Il rapporto fra bancarotta fraudolenta patrimoniale e autoriciclaggio di nuovo all’attenzione della Cassazione

Ciro Santoriello
08 Novembre 2024

La S.C. affronta il tema dei rapporti fra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e l’autoriciclaggio. In adesione ad una consolidata giurisprudenza, quest’ultimo viene escluso nel caso di specie in quanto risulterebbe mancare una condotta temporalmente successiva al delitto di bancarotta fraudolenta, che sia caratterizzata da tratti ulteriori connotanti la condotta dell'indagato.

Massima

 Affinché sia integrata una condotta di autoriciclaggio che sia distinta dal momento distrattivo da cui origina il profitto da reimpiegare è necessario che si rinvenga un'attività ulteriore rispetto alla sottrazione della risorsa all'impresa fallita, che eviti indebite sovrapposizioni applicative tra le due disposizioni di cui agli artt. 322, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 14 del 2019 e 648 ter.1 c.p.  

Il caso

In sede di riesame, veniva annullata parzialmente l’ordinanza cautelare che aveva riconosciuto, nei confronti dell’amministratore di una società fallita, la sussistenza di gravi indizi per plurime condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale e da reato societario nonché per il delitto di autoriciclaggio: in particolare, nel caso di specie si era accertato che le somme distratte dal patrimonio della società fallita erano poi confluite in altre realtà aziendali, dirette e gestite dall’amministratore della prima, ed avevano fatto ingresso nel loro ciclo produttivo.

A fronte di questi dati di fatto, pressoché indiscussi, il tribunale del riesame aveva motivato la sua decisione di annullamento ritenendo che la condotta di riciclaggio contestata all'indagato - consistente nel trasferimento dei fondi dalla fallita ad altre società facenti capo al medesimo soggetto - coincidesse con la stessa condotta distrattiva di cui il medesimo era accusato. In sostanza, secondo il tribunale del gravame non vi sarebbe stata alterità della condotta rispetto a quella di bancarotta, risolvendosi il fatto di autoriciclaggio, così come contestato, nella stessa operazione depauperativa nei confronti della società fallita, ancorché accompagnata anche da artifici contabili.

L’ufficio inquirente ha impugnato la decisione in parola. Partendo da una ricostruzione della natura giuridica dell'autoriciclaggio quale reato istantaneo e di pura condotta, che si consuma con l'impiego, la sostituzione o il trasferimento del denaro (o di altre utilità) provenienti da delitto non colposo ovvero con l'attuazione di operazioni che ne ostacolino la provenienza delittuosa, e sottolineando come la dissimulazione della provenienza delittuosa del denaro possa ravvisarsi pure laddove la "ripulitura" dia luogo anche solo ad una mera difficoltà nell'individuazione della provenienza dei beni, il pubblico ministero ha sostenuto che lo spostamento di denaro dal conto della fallita a quello delle altre società costituisce un fatto diverso e successivo rispetto alla condotta di bancarotta e che l'ingresso nel patrimonio delle beneficiarie sarebbe stato finalizzato, nell'ottica dell'indagato, a mascherare l'effettiva provenienza del denaro grazie alla confusione con somme di provenienza lecita e al loro ingresso nel ciclo produttivo delle società riceventi, di cui avrebbero potenziato la capacità finanziaria e patrimoniale. A quest’ultimo proposito, il ricorso ha sottolineato che la costituzione di un conto corrente bancario da parte di una società determina effetti economici per il contraente (si pensi agli interessi che maturano) e che la società, per sua stessa natura, è un soggetto giuridico costituito al fine di svolgere un'attività economica.

La questione

Il tema dei rapporti fra i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e di autoriciclaggio è giunto più volte all'attenzione della giurisprudenza, la quale ha da sempre ritenuto necessario individuare i tratti distintivi delle due fattispecie onde evitare che la medesima condotta sia addebitata all'autore del fatto sia come distrazione che come impiego rilevante ex art. 648- ter.1 c.p.

Il problema origina dalla circostanza che assai di frequente - specie in relazione a fallimenti di non particolare rilievo, che coinvolgono imprese di minimali dimensioni - l'amministratore della società in crisi, quando si avvede che la situazione patrimoniale ed economica della stessa è ormai irrecuperabile, sceglie di proseguirne l'attività mediante altre imprese – che possono essere operative già in precedenza o che vengono poste in essere per l'occasione – sempre a lui riferibili; in tal caso, a tali nuove società sono trasferiti, senza il versamento di alcun corrispettivo, beni, denaro ed altre disponibilità facenti in precedenza capo alla società decotta, la quale, una volta privata di ogni possibilità di proseguire la sua attività, è irrimediabilmente destinata ad un fallimento con esito assolutamente insoddisfacente per i creditori.

Sul fatto che l'ingiustificata depauperazione del patrimonio aziendale realizzata nelle modalità descritte integri una fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale a mezzo di distrazione del patrimonio aziendale non è dato di dubitare.

Dubbi, invece, si profilano in ordine alla possibile sussistenza, nelle vicende in esame, anche dell'ipotesi delittuosa di autoriciclaggio.

Sul punto, inizialmente la Cassazione si era espressa in senso negativo valorizzando in tal senso la espressa formulazione dell'art. 648 ter.1 che richiede, per il perfezionarsi del delitto, che le condotte di autoriciclaggio risultino idonee ad ostacolare concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa dei beni reimmessi nell'economia di mercato, dovendo quindi il comportamento contestato al bancarottiere – per la sussunzione sotto la fattispecie di money laudering – essere «connotato da un quid pluris eloquente di una particolare idoneità dissimulatoria rispetto all'origine del denaro» (Cass., sez. V, 1° febbraio 2018, n. 8851).

Nel giro di alcuni mesi, questo orientamento è stato sottoposto a leggera rivisitazione ed è diventata costante in giurisprudenza la tesi – ripresa anche nella decisione in commento - secondo cui «il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale consistente nell'illecito ed ingiustificato trasferimento di beni aziendali della società fallita a vantaggio di altre imprese gestite dal medesimo amministratore può concorrere con il delitto di autoriciclaggio purché nella vicenda siano rinvenibile un quid pluris di condotta riferibile in via esclusiva al reato di autoriciclaggio» (Cass., sez. V, 21 giugno 2019, n. 37503). In conformità di tale orientamento, è stato rinvenuto, quale condotta idonea ad impedire l'identificazione della provenienza delittuosa del bene distratto e quale elemento differenziale rispetto alla condotta di bancarotta fraudolenta indispensabile per l'integrazione della fattispecie di autoriciclaggio, nel caso di distrazione di azienda, l'impiego in attività economiche e finanziarie dell'utilità di provenienza illecita (Cass., sez. II, 21 giugno 2019, n. 37503) ovvero la "polverizzazione" del patrimonio dell'impresa fallita, reimpiegato nella creazione di diverse società "cloni" intestate a prestanome (Cass., sez. V, 4 gennaio 2020, n. 1203).

La decisione della Cassazione

Il ricorso è stato rigettato.

La Cassazione ha sottolineato come la necessaria distinzione fra il delitto di bancarotta fraudolenta documentale ed il delitto di autoriciclaggio – quando la distrazione sia consistita nella destinazione delle risorse depredate dall'azienda fallita a vantaggio di altri enti commerciali – si rinvenga, secondo consolidata giurisprudenza, da un lato, nella possibilità di rinvenire una scansione temporale tra le condotte tipiche dei due reati, quello fallimentare e quello codicistico e, dall'altro, nella possibilità di rinvenire, nelle circostanze concrete della singola vicenda, una condotta fraudolenta e dissimulatoria quale modalità per allontanare il bene distratto dalla sua origine, rendendo così difficile l'individuazione della sua provenienza delittuosa.

Quanto al primo aspetto, si evidenzia come caratteristica essenziale della fattispecie di cui all'art. 648-ter.1 c.p. sia, anche alla luce della formulazione letterale del dato codicistico, la collocazione della condotta di autoriciclaggio in un momento temporalmente successivo alla commissione del reato presupposto, che ha generato i beni, il denaro o le altre utilità poi impiegate, sostituite o trasferite in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative. Nel citato art. 648 ter.1, infatti, è utilizzato il gerundio passato nella frase «avendo commesso o concorso a commettere un delitto» ed il participio presente nell'ulteriore sintagma «provenienti dalla commissione di tale delitto». Secondo la S. Corte deve dunque ritenersi che la ricostruzione del delitto di autoriciclaggio presuppone che si possa in modo indiscutibile individuare un "prima" logico-giuridico — la commissione del reato che genera la risorsa — e un "dopo" — l'impiego di quest'ultima nell'attività economica, finanziaria, imprenditoriale o speculativa (Cass., sez. V, 7 gennaio 2021, n. 331; Cass., sez. II, 23 aprile 2015, n. 23052).

Già questa impostazione ermeneutica – che separa in maniera netta il momento antecedente della commissione del reato presupposto dall'assunzione delle condotte di autoriciclaggio -, consente di delimitare e distinguere le condotte tipiche di bancarotta rispetto a quella di cui all'art. 648-ter.1 c.p., specie allorquando, come nel caso di specie, la distrazione del denaro si verifichi a beneficio di società operative, che adoperano le risorse provento della distrazione nella quotidiana attività imprenditoriale. La considerazione che per la contestazione del delitto di autoriciclaggio occorre individuare un reato presupposto la cui commissione possa collocarsi in modo inequivocabile in un momento temporale antecedente preclude la possibilità di riconoscere la sussistenza della fattispecie di cui all'art. 648-ter. 1 c.p. in presenza di ogni condotta di bancarotta che risulti consistere nell'impiego delle risorse distratte in altre e diverse attività imprenditoriali.

Accanto a questa riflessione, che già conduce ad una conclusione circa l'insussistenza nel caso di specie del concorso fra le due tipologie di delitto contestate, si aggiunge poi l'ulteriore considerazione – anch'essa espressa da numerose decisioni – giusta la quale si ritiene che, affinché sia integrata una condotta di autoriciclaggio che sia distinta dal momento distrattivo (e quindi, da quello in cui si realizza l'attività predatoria ai danni dell'impresa fallita che costituisce l'in se della bancarotta fraudolenta per distrazione) — è necessario che si rinvenga un'attività ulteriore rispetto alla sottrazione della risorsa all'impresa fallita, che eviti indebite sovrapposizioni applicative tra le due disposizioni (Cass., sez. V, 1 febbraio 2019, n. 8851, secondo cui non integra il reato di cui all'art. 648-ter.1 c.p. il mero trasferimento di somme oggetto di distrazione fallimentare a favore di imprese operative, occorrendo a tal fine un quid pluris che denoti l'attitudine dissimulatoria della condotta rispetto alla provenienza delittuosa del bene. Nello stesso senso, Cass., sez. V, 5 luglio 2019, n. 38919. Con riferimento ai rapporti tra appropriazione indebita e autoriciclaggio, cfr. Cass., sez. II, 27 gennaio 2021, n. 7074).

La decisione impugnata, secondo la Cassazione, è conforme alle suddette indicazioni, in quanto il tribunale del riesame ha giustificato la sua decisione evidenziando come le stesse condotte ascritte all'indagato come distrattive integrassero anche l'addebito di autoriciclaggio, senza alcuna delimitazione cronologica dell'una e dell'altra condotta — il "prima" e il dopo" di cui si è detto sopra — e senza l'effettiva individuazione di tratti ulteriori che connotassero la condotta dell'indagato.

Considerazioni conclusive

La sentenza della Cassazione non presenta profili di particolari novità rispetto ai precedenti giurisprudenziali in tema di rapporti fra bancarotta fraudolenta patrimoniale ed autoriciclaggio.

Tuttavia, la decisione in commento non richiama una (parzialmente) diversa impostazione della giurisprudenza secondo cui andrebbero distinte due possibili modalità con cui porre in essere il reato di autoriciclaggio, modalità che si distinguono in relazione alla diversa tipologia di beni – che una decisione della Cassazione qualifica, in alcune decisioni come “statici e dinamici” (Cass., sez. V, 21 giugno 2019, n. 37503) - su cui si esercita la condotta di money laundering.

Secondo questa impostazione, qualora il reato originario riguardi il trasferimento di beni "statici", come il denaro, la condotta attraverso la quale la somma è stata conseguita non è evidentemente idonea a configurare anche il reato di autoriciclaggio, come dimostrato dalle diverse decisioni in cui si esclude possa integrare tale delitto il versamento del profitto di furto su conto corrente o su carta di credito prepagata, intestati allo stesso autore del reato presupposto, riconoscendosi invece la sussistenza dell'illecito solo in caso di ulteriore e successivo trasferimento, impiego e reimmissione nel circuito economico, non finalizzato ad un godimento esclusivamente personale (Cass., sez. V, 11 dicembre 2018, n. 5719; Cass., sez. II, 4 maggio 2018, n. 25979).

Questa conclusione, tuttavia, non sarebbe corretta qualora il bene conseguito con il reato presupposto sia per sua natura, in virtù delle sue intrinseche caratteristiche che la Cassazione qualifica come "dinamiche", idoneo a determinare l'impiego dell'utilità illecita conseguita in attività economiche o finanziarie: in tali ipotesi, infatti, per individuare l'eventuale quid pluris che distingue la condotta costitutiva del reato presupposto da quella successiva, ulteriore e distinta, sanzionata ai sensi dell'art. 648 ter.1 c.p., è necessaria una analisi delle condotte di volta in volta poste in essere dall'autore del reato, che prenda in considerazione le caratteristiche e le modalità concrete dell'operazione realizzata.

Chiaramente ci si troverebbe in presenza di beni “dinamici” quando il reato di bancarotta patrimoniale sia stato posto in essere a mezzo della distrazione dell'azienda, ovvero del complesso di beni aziendali finalizzati ad un'attività imprenditoriale. In tale circostanza, dunque, per verificare se vi ricorrano o meno gli estremi del reato di autoriciclaggio, occorre procedere ad una verifica circa le modalità con cui l'azienda distratta è stata poi gestita dai nuovi titolari per concludere nel senso che, mentre la mera distrazione del patrimonio facente capo alla società fallita, non seguita da alcuna ulteriore e diversa attività, dà luogo al solo delitto di cui agli artt. 322, comma 1, lett. a), 329, comma 1, d.lgs. n. 14 del 2019 senza che possa rinvenirsi un quid pluris da riferire all'autoriciclaggio, l'esercizio di un'attività imprenditoriale attraverso l'azienda oggetto della distrazione dà luogo all'impiego di beni in attività economiche ovvero finanziarie dell'utilità di provenienza illecita richiamato dall'art. 648 ter.1 c.p., configurando così quella attività, ulteriore, successiva e distinta da quella di mera distrazione, che rappresenta il quid pluris proprio del delitto di autoriciclaggio. In quest'ultima circostanza, infatti, quale che fosse ab origine l'intenzione dell'imprenditore della società fallita e quand'anche non possa sostenersi che sin da principio il precedente delitto di bancarotta fosse diretto allo scopo di realizzare il reimpiego dei beni distratti, l'attività di laundering attenta all'ordine economico e realizza il “passaggio dall'ottenimento per vie illegali di un'utilità economicamente rilevante ad un reinvestimento della medesima in ambiti, a loro volta, fruttuosi sotto il profilo economico e dannosi (per ulteriori ragioni a supporto della conclusione circa l'ammissibilità di un concorso fra le due fattispecie, Cass., sez. V, 14 gennaio 2020, n. 1203, secondo cui il disposto di cui al citato art. 648-ter.1 dà luogo ad una fattispecie di reato plurioffensiva - che reagisce alla lesione del patrimonio della vittima del reato presupposto ed all'aggressione all'amministrazione della giustizia e dell'economia pubblica nel suo insieme -, che si affranca dalla categoria del post factum non punibile, e che correttamente interpretata esclude in sé la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale).

Quanto al profilo della successione temporale fra condotta di bancarotta ed autoriciclaggio, cui la pronuncia in commento riconosce significativa rilevanza, la giurisprudenza si è premunita di escludere un'ulteriore ragione che avrebbe potuto precludere la possibilità di un concorso fra i due illeciti in commento nel caso particolare in cui la bancarotta assuma la forma della distrazione prefallimentare. Secondo alcune decisioni, la circostanza che l'attività illecita risulti posta in essere prima della dichiarazione di fallimento determinerebbe l'insussistenza del delitto di autoriciclaggio e ciò in quanto le relative condotte sono state poste in essere prima della commissione del reato presupposto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, che si consuma al momento della dichiarazione di fallimento. La giurisprudenza però ha superato tale indirizzo sostenendo che, sebbene il momento consumativo del reato di bancarotta fraudolenta prefallimentare debba identificarsi con il momento in cui interviene la sentenza dichiarativa di fallimento e non con le singole condotte distrattive precedenti a tale declaratoria, il delitto di autoriciclaggio deve ritenersi configurabile anche nell'ipotesi di distrazioni fallimentari compiute prima della dichiarazione di fallimento in tutti i casi in cui tali distrazioni siano ab origine qualificabili come appropriazione indebita, ai sensi dell'art. 646 c.p.(per questa configurazione giuridica delle appropriazioni di beni sociali da parte dell'amministratore, cfr. Cass., sez. V, 6 giugno 2018, n. 25651; Cass., sez. II, 19 aprile 2016, n. 33725; Cass., sez. V, 16 novembre 2016, n. 572), venendo il delitto di appropriazione indebita assorbito ai sensi dell'art. 84 c.p. dal delitto di bancarotta patrimoniale, quando fallisca la società a danno della quale l'agente ha realizzato la condotta appropriativa, (Cass., sez. V, 14 gennaio 2020, n. 1203; Cass., sez. V, 3 luglio 2015, n. 2295), anche considerando che, ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio, non si richiedono l'esatta individuazione e l'accertamento giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile (Cass., sez. II, 14 ottobre 2019, n. 42052; Cass., sez. VI, 15 febbraio 2013, n. 28715).

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