È profitto del riciclaggio anche rimanere sul mercato grazie alle somme ricevute e provenienti da delitto
31 Ottobre 2024
Massima Una persona giuridica deve ritenersi coinvolta – e quindi beneficiata – da condotte di riciclaggio ogni qualvolta la stessa riceva da terzi soggetti somme di provenienza illecita, essendo irrilevante la circostanza che a fronte del pervenimento di tali somme la società diventi debitrice nei confronti del soggetto da cui ha ricevuto il denaro, posto che in queste circostanze l'impresa vede comunque accresciuto il proprio patrimonio e può utilizzarlo per la prosecuzione della propria attività secondo modalità più favorevoli rispetto a quelle riscontrabili in assenza del fatto di riciclaggio. Il caso Una società era indagata per l'illecito da reato di cui art. 25-octies d.lgs. n. 231/2001 in relazione a condotte di riciclaggio poste in essere dall'amministratore unico e legale, In particolare, l'amministratore aveva ricevuto somme di provenienza illecita e le aveva poi trasferite alla persona giuridica che aveva beneficiato della disponibilità di tale denaro di provenienza delittuosa per proseguire l'attività d'impresa, anche mediante l'adempimento di obbligazioni tributarie. Va precisato, tuttavia, che nel bilancio della società, tuttavia, era iscritto un debito nei confronti dell'amministratore in relazione alle somme da queste prestate all'azienda stessa e quindi, a conclusione dell'intera vicenda, se da un lato l'ente aveva estinto il debito nei confronti del Fisco, dall'altro aveva un'esposizione debitoria nei confronti del suo amministratore. Nei confronti dell'impresa era disposto il sequestro preventivo del presunto profitto del reato, sequestro parzialmente annullato in sede di riesame. Contro tale decisione, nella parte in cui lasciava residuare un vincolo su somme nelle disponibilità della suddetta società, era presentato ricorso per cassazione. Nel gravame, per quanto di interesse in questa sede, si contestava la natura e consistenza del profitto che i giudici di merito assumevano costituire oggetto del sequestro finalizzato alla confisca. A dire della difesa, le somme indicate come corrispondenti al profitto del reato di reimpiego di cui all'art. 648-ter c.p., nella realtà rappresentavano esclusivamente una disponibilità finanziaria ottenuta temporaneamente dalla società per adempiere alle obbligazioni assunte nei confronti dell'amministrazione finanziaria: tuttavia, posto che, contestualmente all'estinzione del debito verso il Fisco, originava e risulta in bilancio l'obbligo di restituire le medesime somme a coloro che le avevano erogate doveva ritenersi che dall'operazione illecita non fosse derivato alcun profitto, sia nei confronti della persona fisica che aveva operato, sia nei confronti della persona giuridica, difettando alcun vantaggio patrimoniale o incremento monetario ed essendo indimostrata la pertinenzialità delle somme sequestrate nel 2023 rispetto al denaro che si assumeva essere il profitto del reato presupposto commesso nell'anno 2021. La questione Sul tema dell'individuazione del profitto dei reati di riciclaggio, reimpiego ed autoriciclaggio, la giurisprudenza sì è soffermata per più aspetti ed in diverse e numerose occasioni. In particolare, i dubbi vertono sulla possibilità di colpire con provvedimenti ablatori tutte le somme che vengono impiegate nell'operazione di money laudering o solo gli ulteriori vantaggi che il singolo ha ottenuto con tali condotte. Detto altrimenti, mediante i reati di riciclaggio e reimpiego è possibile rinvenire un profitto ulteriore rispetto a quello rappresentato dalla “ripulitura” delle somme e bene di provenienza illecita? In alcune decisioni, infatti, si afferma che «il profitto dei reati di riciclaggio e reimpiego di denaro è costituito dal valore delle somme oggetto delle operazioni dirette a ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, posto che, in assenza di tali operazioni, esse sarebbero destinate a essere sottratte definitivamente, essendo provento del delitto presupposto. Il denaro, i beni o le altre utilità trasferite ovvero manipolate in modo da ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa si presterebbero dunque ad essere qualificate come prodotto del reato, rappresentando il risultato empirico dell'attività illecita in cui si sostanzia la fattispecie, in quanto tale assoggettabile a vincolo ex art. 648-quater, comma 1 e 2, c.p.» (Cass. pen., sez. II, 11 marzo 2024, n. 10218). Tale orientamento, tuttavia, è contrastato dalla tesi secondo cui “in tema di riciclaggio, la confisca per equivalente del profitto del reato è applicabile solo con riferimento al valore del vantaggio patrimoniale effettivamente conseguito dal "riciclatore" e non sull'intera somma derivante dalle operazioni poste in essere dall'autore del reato presupposto, poiché, non essendo ipotizzabile alcun concorso fra i responsabili dei diversi reati, la misura ablativa non può essere disposta per un importo superiore al provento del reato contestato (Cass. pen., sez. II, 19 gennaio 2023, n. 2166), anche se si riconosce che i benefici economici ottenuti per il tramite delle condotte criminose in questione possono essere individuati dal giudice anche mediante elementi di tipo presuntivo, purché ancorati a concrete circostanze (Cass. pen., sez. II, 9 dicembre 2020, n. 35031). In quest'ottica, nel caso di consumazione dei delitti di autoriciclaggio e riciclaggio da parte di soggetti diversi, si afferma che all'autore di tale ultima condotta è sequestrabile soltanto l'importo del profitto di tale delitto e non anche di quello derivante dalle operazioni poste in essere dall'autore dell'autoriciclaggio, che può avere ad oggetto somme superiori o quantitativi di beni di origine illecita trasferiti a soggetti giuridici differenti (Cass. pen., sez. II, 20 maggio 2019, n. 22020). In dottrina, Di Maio, I “limiti taciti” giurisprudenziali della confisca obbligatoria nel delitto di riciclaggio, in Arch. Pen. web, 2022, fasc. 1; Cerqua, I soggetti attivi e l'oggetto materiale del delitto di riciclaggio, in Dir. Prat. Soc., 2009, 4, 37; Cisterna, La natura promiscua della confisca tra misura di sicurezza e sanzione punitiva in rapporto alle tecniche sanzionatorie della criminalità da profitto, in La giustizia patrimoniale penale, a cura di Bargi-Cisterna, Torino 2011, 49. Il tema è stato esaminato anche con riferimento al riciclaggio che coinvolga strutture societarie, imputate ai sensi dell'art. 25-octies d.lgs. n. 231/2001. Con riferimento a tali ipotesi, l'attenzione si è soffermata – analogamente a quanto si riscontra relativamente anche ad altre fattispecie delittuose che rappresentano reati presupposto della responsabilità delle società – sulla possibilità di scomputare dall'ammontare di quanto ricavato dall'impresa dalla sua condotta illecita le spese ed i costi sopportati per le attività di laudering. Alla questione è stata data risposta negativa: in una vicenda relativa al riciclaggio, da parte di un istituto di credito, dei proventi di delitti di frode fiscale e di appropriazione indebita, in cui la Corte ha ritenuto confiscabile l'intera somma oggetto delle illecite operazioni, e non il solo utile ricavato dal predetto istituto e ciò in quanto il profitto confiscabile ex art. 19 d.lgs. n. 231/2001 deve essere identificato con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto, sicché, laddove questo sia integrato da un'operazione economica interamente illecita, l'ablazione deve investire l'intero importo che ne sia oggetto, senza alcuna distinzione tra "profitto lordo" e "profitto netto" (Cass. pen., sez. II, 14 luglio 2023, n. 30656). Sulla scorta di questa impostazione si è giunti a sostenere che «in tema di riciclaggio, è legittima la confisca ai sensi dell'art. 648-quater c.p. dell'intero complesso aziendale di una società, qualora sia riscontrabile una inestricabile commistione e contaminazione tra attività lecite ed illecite svolte dalla società che non può non ripercuotersi a danno dell'imputato titolare della stessa» (Cass. pen., sez. II, 5 marzo 2021, n. 9102). Le soluzioni giuridiche Il ricorso è stato rigettato. Secondo la Corte di legittimità, la tesi difensiva – che sosteneva che l'impiego delle somme, ricevute dalla società attraverso il socio unico, in quanto destinate a soddisfare pretese fiscali non avrebbero potuto integrare alcun vantaggio patrimoniale, trattandosi di operazione che ha comportato l'assunzione del debito nei confronti del socio finanziatore – è insostenibile (“collide con la realtà economico finanziaria”, come si legge nella decisione) poiché la disponibilità delle somme conseguita dalla società, attraverso la condotta di reato realizzata dalla legale rappresentante (che aveva consapevolmente ricevuto somme di denaro di provenienza illecita, “in difetto di alcun legame funzionale o di rapporti commerciali con l'ente che aveva eseguito i bonifici, ente pacificamente operante in violazione di norme tributarie”), aveva incrementato il patrimonio della società che grazie a quell'operazione aveva potuto adempiere alle obbligazioni tributarie (possibilità che, in difetto dell'erogazione di quelle somme, non si sarebbe potuta realizzare determinandosi così il rischio di iniziative esecutive o di liquidazione giudiziale ovvero la possibilità per la società di esser posta fuori dal mercato). In sostanza, secondo la decisione in commento, può ritenersi una persona giuridica risulti coinvolta – e quindi sia stata beneficiata – da condotte di riciclaggio ogni qualvolta la stessa riceva da terzi soggetti somme di provenienza illecita, essendo irrilevante la circostanza che a fronte del pervenimento di tali somme la società diventi debitrice nei confronti del soggetto da cui ha ricevuto il denaro, posto che in queste circostanze l'impresa vede comunque accresciuto il proprio patrimonio e può utilizzare tale beneficio secondo le più diverse modalità – ad esempio, nel caso di specie per saldare debiti tributari che altrimenti non avrebbe potuto soddisfare. Osservazioni La sentenza della Cassazione, pur se di lettura non agevole, è assai rilevante perché individua con modalità affatto particolari il profitto dei reati di riciclaggio e poi declina una tale conclusione con riferimento alla posizione della posizione delle persone giuridiche ai sensi del d.lgs. n. 231/2001. Come si è detto in precedenza, nell'ambito dei delitti di riciclaggio i dubbi da sempre vertono sulla capacità eziologica delle condotte descritte dagli artt. 648-bis ss. c.p. di dare origine ad un profitto ulteriore rispetto a quello rappresentato dalla “ripulitura” delle somme e beni di provenienza illecita. Orbene, la Cassazione risponde in senso positivo alla questione ma utilizza a tal fine un'argomentazione assolutamente inedita posto che secondo i giudici di legittimità il profitto del reato di riciclaggio può essere individuato non nel solo nella circostanza che il riciclatore viene in possesso di ulteriori disponibilità rispetto a quelle di cui poteva godere in precedenza, ma anche nel fatto che un tale accrescimento del proprio patrimonio (quand'anche temporaneo) conferisce a chi ne benefica una serie di possibilità ed opzioni di cui in precedenza non poteva godere. Una tale considerazione è particolarmente rilevante quando le condotte di riciclaggio sono tenute – come accade di frequente – nell'ambito di attività commerciali e consistono nell'investimento del denaro di provenienza illecita in queste strutture aziendali. In tali ipotesi, infatti, di regola, la persona giuridica riceve liquidità di provenienza illecita da terzi soggetti ma al contempo diventa debitore verso i suoi finanziatori; potrebbe quindi sostenersi (come appunto preteso nella vicenda de quo dalla difesa) che dalla condotta di riciclaggio non sia derivato alcun profitto, posto che il valore positivo della voce dell'attivo rappresentata dal finanziamento è “compensato” dalla voce attestante il correlato debito. È proprio in relazione a tali circostanze che può cogliersi l'importanza delle decisione in commento, la quale richiama l'attenzione dell'interprete (non sul mero accrescimento effettivo del patrimonio aziendale, che nelle ipotesi considerate potrebbe anche sostenersi essere assente visto l'obbligo di restituzione delle somme ricevute in un primo momento, ma) sui i vantaggi che derivano dalla disponibilità, sia pur temporanea, di una maggiore liquidità. La conclusione della Cassazione ci pare meriti senz'altro adesione. Per rimanere alla vicenda cui si riferisce la pronuncia in commento, nel caso di specie l'azienda all'interno della quale era stata tenuta la condotta di riciclaggio aveva potuto utilizzare le somme di provenienza illecita ricevute per saldare il proprio debito erariale, che altrimenti sarebbe rimasto insoluto per mancanza di liquidità: basta pensare a quali sarebbero state le conseguenze di un omesso pagamento (aumento del debito in conseguenza di sanzioni ed interessi, possibili provvedimenti cautelari, incidenza del fatto sugli affidamenti bancari, ecc.), per concordare sul fatto che la sola circostanza di aver goduto di maggiore liquidità – pur con la contestuale insorgenza di un obbligo di restituzione delle somme ricevute – ha arrecato all'impresa benefici non irrilevanti. Va certo sottolineato che si tratta di un'impostazione assai severa per le imprese. Innanzitutto, ci pare che dalla impostazione adottata dalla Cassazione con la decisione in commento derivi la conclusione che il profitto del delitto di riciclaggio – almeno in circostanze analoghe a quelle oggetto della presente pronuncia – vada individuato nella totalità delle somme di provenienza illecita di cui l'impresa ha la disponibilità e che sono entrate – anche se in via temporanea – a far parte del proprio patrimonio. In secondo luogo, anche se su tale profilo la decisione non si sofferma, sembra che la Cassazione ribadisca che i delitti di riciclaggio e reimpiego possano sussistere – diversamente da quanto previsto per il reato di autoriciclaggio - anche laddove l'utilizzo delle somme di provenienza illecita avvenga senza occultare in alcun modo tale origine criminale: nel caso di specie, infatti, la società non sembra aver in alcun modo occultato la circostanza che il denaro provenisse dal proprio amministratore né che lo stesso fosse stato utilizzato per esigenze dell'impresa ed in particolare per pagare debiti tributari. |