, dal nuovo testo dell'art. 171-bis c.p.c., viene espunto il riferimento alla declaratoria di contumacia, eliminando l'originario rimando all'art. 171, comma 3 c.p.c. Al contempo il testo del Correttivo innova il testo dell'art. art. 171, comma 3 c.p.c., sostituendo il riferimento alla pronunzia di contumacia del convenuto disposta «con ordinanza del giudice istruttore», oggi sostituita con la previsione di pronunzia con «decreto di cui all'art. 171-bis». La modifica è meramente formale e precisa correttamente quale forma rivesta il provvedimento di declaratoria di contumacia; non più l'ordinanza (come risultava dal testo originario), dato che la declaratoria va pronunziata una volta scaduto il termine di costituzione del convenuto, ma il decreto, da pronunziare in sede di verifiche preliminari. Il correttivo disciplina l'ipotesi in cui l'attore non si costituisca in giudizio, a fronte della costituzione in giudizio del convenuto. Lo «Schema» (nell'ultima versione) incide sul testo dell'art. 290 c.p.c. laddove dispone che il processo prosegue se, «nel dichiarare la contumacia dell'attore a norma dell'ultimo comma dell'art. 171...il convenuto ne fa richiesta», aggiungendo le parole «nella comparsa di risposta». La richiesta di prosecuzione del giudizio da parte del convenuto si colloca dopo la sua costituzione in giudizio (artt. 166 e 167 c.p.c.), in una fase processuale antecedente le verifiche preliminari.
Dovrebbe ritenersi tardiva la richiesta di prosecuzione del giudizio formulata solo nella prima memoria integrativa depositata dal convenuto (art. 171-ter, n. 1, c.p.c.). 2. Chiamata del terzo dal parte del terzo Nel catalogo di cui all'art. 171-bis c.p.c. (in fase di novellazione) il riformatore ha aggiunto il riferimento all'art. 271 c.p.c., ovvero la pronunzia del decreto di autorizzazione alla chiamata, quando il terzo chiamato, a sua volta, intenda chiamare in causa un terzo. A fronte della costituzione in giudizio del terzo chiamato a norma dell'art. 166 e 167, comma 1 c.p.c., il quale, in comparsa, a sua volta, richieda di potere chiamare in causa un terzo, sempre in sede di ulteriori verifiche preliminari che andranno ripetute, il g.i. dovrà provvedere. In caso di autorizzazione alla chiamata differendo di ulteriori 120 giorni l'udienza di prima comparizione già differita. A questo riguardo, si precisa innovativamente che sono posti a carico del giudice ulteriori controlli preliminari: «Almeno cinquantacinque giorni prima della nuova udienza di comparizione delle parti, il giudice procede nuovamente alle verifiche preliminari», sempre nell'ottica di pervenire all'udienza ex art. 183 c.p.c. senza doversi occupare di profili preliminari, essendo pronti a trattare il merito della causa. 3. Rilievo di incompetenza Modificando l'art. 38, comma 3 c.p.c., il Decreto correttivo ha rimesso al giudice, sempre in questa fase preliminare, l'eventuale rilievo di incompetenza (per materia, valore o territorio inderogabile), anticipandolo rispetto alla prima udienza di comparizione. Con l'opportuna precisazione (suggerita dai pareri parlamentari) che la verifica va compiuta sempreché il procedimento preveda le verifiche preliminari, con la precisazione che altrimenti (come si verifica, ad es., nel rito semplificato ed in quello avanti al giudice di pace) il rilievo va compiuto «non oltre la prima udienza». Si legge nella Relazione (p. 7) che, grazie al giudiziale rilievo, «si garantisce maggiore celerità nella definizione delle cause proposte al giudice incompetente». Tale scelta innovativa appare conseguenziale alla configurazione della fase introduttiva, come delineata dal riformatore del 2022, secondo il quale si perviene all'udienza di prima comparazione avendo superato profili preliminari impedienti l'esame del merito. In specie, segnalando alle parti (che, a loro volta, potrebbero argomentare nell'appendice scritta ex art. 171-ter c.p.c.) che il processo neppure potrebbe pervenire ad un vaglio di merito. Come precisa la Relazione (p. 7), a fronte del rilievo di incompetenza, già alla prima udienza di comparizione, il giudice potrà dichiarare con ordinanza la propria incompetenza, assegnando il termine per la riassunzione (v. art. 44 c.p.c.). Nessuna innovazione è stata invece apportatala alla disciplina dettata in tema di litispendenza e continenza di cause (che va dichiarata con ordinanza «in qualunque stato e grado»; art. 39 c.p.c.), oltreché di connessione, che non può essere eccepita o rilevata d'ufficio «dopo la prima udienza» (art. 40 c.p.c.). Questo significa che anche queste ultime questioni potrebbero, teoricamente, essere oggetto di rilievo preliminare da parte del g.i., dato che il codice fissa unicamente termini finali. Conversione immediata in semplificato Assai significativa ed anzi «molto positiva» (SALVANESCHI, 8, che parla di «correzione sicuramente opportuna») si rivela un'ulteriore innovazione veicolata nel nuovo quarto comma dell'art. 171-bis c.p.c.: «Se ritiene che in relazione a tutte le domande proposte ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell'articolo 281-decies, il giudice dispone la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato di cognizione e fissa l'udienza di cui all'articolo 281-duodeciesnonché il termine perentorio entro il quale le parti possono integrare gli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti». Al contempo il primo comma nell'art. 171-bis c.p.c. viene eliminato il riferimento alle questioni rilevabili d'ufficio di cui il g.i. ritiene opportuna la trattazione con riguardo «alla sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato». Con lo Schema correttivo, il Governo, preso atto delle criticità ed «accogliendo le sollecitazioni giunte da alcuni dei primi commentatori » (come testualmente si esprime la Relazione Illustrativa, 12) - seppur autorevolmente avversate da chi ritiene che la scelta di convertire il rito supponga il contraddittorio e «lo scambio delle memorie integrative» (CARRATTA, 45. Invece, GAMBINERI, 9, precisa che la «scelta di posticipare il passaggio dei rito all'udienza, cioè dopo il giro delle memorie integrative, rende la previsione priva di significato») - introduce la conversione immediata del procedimento, da ordinario in semplificato. In ogni caso, anticipare il mutamento del rito in sede di verifiche preliminari, come dispone o schema dell'articolato, garantisce «una sensibile accelerazione dei tempi di definizione della causa stessa» (Relazione Illustrativa, 15), una scelta che è conforme al principio di speditezza del processo. Non solo: tale scelta è stata suggerita dalla prassi pretoria, la quale tende a «saltare» gli adempimenti procedurali previsti in vista della prima udienza di comparizione (v., ad es., Trib. Piacenza 1° maggio 2023, in IUS Processo civile, con nota adesiva di MASONI, Correttivo riforma processo civile: prime considerazioni sulla conversione del rito ordinario in semplificato). Permettendo la conversione del rito da ordinario in semplificato giù in sede di verifiche preliminari, si incentiva l'utilizzo del rito semplificato di cognizione, come da più parti si era sollecitato; al contempo, la novella restituisce al giudice, nella sua pienezza, l'istituzionale compito di «direzione del procedimento», in funzione del suo «più sollecito e leale svolgimento» (art. 175 c.p.c.). La medesima Relazione (p. 3) claris verbis precisa che questo rappresenta uno degli obiettivi dell'intervento, che è rivolto a «favorire e ampliare l'impiego del rito di cognizione semplificato, che consente una notevole riduzione dei tempi del processo». La scelta di conversione immediata del rito non sembra ledere i diritti di difesa delle parti, dato che essi possono interloquire su di essa, seppur in momento successivo rispetto alla conversione, con memorie integrative (come disponeva il comma 1, parte finale, dell'art. 171-bis c.p.c., ora in fase di superamento), oltreché alla prima udienza (c.d. contraddittorio differito). La Relazione precisa che, innovando il testo base, «si è tenuto conto della necessità di salvaguardare il diritto di difesa delle parti e il contraddittorio» (p. 16). La possibilità di disporre il mutamento del rito in semplificato, anticipandola alla fase delle verifiche preliminari, diventa ulteriore doveroso adempimento posto a carico del giudice, con riferimento al riscontro del grado di complessità istruttoria della lite. Una verifica che si aggiunge al catalogo di quelle già previste dal (nuovo testo del) secondo comma dell'art. 171-bis c.p.c. e che il giudice sarà chiamato ad effettuare in sede anticipata rispetto alla prima udienza. Per quanto la scelta processuale di conversione del rito vada effettuata per una causa che si trova ancora in fase embrionale col thema decidendum ed il thema probandum non del tutto sviluppato, ma solo parzialmente abbozzato. Ciò potrà richiedere uno sforzo di immaginazione e di lungimiranza da parte del magistrato. In modo conseguenziale, la previsione riguardante l'espletamento di tale verifica in sede di udienza di prima comparizione (a tenore dell'art. 183-bis c.p.c.) viene abrogata dallo Schema correttivo. Il favor legislativo per l'utilizzo del procedimento semplificato di cognizione viene evidenziato, tra l'altro, dalla disposizione (solo parzialmente emendata dal testo dallo Schema: art. 281-decies, comma 2 c.p.c.) in forza della quale il rito semplificato può «sempre» essere adottato dal ricorrente (oggi innovata con la previsione: «Il giudizio può essere introdotto nelle forme del procedimento semplificato di cognizione anche se non ricorrono i presupposti di cui al primo comma»); rispetto al rito ordinario di cognizione, ritenuto pesante, ipertrofico, difficilmente gestibile, oltreché dai tempi di definizione dilatati e non predeterminabili, soprattutto in presenza di autorizzazione alla chiamata di terzo (o di chiamate di terzi a catena); un rito complicato e pesante, che si giustifica unicamente per le cause complesse, che nella prassi giudiziaria rappresentano una netta minoranza. Nel primo anno e mezzo di applicazione della riforma l'avvocatura ha preferito in larga misura utilizzare il percorso processuale, maggiormente garantito e sicuro, del rito ordinario di cognizione, caratterizzato dalla tradizionale «appendice scritta», ampio contraddittorio, termini di svolgimento dilatati, in tal modo contraddicendo la tendenza legislativa (espressa dalla riforma e ribadita dal correttivo) volta ad incentivare il rito più celere e semplificato. L'innovazione recata dallo Schema correttivo alla fase introduttiva del giudizio di primo grado, sottraendo la scelta del rito al difensore per allocarlo entro l'alveo della giurisdizione che prima interveniva in seconda battuta ex art. 183-bis c.p.c. (in presenza dei presupposti normativi dati; «causa documentale», «di pronta soluzione» o caratterizzata da una «istruzione non complessa»: art. 281-decies, comma 1 c.p.c.), enfatizza il potere direttivo del giudice, trasformando quest'ultimo in un case manager. Integrazione degli atti La scelta (per quanto la norma si riferisca genericamente al «giudice», mentre il primo comma novellato si riferisca correttamente al «giudice istruttore») di convertire il rito in semplificato non riveste natura discrezionale, dato che suppone la ricorrenza dei presupposti normativi (di cui al primo comma dell'art. 281-decies c.p.c.). Per quanto la giudiziale opzione, tra convertire o no il rito ordinario, rimanga un poco sfumata, la complessità della lite non essendo nozione statica e indiscutibile. Da un punto di vista dinamico, il giudice, mediante «decreto», dispone la conversione del rito, fissando la prima udienza del procedimento semplificato (art. 281-duodecies c.p.c.). Al contempo egli assegna alle parti un «termine perentorio» per «integrare gli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti». Come osserva la Relazione Illustrativa (p. 16), la modifica correttiva riproduce l'analoga previsione dettata dall'art. 426 c.p.c., in ipotesi di mutamento del rito da ordinario in speciale (lavoristico-locatizio). L'integrazione degli atti introduttivi è facoltativa, non necessaria, ad es., per le cause semplici e per quelle contumaciali. I termini di deposito sono «perentori» e sono assegnati dal g.i col decreto ex art. 171-bis c.p.c.; termini che, a seconda della scelta del magistrato, potrebbe essere sfalsati, ovvero, potrebbe essere assegnato un unico termine ad entrambe le parti. Il deposito della memoria è utile per contestare la decisione di conversione del rito, come pure per dotare la causa del necessario corredo probatorio, oltreché per eventualmente contestare le circostanze dedotte da controparte, fatta salva la possibilità di richiedere la concessione del duplice termine di deposito di memorie ex art. 281-duodecies, comma 4 c.p.c. «quando l'esigenza sorge dalle difese della controparte» (secondo l'innovata formulazione data dal Decreto correttivo). Dato che il convenuto può costituirsi in giudizio nella fase ordinaria ex art. 166 c.p.c., col decreto di cui all'art. 171-bis c.p.c., la prima udienza, susseguente a conversione del rito in semplificato, potrebbe essere cartolarizzata (art. 127-ter c.p.c.) o fissata con collegamento da remoto (art. 127-bis c.p.c.); dal momento che il rito semplificato non prevede comparizione personale delle parti, ovvero espletamento di ulteriori attività processuali incompatibili con la sostituzione dell'udienza (interrogatorio libero e tentativo di conciliazione). Immutato il testo dell'art. 281-duodecies, non è escluso che, una volta disposta conversione del rito in semplificato, alla prima udienza, melius re perpensa, il giudice possa nuovamente convertire il procedimento nel rito ordinario (come dispone il 1° comma di questa norma), pronunziando «ordinanza non impugnabile», come ha cura di evidenziare la Relazione. Si segnala ancora un'indiretta innovazione normativa incidente sul rito semplificato. Lo Schema correttivo è intervenuto sull'art. 645 c.p.c., sostituendo il riferimento all'atto di citazione con la più generica nozione di «atto introduttivo». Come spiega la Relazione Illustrativa (p. 28), ciò è stato previsto alla luce del fatto che «l'opposizione a decreto ingiuntivo può essere proposta anche nelle forme del rito semplificato o del rito del lavoro». In tal modo, resta validato l'orientamento interpretativo che riteneva possibile avanzare opposizione al monito nelle forme del procedimento semplificato, ed anche tale innovazione tende ad ampliarne l'alveo applicativo del rito semplificato. Decorrenza dei termini di deposito delle memorie integrative Il correttivo interviene sul (nuovo) quinto comma dell'art. 171-bis c.p.c., disponendo: «Il giudice istruttore provvede con decreto, che è comunicato alle parti costituite dalla cancelleria. I termini di cui all'articolo 171-ter iniziano a decorrere quando è pronunciato il decreto previsto dal terzo comma e si computano rispetto all'udienza fissata nell'atto di citazione o a quella fissata dal giudice istruttore a norma del presente articolo». L'innovazione è giustificata dall'esigenza di fare chiarezza sul punto e garantire la certezza del diritto: «La modifica ha anche lo scopo di eliminare ogni dubbio circa il fatto che in sede di verifiche preliminari il giudice deve in ogni caso emettere un provvedimento di conferma o differimento dell'udienza, anche se non adotta uno dei provvedimenti relativi alla corretta instaurazione del contraddittorio e in precedenza descritti. Ciò in quanto una volta scaduto il termine di 15 giorni le parti devono poter avere contezza del fatto che le verifiche preliminari sono state effettivamente svolte e quindi il processo può procedere nelle sue fasi successive: il deposito delle memorie integrative e l'udienza di comparizione delle parti» (Relazione, 16). Si precisa, ancora: «In mancanza di un provvedimento espresso, infatti, le parti resterebbero sempre esposte al dubbio circa l'esito delle verifiche, non potendo sapere se queste sono state svolte con esito positivo o, al contrario, non sono state ancora effettuate dal giudice e non sarebbero quindi messe in condizione di sapere se nel frattempo decorrono i termini per il deposito delle memorie di cui all'art. 171-ter c.p.c. Esse sarebbero quindi verosimilmente indotte a depositare comunque le note, per non rischiare di incorrere in decadenze, con la conseguenza che una successiva – per quanto tardiva – pronuncia del decreto renderebbe inutile l'attività svolta e potrebbe vanificare eventuali strategie processuali articolate dalle difese: eventi, questi, che determinerebbero un inutile appesantimento del processo e maggiori oneri per le parti e i loro avvocati». Il Correttivo non risolve i problemi che la pratica ha segnalati, relativi:
Con riguardo a quest'ultimo problema, il parere espresso dal C.S.M. sul correttivo (p. 21) ritiene che il problema evidenziato trovi risoluzione «nel sistema processuale civilistico», «potendo le parti chiedere al giudice la rimessione in termini allorché il loro diritto risulti indebitamente compresso» (art. 153, comma 2 c.p.c.). Tale istanza costituisce la via maestra a tutela del diritto di difesa, cui va unita istanza di differimento della prima udienza, onde garantire nella sua pienezza il diritto di difesa, che si concreta nella facoltà di depositare la prima memoria integrativa nel termine di 15 giorni previsto dal codice. Nel caso in cui siano invece omesse le verifiche preliminari (senza differire o confermare la data della prima udienza, omettendo completamente la pronunzia del decreto), il Correttivo non ha preso posizione. L'interprete deve rinvenire nel sistema la risposta. A tenore dell'art. 171-ter c.p.c., i termini di deposito delle memorie integrative decorrono a ritroso dalla data dell'udienza ex art. 183 c.p.c. In tal caso, in difetto di pronunzia di decreto di differimento, la stessa dovrebbe ritenersi implicitamente confermata. In tal senso si è espresso di recente una pronunzia di merito (Trib. Bologna, 17 maggio 2024, n. 1466). L'ordinanza felsinea ha ritenuto che il termine di deposito delle memorie ex art. 171-ter c.p.c. decorra a ritroso dalla prima udienza, anche se il giudice non si sia pronunziato sulle verifiche preliminari o lo abbia fatto tardivamente (in IUS Processo civile, con nota di PEZZELLA, Le conseguenze della tardiva emissione del decreto ex art. 171-bis c.p.c.). L'udienza interlocutoria Da più parti è stato segnalato che uno dei punti più delicati, di maggiore criticità, emergenti dal nuovo meccanismo preliminare affidato al controllo giudiziale delle questioni preliminari consisterebbe nella verifica giudiziale in «solitaria», senza contraddittorio, delle questioni e dei vizi procedurali impedienti l'esame del merito (BIAVATI 323-324; REALI, 111. Anche il Parere del C.S.M., Delibera in data 8 maggio 2024, 21, osserva che questa è «una delle criticità principali evidenziate dalla giurisprudenza di merito»). Si evidenzia che la mancanza di contraddittorio sulle questioni preliminari potrebbe non giovare all'individuazione dei vizi processuali, che potrebbe in tal modo emergere solo in sede di udienza ex art. 183 c.p.c., con conseguente regressione/allungamento dei tempi del processo. Analogamente, la verifica solitaria potrebbe indurre a ritenere esistenti vizi in realtà insussistenti, mentre il contraddittorio sul punto avrebbe potuto evitare la pronunzia di provvedimenti ex art. 171-bis c.p.c., con differimento dell'udienza ed allungamento dei tempi di durata del giudizio. Memore di queste criticità, l'Osservatorio di Firenze ha previsto la fissazione di un'udienza anticipata o udienza filtro rispetto a quella ex art. 183 c.p.c., ove dibattere in contraddittorio sulle questioni preliminari. Analogamente, si è mossa la prassi del Tribunale di Rovigo. Fondandosi sull'art. 117 c.p.c. ed una volta esperite le verifiche preliminari, si è deciso di fissare un'udienza anticipata nella quale dibattere sull'eventuale conversione del rito da ordinario in semplificato, previa sospensione dei termini di deposito delle memorie integrative (sul punto si rimanda al Resoconto su La riforma della giustizia civile, primo seminario, svoltosi in data 7 marzo 2024, organizzato da MD. Concorda SAVANESCHI, 5). Il citato parere del C.S.M. ha evidenziato l'opportunità di introdurre nel testo del correttivo la previsione di «un'udienza volta alla verifica nel contraddittorio con le parti, di quanto segnalato con il decreto ex art. 171-bis c.p.c.» (concorda SALVANESCHI, 3). La pronunzia della Corte Costituzionale n. 96/2024 A seguito dell'espressione dei pareri parlamentari allo Schema di correttivo, sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale (Corte Cost., 3 giugno 2024, n. 96, in Ius Processo civile, con nota di MASONI, Decreto di fissazione dell'udienza e principio del contraddittorio). La Corte si è mossa seguendo in modo conforme rispetto alle opinioni espresse in precedenza, favorevoli alla piena garanzia del contraddittorio in fase preliminare; in particolare, caldeggiando una soluzione interpretativa che preveda la fissazione di un'udienza ad hoc, adottando una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 171-bis c.p.c., col rigetto della questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale di Verona (Trib. Verona, 22 settembre 2023, est. Vaccari, Proc., 2023, 3, 999 e segg, con nota della CAPASSO, la quale esclude i profili di illegittimità costituzionale paventati dal remittente. Per l'incostituzionalità, invece, VOLPINO, 2084). In estrema sintesi, la Corte ritiene che le questioni sollevate vadano rigettate, per quanto il nuovo testo normativo sottoposto al suo scrutinio vada interpretato, per non soggiacere ad illegittimità costituzionale, nel senso della necessità del contraddittorio pieno delle parti, pronunziando i provvedimenti di cui al comma 2 dell'art. 171-bis c.p.c. In particolare, interpretando il testo normativo nel senso della necessaria fissazione di un udienza ad hoc prima di quella di cui all'art. 183 c.p.c., onde garantire il contraddittorio sul punto. Solo in tal modo sarebbe evitato un contrasto della norma impugnata con l'art. 24 Cost. Omessa previsione dell'udienza intermedia Smentendo gli auspici da più parte manifestati, il Correttivo (ultima versione) si segnala per una significativa omissione sul punto. Dal testo normativo emerge che il Governo non ha inteso dare attuazione all'interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte nella sentenza interpretativa di rigetto testé richiamata. Il testo del Correttivo (seconda versione) non prevede che il giudice sia tenuto a fissare un'udienza ad hoc per decidere sulle questioni preliminari ovvero per procedere a conversione del rito in semplificato. A commento delle nuove norme, taluno ha ritenuto che la scelta governativa compiuta in tema di contraddittorio offrirebbe «un risultato peggiorativo» osservando, in particolare, che il legislatore dovrebbe, invece, «tener conto delle sollecitazioni provenienti dalla Consulta, pena la sicura prospettica incostituzionalità di una disposizione che fosse con quest'ultima in contrasto» (TISCINI, in Judicium, 11 giugno 2024). Prevedere un'udienza intermedia, da fissare nello spazio temporale intercorrente tra la pronunzia del decreto ex art. 171-bis c.p.c. e l'udienza di prima comparizione, può comportare un sicuro allungamento dei tempi del processo, con differimento dell'udienza di primo contatto tra giudice e parti, nell'ordine di diversi mesi (sicuramente di 70 giorni, termine necessario al deposito delle tre memorie integrative ex art. 171-ter c.p.c. e poi di un ulteriore tempo, vari mesi, per la ricollocazione della nuova udienza da fissare ex art. 183 c.p.c. nel ruolo del giudice); oltreché suscitare problemi nel funzionamento degli Uffici giudiziari, correlati all'aumento degli adempimenti di cancelleria e pure difficoltà di gestione del ruolo giudiziale; problemi che la pratica ben conosce e che sarebbe miope misconoscere. Pur essendo la Corte consapevole del problema dell'allungamento dei tempi del processo che l'interpretazione dalla stessa indicata comporta, la medesima ritiene tale criticità superabile; in particolare, ricordando che «l'esigenza della rapidità del processo non può pregiudicare la completezza del sistema delle garanzie della difesa e comprimere oltremisura il contraddittorio tra le parti». Se questo è il punto di vista della giurisprudenza costituzionale, il Governo, ritenendo di non innovare la fase preliminare del giudizio come da più parti suggerito, ha inteso effettuare una precisa scelta di campo, oltreché di valori, in linea, come chiarisce la (nuova versione della) Relazione Illustrativa, con i canoni dettati dalla riforma del 2022, che è rivolta a garantire «speditezza del processo civile nel quadro degli impegni assunti col PNRR» ed anzi «contribuendo ad accelerare il raggiungimento di quelli da raggiungere» (pag. 2). Come si vede, nelle scelte di campo effettuate dal Correttivo, i due valori costituzionali richiamati vengono invertiti: dato che il bene della ragionevole durata prevale rispetto alla garanzia della difesa in giudizio. Ciò in armonia con i canoni enunciati dalla delega, nell'ottica di garantire attuazione ed anzi implementazione degli obiettivi del PNRR. La garanzia del contraddittorio differito In passato si è chiesti se non sia maggiormente funzionale all'efficienza del neofita sistema processuale ritenere che, sulla questione decisa solitariamente dal giudice in fase preliminare ex art. 171-bis c.p.c., costituisca sufficiente valvola di sfogo garantire il contraddittorio “differito”, attuabile all'udienza di prima comparizione delle parti, come, d'altro canto, la Corte espressamente evidenzia: «In quella sede, il giudice, con ordinanza, potrà confermare, modificare o revocare il decreto emesso in precedenza, prendendo in esame le ragioni delle parti» (in tal senso, in dottrina, LUISO, 71; CAPASSO, 1006). Si noti poi che il codice di rito civile contiene identica soluzione tecnica, ad es. in materia cautelare, laddove è previsto il contraddittorio differito in udienza a fronte di pronunzia di decreto cautelare reso inaudita altera parte. Si prevede che il decreto possa essere confermato, modificato o revocato dal giudice in udienza (v. art. 669-sexies c.p.c.), senza che questa previsione mai sia stata tacciata di violazione del contraddittorio difensivo. Il provvedimento cautelare pronunziato inaudita altera parte incide in modo particolarmente significativo e penetrante sul bene della vita (fino a quando lo stesso non sia confermato o revocato in udienza). Ebbene, lo stesso si riverbera in modo immediato e diretto sui diritti delle parti, se non concretamente di più, rispetto ad un provvedimento di integrazione del contraddittorio oppure di autorizzazione alla chiamata di terzo pronunziata a processo pendente. La sentenza interpretativa di rigetto Un'ultima chiosa. La pronunzia costituzionale Corte Cost., 3 giugno 2024, n. 96 è una sentenza interpretativa di rigetto. Questa tipologia di decisione, come ha chiarito la dottrina costituzionalistica, presenta un inconveniente. Dato che la pronunzia è vincolante unicamente per il giudice remittente, non quindi erga omnes; in tutti gli altri casi, restando al giudice il «potere/dovere di interpretare in piena autonomia le disposizioni di legge a norma dell'art. 101 Cost., purché ne dia lettura costituzionalmente orientata, ancorché differente da quella indicata nella decisione di rigetto» (MARTINEZ, 527). Questo significa che l'interpretazione del giudice costituzionale “non è vincolante per i magistrati ordinari (che sono «soggetti soltanto alla legge»; art. 101, comma 2 Cost.), rappresentando per i medesimi solo una presunzione ragionevole che la legge vada interpretata nel modo indicato» (BISCARETTI DI RUFFIA, 604). D'altro canto, non consta che, in concreto, l'interpretazione fornita dalla Corte al testo dell'art. 171-bis c.p.c., almeno fino ad ora, abbia trovato eco nella giurisprudenza di merito. In sostanza, l'interpretazione della Corte Costituzionale non sembra l'unica costituzionalmente conforme al testo dell'art. 171-bis c.p.c., laddove esso dispone la pronunzia solitaria, da adottare con decreto sulle questioni preliminari. In particolare, potendosi ipotizzare che costituisca idonea garanzia difensiva per le parti il «modello di contraddittorio differito compatibile con l'art. 24 Cost.», da attuarsi ex post, all'udienza di prima comparizione delle parti, sui decreti solitariamente pronunziati in sede di verifiche preliminari, come del resto ha evidenziato la stessa pronunzia costituzionale (§ 8.7). Cosicché in tal sede, a contraddittorio pieno, il giudice può rivedere il proprio decreto, «provvisorio e non motivato», se del caso revocandolo o modificandolo, sempreché lo stesso non abbia prodotto effetti processuali irreversibili, avendo disposto, ad es., l'estensione del contraddittorio (con la chiamata del terzo, oppure l'integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c.). Come ha precisato la stessa pronunzia della Corte, tale soluzione è già presente nel «sistema processuale». Nell'ultima ipotesi segnalata, neppure si dimentichi che i casi di estensione del contraddittorio con chiamata di terzo in causa sono, statisticamente, rari, cosicché non sarebbe logico, né razionale, stravolgere l'architettura della fase introduttiva del giudizio di primo grado, fondandosi non sulla regola, ma sull'eccezione. Senza, da ultimo, ribadire che la previsione generalizzata di un'udienza intermedia (prima di quella di comparizione delle parti) determinerebbe un sicuro allungamento dei tempi del processo, in contrasto con uno degli obiettivi primari della riforma del 2022 e del PNRR. Riferimenti
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