Azione di ingiustificato arricchimento: la deduzione della sussistenza di un’obbligazione naturale costituisce una mera difesa
26 Novembre 2024
Massima In tema di azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., la deduzione che l'attribuzione patrimoniale asseritamente priva di causa sia conseguenza dell'adempimento di un'obbligazione naturale integra una mera difesa e non un'eccezione, non essendo, pertanto, assoggettata alle preclusioni dettate per la proposizione di quest'ultima. Il caso Nel giudizio di primo grado, l'attore chiedeva la condanna della convenuta, sua coniuge separata, al pagamento di determinate somme di denaro, a titolo di rimborso dei maggiori importi asseritamente versati per l'acquisto e la ristrutturazione di immobili acquistati in costanza di matrimonio ed intestati in maniera non corrispondente ai relativi valori, nonché alla restituzione del prezzo di acquisto dei mobili di arredo della casa coniugale, rimasti nella disponibilità della convenuta. Quest'ultima eccepiva la prescrizione dell'azione di arricchimento senza causa e chiedeva, in via riconvenzionale, la condanna dell'attore al pagamento del corrispettivo della compravendita della quota di un immobile intestata allo stesso, alla restituzione di canoni di locazione di immobili spettanti alla convenuta, al ritiro di beni mobili lasciati dall'attore presso beni di proprietà della stessa. Il Tribunale rigettava le domande proposte dalle parti. La Corte d'appello non accoglieva il gravame della originaria parte attrice. Avverso questa decisione era proposto ricorso in cassazione, fondato su tre motivi. Per quel che rileva in questa sede, il ricorrente, con il primo motivo, denunciava la violazione dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per aver la Corte d'appello ritenuto tempestiva la deduzione avanzata dalla convenuta in primo grado (e per la prima volta in comparsa conclusionale) che l'attribuzione patrimoniale asseritamente priva di causa fosse conseguenza dell'adempimento di un'obbligazione naturale. Rilevava, in proposito, che tale affermazione integrava un'eccezione in senso stretto, proponibile dalla parte solo nella comparsa di costituzione e risposta, in quanto involgente un diritto potestativo che la parte può esercitare o meno. La questione A fronte di una domanda di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., la deduzione dell'esistenza di una obbligazione naturale quale ragione giustificante lo spostamento patrimoniale integra una mera difesa o un'eccezione? Le soluzioni giuridiche La Corte di Cassazione ha evidenziato che nell'azione di cui all'art. 2041 c.c. la mancanza di giustificazione dello spostamento patrimoniale integra un fatto costitutivo tipico della domanda. Sulla base di tale premessa, la S.C. ha chiarito che, a fronte di una domanda di ingiustificato arricchimento, la deduzione del convenuto secondo cui il trasferimento di ricchezza dal danneggiato all'arricchito è avvenuto in adempimento di un dovere morale o sociale, conferendo una diversa veste giuridica ai fatti narrati dalla parte istante, integra una mera difesa, come tale, sottratta al regime preclusivo delle attività assertive delineato dal codice di rito. Ad avviso dei giudici di legittimità, l'individuazione, da parte del convenuto, dell'eventuale titolo giustificativo dello spostamento patrimoniale non comporta l'allegazione di un fatto nuovo, con efficacia estintiva, modificativi o impeditiva del diritto fatto valere dalla controparte, ma si sostanzia nella mera negazione del fatto costitutivo della domanda, la quale è sottratta al regime delle preclusioni assertive delle eccezioni. Osservazioni Il divieto di arricchimento senza causa di cui all'art. 2041 c.c. è espressione del principio generale che vieta spostamenti patrimoniali non giustificati causalmente. Si tratta di un rimedio generale e sussidiario, esperibile in assenza di altri rimedi specifici. Gli elementi costitutivi dell'azione di arricchimento senza causa sono:
Come evidenziato dalla pronuncia in commento, la mancanza di una legittima causa dello spostamento patrimoniale concreta il fatto tipico della domanda ex art. 2041 c.c. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che si ha ingiustificato arricchimento se il vantaggio di una parte consegue a una prestazione effettuata dall'altra parte in assenza di un titolo giuridico valido ed efficace (Cass. civ., sez. I, 7 agosto 2009, n. 18099), sicché quando esso sia la conseguenza di un contratto o comunque di un altro rapporto non può invocarsi la mancanza o l'ingiustizia della causa, almeno fino a quando il contratto o il diverso rapporto conservino rispetto alle parti e ai loro aventi causa la propria efficacia obbligatoria (Cass. civ., sez. VI, 24 giugno 2020, n. 12405). Secondo la pronuncia in commento, a fronte di una domanda di ingiustificato arricchimento, l'attività difensiva con la quale il convenuto deduca che il trasferimento di ricchezza dal danneggiato all'arricchito sia avvenuto in adempimento di un dovere morale o sociale rientra nelle “mere difese” e, segnatamente, nel paradigma della contestazione in fatto. L'individuazione della ragione giustificante lo spostamento patrimoniale, ad avviso della Corte, fa emergere una versione alternativa a quella esposta dalla controparte, non comportante l'allegazione di fatti diversi, dotati di efficacia estintiva, impeditiva o modificativa del diritto fatto valere dall'attore. Da tale conclusione discende che l'allegazione della causa giustificativa del trasferimento di ricchezza dal danneggiato all'arricchito è svincolata dai limiti preclusivi propri delle eccezioni. Con la pronuncia in commento, la S.C. ha confermato le differenze esistenti tra mere difese ed eccezioni già consolidate in dottrina e in giurisprudenza. Nel processo civile, al fine di contrastare la domanda attrice, il convenuto può difendersi contestando l'esistenza dei fatti costitutivi, nel senso che il fatto storico dedotto dall'attore non si è verificato o si è svolto con modalità diverse da quelle prospettate ex adverso. Tale atteggiamento è denominato “mera difesa” (PROTO PISANI, 58) ed è espressamente previsto e disciplinato dagli artt. 167, comma 1, 281-undecies, comma 3, 416, comma 3 e 115 c.p.c. Le deduzioni integranti “mere difese” non implicano l'ampliamento dell'oggetto del giudizio ma, secondo il principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., rendono controversi i fatti costitutivi posti dall'attore a fondamento della sua domanda (si pensi, ad esempio, alla contestazione, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso; in arg. Cass. civ., sez. un., 16 febbraio 2016, n. 2951). Le mere difese si differenziano dalle eccezioni poiché con la proposizione di quest'ultime il convenuto introduce fatti nuovi, aventi efficacia estintiva, modificativa o impeditiva del diritto fatto valere in giudizio dall'attore (art. 2697 c.c.), al fine di conseguire il rigetto della domanda. Questo atteggiamento difensivo comporta l'ampliamento dell'oggetto del giudizio, seppur nei limiti della domanda principale (VOLPINO, 398). Dall'art. 112 c.p.c. si ricava che le eccezioni di merito si distinguono in eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato: le prime sono riservate all'iniziativa della parte, per legge o perché corrispondenti alla titolarità di un'azione costitutiva (Cass. civ., sez. un., 3 febbraio 1998, n. 1099; Cass. civ., sez. un., 7 luglio 2005, n. 15661) (ad esempio, l'eccezione di prescrizione), le seconde sono rilevabili d'ufficio dal giudice (come l'eccezione di pagamento). Come evidenziato dalla pronuncia in commento, le differenze tra mere difese ed eccezioni assumono particolare rilievo sotto il profilo delle preclusioni assertorie. Le eccezioni in senso stretto devono essere proposte, a pena di decadenza, nella comparsa di costituzione e risposta, secondo quanto stabilito dall'art. 167, comma 2, c.p.c.. Da tale norma si ricava a contrario che le eccezioni in senso lato non sono soggette a preclusioni collegate alla costituzione in giudizio del convenuto. Il fatto integrante l'eccezione in senso lato, anche se non allegato dal convenuto, è rilevabile d'ufficio ove emergente dagli atti del processo ritualmente acquisiti ed è sottratto al divieto stabilito dall'art. 345, comma 2, c.p.c., sempre che riguardi fatti principali o secondari emergenti dagli atti, dai documenti o dalle altre prove ritualmente acquisite al processo e anche se non sia stato oggetto di espressa e tempestiva attività assertiva (Cass. civ., sez. III, 6 maggio 2020, n. 8525). Le mere difese, nell'accezione di contestazione dei fatti allegati dall'attore,sono sottratte al regime delle preclusioni dettato per la proposizione delle eccezioni. Esse, diversamente dall'eccezione in senso stretto, non sono soggette a decadenza ex art. 167, comma 2, c.p.c. (cfr. Cass. civ., sez. un., 16 febbraio 2016, n. 2951 cit.), sono proponibili in ogni fase del giudizio e non sono precluse in appello perché non rientranti nel campo di applicazione dell'art. 345, comma 2, c.p.c., che vieta la proposizione delle sole nuove eccezioni in senso proprio, ovvero quelle non rilevabili d'ufficio (Cass. civ., sez. lav., 1° ottobre 2018, n. 23769; Cass. civ., sez. II, 28 maggio 2019, n. 14515). Sulla base di tale differenziazione, la pronuncia in commento ha qualificato come “mera difesa” la deduzione che l'attribuzione patrimoniale asseritamente priva di causa ex art. 2041 c.c. è conseguenza dell'adempimento di un'obbligazione naturale. Vi è tuttavia un ulteriore profilo che vale la pena segnalare. Nel delineare il regime giuridico delle “mere difese”, è importante coordinare tale opzione difensiva con il principio di non contestazione di cui all'art. 115 c.p.c. La non contestazione espunge il fatto da quelli bisognosi di essere provati (Cass. civ., sez. VI, 23 marzo 2022, n. 9439). Secondo alcuni, il potere di contestazione va collegato con quello di allegazione sicché, in assenza di una norma che preveda che la contestazione vada posta in essere, a pena di decadenza, in una determinata fase, essa è ammissibile fino a quando sia consentito alle parti svolgere l'attività assertiva per la definitiva fissazione del thema probandum e del thema decidendum (COMOGLIO, 393). L'individuazione di una barriera preclusiva alla contestazione nasce dalla constatazione che la parte deve essere posta nelle condizioni di valutare se il fatto, alla luce del comportamento processuale della controparte, sia bisognoso di prova e, quindi, se sia necessario dedurre le proprie istanze istruttorie in base ai fatti contestati (Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 2022, n. 2223; in dottrina cfr. VOLPINO, 441). Sulla base di tale rilievo, in alcune pronunce di legittimità, si è specificato che le mere difese non sono soggette ad alcuna preclusione processuale, «salvo la formazione del giudicato interno o – dove in concreto ne ricorrono i presupposti – l'applicazione del principio di non contestazione» (Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 2022, n. 2223 cit.). In quest'ottica, si è evidenziato che se il fatto costitutivo della domanda è stato specificamente dedotto dall'attore e rientra nella sfera di conoscibilità della controparte, in assenza di contestazione specifica, la relativa prova, il cui onere è a carico dell'attore, può dirsi raggiunta. Ne consegue che non è consentito in seguito al convenuto, tanto meno in appello, proporre una nuova versione della vicenda compatibile con la negazione del fatto costitutivo posto dall'attore a fondamento della domanda. In tal caso, la contestazione in appello è preclusa in quanto la parte che, in assenza di contestazioni, abbia confidato sulla relevatio dall'onere probatorio, non potrebbe più dimostrare il fatto in sede di gravame (Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 2022, n. 2223 cit.). Riferimenti
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