Il prolungamento della canna fumaria comporta la perdita di efficacia della certificazione di conformità
12 Novembre 2024
La vicenda Nell'immobile dei coniugi Tizio e Caia si verificava un incendio causato dal malfunzionamento di una canna fumaria collegata ad un termo-camino. L'incendio si era propagato anche nell'adiacente immobile, posseduto da Sempronia. Vennero proposti autonomi giudizi nei confronti di Caio (quale direttore dei lavori), la società venditrice dell'immobile, l'appaltatrice dei lavori di costruzione e, infine, la società termica. Dopo una prima sentenza non definitiva, le parti vennero condannate in solido ex art. 2055 c.c. al risarcimento dei danni. A seguito di appello, la Corte territoriale confermava la responsabilità e rideterminava il risarcimento. Avverso detta sentenza, con diversi motivi, il direttore dei lavori proponeva ricorso per cassazione. Le contestazioni del direttore dei lavori Secondo il direttore dei lavori, la Corte territoriale non aveva considerato la normativa del d.m. n. 37/2008 in relazione a due distinte circostanze: il rilascio della certificazione di conformità dell'impianto termico dopo il collegamento col termo-camino da parte di della società termica; la manutenzione straordinaria non professionale e non certificata effettuata proprio nel punto della canna fumaria da cui poi si era sprigionato l'incendio mediante un prolungamento della canna stessa per circa 30 cm. Secondo il ricorrente, i giudici di merito non avevano considerato che la normativa prevede che la certificazione dell'impianto è necessaria ai fini del suo utilizzo, che le modifiche apportate comportavano la decadenza della stessa certificazione e la necessità di rinnovarla. Ciò, dunque, aveva comportato una doppia interruzione del nesso di causalità tra l'incendio e l'eventuale condotta negligente allo stesso ascrivibile. Inoltre, la Corte d'appello non aveva considerazione l'operato negligente dei coniugi in relazione ai lavori effettuati dopo la chiusura del cantiere: la scelta di utilizzare la cantina come locale abitabile, il descritto anomalo prolungamento della canna e l'assenza generale di manutenzione. La perdita di efficacia della certificazione di conformità Secondo la S.C., il prolungamento della canna fumaria aveva comportato la perdita di efficacia della certificazione di conformità rilasciata da società termica. Pertanto, aveva indiscutibilmente errato il giudice del merito laddove aveva ritenuto irrilevante il comportamento dei coniugi ai fini della valutazione della loro eventuale negligenza, giacché non era revocabile in dubbio che gli stessi avessero utilizzato un impianto termico di cui era cessata la validità e/o efficacia della certificazione di conformità, senza informare il soggetto che l'aveva rilasciata (la società termica), né ottenerne comunque una nuova, o, in ogni caso, in condizioni obiettivamente pericolose o tali da provocare danni. L'assenza di manutenzione dell'impianto Al contrario di quanto dubitativamente ritenuto dallo stesso giudice d'appello, il CTU aveva accertato che i coniugi, nel corso degli anni, non avevano curato la prescritta manutenzione dell'impianto. Premesso ciò, secondo la Corte di Cassazione, anche per i coniugi è necessario che il giudice del rinvio valuti compiutamente se tale comportamento (insieme al prolungamento della canna fumaria) sia negligente e se, quindi, possa considerarsi, nei rapporti con i pretesi responsabili o corresponsabili dei danni loro arrecati, quale causa successiva di per sé sola sufficiente a determinare l'evento. Quindi, ad escludere tout court la responsabilità di tutti i chiamati in causa, o quantomeno ad essere suscettibile di essere considerata in concorso con i fatti colposi dei detti estranei al rapporto tra proprietari danneggiati e direttore dei lavori. Danno da inagibilità dell'immobile Nel liquidare in favore degli attori il risarcimento del “danno da inagibilità” del loro immobile, la Corte d'appello aveva ritenuto sufficiente l'accertamento operato dal CTU circa la effettiva non fruibilità della villetta per il tempo occorrente per il ripristino, espressamente ritenendo non necessaria la prova di un contratto di locazione o altro documento comprovante il danno. Sul punto, tuttavia, a parere dei giudici di legittimità, non è sufficiente la mera inagibilità dell'immobile. Difatti, il danno da indisponibilità diretta dell'immobile patito dal proprietario può essere risarcito a condizione che lo stesso venga provato, anche presuntivamente, sulla base dell'allegazione, da parte del danneggiato, di determinate caratteristiche materiali e di specifiche qualità giuridiche del bene che consentano di presumere che quel tipo di immobile sarebbe stato destinato ad un impiego fruttifero o che l'avente diritto ne avrebbe ritratto, immediatamente e direttamente, un'utilità, specificamente indicata, corrispondente alle sue caratteristiche. In conclusione, la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte d'appello in diversa composizione. (fonte: dirittoegiustizia.it) |