Accordi a latere e condizioni di contenuto eventuale nelle separazioni consensuali e nei divorzi congiunti

13 Novembre 2024

Il contributo esamina i patti, frutto del principio dell'autonomia negoziale, che le parti stipulano in sede di crisi familiare: tali accordi si distinguono in pattuizioni relative alla definizione complessiva dei loro rapporti patrimoniali ed economici (c.d. condizioni di contenuto eventuale) o pattuizioni che, pur trovando la loro causa nella separazione o nel divorzio, non vengono trasfuse nell’accordo sottoposto al vaglio del Tribunale (cd. accordi a latere).

Premessa

In assenza di previsione normativa, con il termine accordi a latere si fa riferimento genericamente a tutte quelle pattuizioni che i coniugi stipulano in ragione della separazione o del divorzio, senza che il loro contenuto venga trasfuso nell'omologa o nella sentenza. Un'autonomia negoziale privata, quella accordata ai coniugi, anche nella fase patologica della crisi, essendosi riconosciuto, nel tempo, agli stessi la possibilità di concordare le condizioni per la regolamentazione della loro crisi.

Con l’espressione “condizioni di contenuto eventuale” si fa, invece, riferimento a quegli accordi riportati nei ricorsi per separazione consensuale o divorzio congiunto che non hanno causa nella separazione o nel divorzio, ma risultano semplicemente assunti “in occasione” dei medesimi costituendo espressione di libera autonomia contrattuale.

Normalmente si tratta di accordi con finalità divisoria, risarcitoria, compensativa, attraverso i quali i coniugi intendono provvedere ad una sistemazione, tendenzialmente globale, dei loro interessi economici a seguito del conseguimento del nuovo status.

Gli accordi a latere nelle separazioni consensuali e nei divorzi congiunti

La Corte di Cassazione ha da tempo evidenziato che, in assenza di previsione normativa, con il termine accordi a latere si fa riferimento genericamente a tutte quelle pattuizioni che i coniugi stipulano in ragione della separazione o del divorzio, senza che il loro contenuto venga trasfuso nell'omologa o nella sentenza.

Tradizionalmente si distinguono in tre categorie secondo un criterio temporale:

  • precedenti alla crisi familiare (ovvero quando le parti si limitano ad iniziare a risolvere alcuni dei problemi che si potrebbero porre in caso di separazione o di divorzio);
  • coevi alla separazione od al divorzio (traducendosi in determinazioni relative all'ammontare dell'assegno o in negozi di carattere transattivo che, ad esempio, per ragioni di carattere fiscale, le parti ritengono di non dover pubblicizzare);
  • successivi al provvedimento giudiziale (nel caso in cui le parti intendano definire questioni di dettaglio non affrontate in sede giudiziale o relative a problemi sorti in fase di esecuzione).

Secondo la giurisprudenza sino ad ora espressa, gli accordi c.d. precedenti o coevi sono validi se, rispetto al provvedimento giurisdizionale, si pongono in posizione di conclamata e incontestabile maggiore (o uguale) rispondenza all'interesse tutelato attraverso il controllo del giudice (cfr. Cass. civ., sez. I, 21 dicembre 2012, n. 23713; Cass. civ., sez. I, 6 febbraio 2009 n. 2997), mentre quelli c.d. successivi sono validi se non contrastano con l'art. 160 c.c. e rispondono all'esigenza di adeguare i singoli aspetti degli accordi all'esperienza reale del nucleo familiare (cfr. Cass. civ., sez. II, 12 gennaio 2016, n. 298; Cass. civ., sez. I, 20 ottobre 2005 n. 20290; Cass. civ., sez. I, 24 febbraio 1993, n. 2270).

Peraltro, laddove sorgessero contrasti interpretativi, tra una pattuizione a latere ed il contenuto di una separazione omologata o sentenza di divorzio, spetterà al giudice di merito ordinario risolverli secondo i criteri dettati dagli artt. 1362 e ss. c.c.

In base a tali principi è stato, ad esempio, ritenuto valido l'impegno negoziale assunto dai nubendi in caso di fallimento del matrimonio al trasferimento di un immobile di proprietà della moglie al marito, quale indennizzo delle spese, da questo sostenute, per ristrutturare altro immobile destinato ad abitazione familiare di proprietà della moglie medesima, in quanto contratto atipico con condizione sospensiva lecita, espressione dell'autonomia negoziale dei coniugi diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell'art. 1322, comma 2, c.c., essendo il fallimento del matrimonio non causa genetica dell'accordo, ma mero evento condizionale (cfr. Cass. civ., sez. I, 21 dicembre 2012, n. 23713).

Si è, altresì, ritenuto valido il patto stipulato tra i coniugi in vista del divorzio onde disciplinare la modalità di corresponsione dell'assegno di mantenimento, che preveda il versamento da parte del genitore obbligato direttamente al figlio di una quota del contributo complessivo di cui risulta beneficiario l'altro genitore (cfr. Cass. civ., sez. I, 24 febbraio 2021, n. 5065).

La giurisprudenza di legittimità ha da tempo evidenziato che per la validità degli accordi a latere non è necessaria una declaratoria di efficacia da parte del giudice trovando essa fondamento nell'art. 1322 c.c. e nel principio di autonomia negoziale ivi stabilito (cfr. Cass. civ., sez. I, 19 dicembre 2023, n. 35508; Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24621).

La S.C. ha, tuttavia, chiarito che gli accordi a latere non possono integrare un titolo esecutivo in quanto non rivestono né la forma dell'atto pubblico, né quello di scrittura privata autenticata (cfr. Cass. civ., sez. III, 21 febbraio 2023, n. 5353). Proprio per tale ragione si è ritenuto sussistente l'interesse del titolare del diritto di abitazione riconosciuto in forza di un accordo a latere (scrittura privata non autenticata) ad agire in un giudizio autonomo rispetto a quello di divorzio per vedersi riconosciuta la possibilità di procedere alla trascrizione del titolo (cfr. Cass. civ., sez. I, 19 dicembre 2023, n. 35508).

Quale valenza rivestono gli accordi a latere nel giudizio di revisione delle condizioni?

I giudici di legittimità hanno recentemente ritenuto che, pur non potendo il giudice intervenire direttamente sull'accordo contrattuale a latere operante inter partes, rimesso alla libera determinazione negoziale delle parti, detto accordo, laddove non contenga espresse pattuizioni contrarie e sia strettamente connesso alle condizioni pattuite con il ricorso per separazione consensuale o per divorzio congiunto, deve essere preso in considerazione dal giudice in sede di revisione delle condizioni economiche (cfr. Cass. civ., sez. I, 10 luglio 2024, n. 18843).

Invero, negli accordi a latere possono essere contenute sia pattuizioni relative ad aspetti estranei all'oggetto del procedimento di divorzio o separazione sia pattuizioni che, seppure non trasfuse nell'accordo di separazione o di divorzio sottoposto al vaglio del Tribunale, risultano strettamente connesse a questi, per volontà delle parti, e non hanno ad oggetto diritti indisponibili o in contrasto con norme inderogabili.

Nel caso specifico esaminato dalla Corte con una scrittura privata contestuale al deposito del divorzio congiunto le parti avevano stabilito che, ad integrazione del contributo al mantenimento mensile delle condizioni del ricorso consensuale presentato, il marito si sarebbe obbligato a versare alla moglie un'ulteriore somma integrativa sempre mensile.

Tale patto, quindi, aggiuntivo all'accordo congiunto, era espressamente qualificato come patto integrativo del contributo al mantenimento, risultando, in questo modo, innegabile la natura di accordo integrativo degli altri accordi coevi, anche se non contestuali.

A detta degli Ermellini, tale accordo stipulato contestualmente al deposito del ricorso congiunto trovava non solo causa nel divorzio, ma era strettamente attinente all'oggetto di tale giudizio, attenendo all'adempimento dell'obbligo, rientrante nei doveri di solidarietà post coniugale, di versare l'assegno al coniuge economicamente più debole ad integrazione di quanto recepito nelle condizioni economiche della sentenza di divorzio, anche se esso, rientrando nella autonomia negoziale, non era assoggettato al rispetto dei criteri dettati dall'art. 5 l. n. 898/1970.

Si è, pertanto, ritenuto che se detto accordo deve ritenersi valido ed efficace nell'interpretazione evolutiva offerta dalla giurisprudenza di legittimità, esso deve ritenersi rilevante ai fini della revisione delle condizioni di divorzio e, quindi, essere preso in considerazione dal giudice di merito.

Le condizioni di contenuto eventuale negli accordi sulla crisi familiare

Costituisce principio ormai pacifico che l'accordo mediante il quale i coniugi pongono consensualmente termine alla convivenza possa racchiudere ulteriori pattuizioni, distinte da quelle che integrano il suo contenuto tipico e che ad esso non sono immediatamente riferibili: si tratta di quegli accordi che sono ricollegati, si potrebbe dire, in via soltanto estrinseca con il patto principale, relativi a negozi i quali, pur trovando la loro occasione nella separazione consensuale o nel divorzio congiunto, non hanno causa in essi, risultando semplicemente assunti “in occasione” della separazione o del divorzio, senza dipendere dai diritti e dagli obblighi che derivano dal matrimonio, ma costituendo espressione di libera autonomia contrattuale (nel senso che servono a costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici patrimoniali ex art. 1321 c.c.), al fine di regolare in modo tendenzialmente completo tutti i pregressi rapporti, e che sono del tutto leciti, secondo le ordinarie regole civilistiche negoziali, purché non ledano diritti inderogabili (cfr. Cass. civ., sez. I, 19 agosto 2015, n. 16909).

Gli  accordi raggiunti in sede di separazione consensuale o di divorzio congiunto possono, dunque, contenere sia condizioni di contenuto essenziale - ovvero quelle che devono essere presenti nell'accordo per permettere che esso venga giuridicamente ad esistenza e sia produttivo di effetti e che riguardano il consenso dei coniugi a vivere separati, il mantenimento del coniuge e dei figli, l'affidamento e il collocamento di questi ultimi, l'assegnazione della casa familiare - sia condizioni di contenuto eventuale - ovvero quelle che le parti possono includere volontariamente nell'accordo e la cui assenza non va ad incidere sull'efficacia e sulla validità dell'accordo stesso, trattandosi di un contenuto collegato solo occasionalmente ai diritti e agli obblighi derivanti dal matrimonio (a titolo esemplificativo, la divisione dei beni in comunione, la destinazione degli animali domestici, la disciplina del godimento della casa di vacanza, ecc.).

I Giudici di legittimità hanno di recente sottolineato la necessità di prestare attenzione alla distinzione tra pattuizione tipica e atipica, ponendo in correlazione tale distinzione con la ripartizione tra contenuto essenziale ed eventuale.

Di prassi, le pattuizioni “tipiche” corrispondono al contenuto essenziale dell'accordo di separazione o di divorzio, trattandosi di pattuizioni collegate direttamente al rapporto matrimoniale, mentre, le pattuizioni “atipiche” coincidono con tutti quei negozi, di contenuto eventuale, con finalità divisoria, risarcitoria, compensativa, attraverso i quali i coniugi intendono provvedere ad una sistemazione, tendenzialmente globale, dei loro interessi economici a seguito del conseguimento del nuovo status.

Tuttavia, una simile automatica connessione (ovvero, accordo tipico=contenuto essenziale e accordo atipico=contenuto eventuale) rischia di trarre in inganno.

Proprio per tale motivo, la Suprema Corte sottolinea come le parti possano, da un lato, prevedere modalità atipiche di regolamentazione dei loro rapporti a seguito della separazione o del divorzio che, però, dall'altro lato, entrano a far parte del contenuto essenziale delle condizioni di separazione o divorzio, facendo così venire meno il binomio “accordo tipico=contenuto essenziale” e “accordo atipico=contenuto eventuale” (cfr. Cass. civ., sez. I, 22 luglio 2024, n. 20034).

La non modificabilità o revocabilità delle pattuizioni di contenuto eventuale da parte del giudice della crisi familiare

Nonostante le pattuizioni di contenuto essenziale ed eventuale possano coesistere nello stesso atto, la disciplina giuridica loro applicabile risulta profondamente diversa.

In particolare, gli accordi che disciplinano il contenuto necessario della separazione o del divorzio possono essere revocati e modificati ex art. 473-bis.29 c.p.c. (in particolare, quelli conclusi in sede di separazione vengono superati dalla pronuncia di divorzio).

Al contrario, le clausole dell'accordo, caratterizzate dal contenuto eventuale (e, dunque, semplicemente “occasionate” dalla procedura di separazione o di divorzio), sono assoggettate alla disciplina propria dei negozi giuridici e il giudice della crisi familiare non può revocarle o modificarne il contenuto (cfr. Cass. civ., sez. I, 24 febbraio 2021, n. 5061; Cass. civ., sez. I, 19 agosto 2015, n. 16909).

Va a questo punto chiarito in che modo distinguere una clausola con contenuto essenziale rispetto ad una con contenuto eventuale.

La Corte di Cassazione, sul punto, è chiara nell'affermare che sarà l'interprete a dover verificare se la pattuizione in esame, pur contenendo prestazioni diverse da quelle tipiche, sia da ricondurre al contenuto essenziale dell'accordo (cfr. Cass. civ., sez. I, 22 luglio 2024, n. 20034).

Sarà, pertanto, il giudice del merito, nell'esaminare l'accordo di separazione consensuale o di divorzio congiunto, a dover individuare la comune intenzione delle parti, nel rispetto dei criteri di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., e verificare se le condizioni contengano patti riconducibili all'una (contenuto essenziale) o all'altra categoria (contenuto eventuale).

La Suprema Corte afferma che, a tal fine, il primo strumento che il giudice dovrà utilizzare sarà il senso letterale delle parole e delle espressioni adoperate. Solo laddove tale senso risulti ambiguo, il giudice ricorrerà ai canoni strettamente interpretativi previsti dall'art. 1362 all'art. 1365 c.c. e, ancora, in caso di loro inadeguatezza, a quelli interpretativi integrativi previsti dall'art. 1366 c.c. all'art. 1371 c.c.

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