La rivalutazione delle partecipazioni e l’acquisto di azioni proprie configurano abuso del diritto?

Fabio Gallio
28 Novembre 2024

Con risposta ad interpello del 9 ottobre 2024, n. 195, l'Agenzia delle Entrate ha fornito un parere in ordine all'eventuale sussistenza di una fattispecie di abuso del diritto ai sensi dell'articolo 10-bis della legge n. 212 del 2000, nell'ambito di una complessa operazione societaria, attuata in più fasi.

Introduzione: la questione sottoposta all'Agenzia delle Entrate

Da quanto è possibile ricavare dalla risposta a interpello n. 195, pubblicata dall'Agenzia delle Entrate in data 9 ottobre, emerge che l'operazione societaria oggetto di indagine era destinata, nel suo complessivo e concreto evolversi, a consentire ai soci uscenti di fuoriuscire dalla compagine societaria di ALFA, in concomitanza e a seguito della cessione da parte di quest'ultima della partecipazione totalitaria nella società destinataria di un conferimento del Ramo d'Azienda (i.e., Newco) a favore di BETA, al fine di consentire agli stessi soci uscenti di prestare le loro rispettive attività professionali a vantaggio di BETA medesima.

In particolare, la complessiva operazione rappresentata è stata attuata attraverso i seguenti atti e negozi:

- Fase 1: modifica dello statuto sociale di ALFA con l'introduzione di una clausola convenzionale di recesso in caso di conferimento d'azienda (idonea a consentire ai soci uscenti il recesso dalla stessa ALFA all'esito del programmato conferimento del Ramo d'Azienda);

- Fase 2: costituzione di Newco, partecipata al 100 per cento da ALFA, e conferimento a favore della stessa del Ramo d'Azienda;

- Fase 3: cessione della partecipazione totalitaria in Newco da parte di ALFA a favore di BETA;

- Fase 4: recesso da parte dei soci uscenti da ALFA (previa rideterminazione del valore di acquisto delle loro rispettive partecipazioni ex art. 5 l. n. 448/2001) e incasso da parte di questi ultimi del valore delle partecipazioni in ALFA (tramite la provvista resa disponibile dalla cessione della partecipazione in Newco di cui alla Fase 3).

L'Agenzia delle Entrate, nella relativa risposta, si è focalizzata ad esaminare gli atti e i negozi riconducibili alle Fasi 1 e 4, i quali, a detta degli estensori del documento, appaiono esclusivamente destinati a consentire ai soci uscenti di fuoriuscire definitivamente dalla Società mediante il recesso dalla stessa (in virtù di una clausola statutaria introdotta ad hoc), trasformando un reddito di capitale in un reddito diverso e minimizzando il relativo carico fiscale tramite lo sfruttamento delle disposizioni in materia di rideterminazione di cui al citato art. 5.

La normativa

L'Agenzia delle Entrate, con la riposta in esame, ha contestato l'operazione, riqualificato l'operazione di "acquisto di azioni proprie", che ha permesso ad alcuni soci di esercitare il loro diritto di "recesso dalla società".

In merito, si ricorda che, dal punto di vista tributario, ci sono due tipologie di recesso a cui si applicano diverse normative.

In caso di recesso cd. ''tipico'', realizzato mediante il deposito delle azioni presso la sede sociale e il successivo rimborso delle stesse (cfr. artt. 2473 e ss. c.c.), le somme ricevute dal socio recedente rientrano tra le fattispecie che danno luogo a un cd. reddito di capitale ai sensi dell'art. 47, comma 7, del TUIR, nella cui quantificazione non rileva l'eventuale rideterminazione del valore di acquisto della partecipazione effettuata ai sensi dell'art. 5 l. n. 448/2001 (cfr. la Circolare n. 16/E del 22 aprile 2005, pag. 5, laddove viene chiarito che quest'ultima misura non può essere utilizzata in caso di recesso cd. tipico ''[...] in quanto le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato pe' l'acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate [...]'' ai sensi dell'articolo 47, comma 7, del TUIR).

Nell'ipotesi, invece, di recesso cd. ''atipico'', effettuato mediante la cessione a titolo oneroso della partecipazione, le somme ricevute dal socio rientrano tra i cd. redditi diversi di natura finanziaria (capital gain) ai sensi dell'art. 67, comma 1, lettere c) o c-bis), del TUIR.

Secondo l'Agenzia delle Entrate, la rideterminazione del valore delle quote prima del recesso sarebbe posta in contrasto con la ratio di tali norme, in quanto consentirebbe al socio (uscente) di ottenere dal disinvestimento della propria quota nella società partecipata utili derivanti dall'assegnazione di riserve disponibili di quest'ultima (realizzando, di fatto, un rimborso di detta partecipazione), trasformando così un reddito fisiologicamente di capitale in reddito diverso.

Conseguentemente, sarebbe legittima, applicando la normativa sull'abuso del diritto, la riqualificazione da parte dell'Ufficio della plusvalenza incorporata nel corrispettivo pagato ai soci cedenti, dalla categoria dei "redditi diversi" derivanti dalla cessione di partecipazioni, ai sensi dell'art. 67 del Tuir, a quella dei "redditi di capitale", ex art. 47 comma 7 del Tuir.

Quando si configura l'abuso di diritto

La normativa sull'abuso del diritto è contenuta nell'articolo 10-bis dello Statuto del Contribuente (l. n. 212/2000), secondo il quale configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti.

È stato osservato che per l'esistenza dell'abuso occorrono tre presupposti:

  • l'assenza di sostanza economica delle operazioni effettuate;
  • la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito;
  • la circostanza che il vantaggio è l'effetto essenziale dell'operazione (così Relazione al d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, pag. 6).

Pertanto, la norma in oggetto sembra restringere l'ambito applicativo della disposizione nel senso che, per far scattare la norma antielusiva, non è sufficiente un'operazione priva di valide ragioni economiche, ma occorre anche che l'indebito vantaggio sia lo scopo essenziale dell'operazione. In altri termini, l'indebito vantaggio fiscale, in assenza di sostanza economica, non determina necessariamente l'applicazione della norma sull'abuso.

Ciò sarebbe confermato dalla stessa Agenzia delle Entrate, secondo la quale, per constatare l'abuso del diritto, è necessario prioritariamente procedere alla verifica dell'esistenza del primo elemento costitutivo - l'indebito vantaggio fiscale - in assenza del quale l'analisi antiabusiva si deve intendere terminata. Diversamente, al riscontro della presenza di indebito vantaggio, si proseguirà nell'analisi della sussistenza degli ulteriori elementi costitutivi (assenza di sostanza economica e essenzialità del vantaggio indebito). Infine, solo qualora si dovesse riscontrare l'esistenza di tutti gli elementi, l'Amministrazione Finanziaria procederà all'analisi della fondatezza e della non marginalità delle ragioni extra fiscali (così la Risoluzione dell'Agenzia Entrate del 17 ottobre 2016, n. 93).

Pertanto, quando l'operazione non consente la realizzazione di alcun vantaggio fiscale indebito, non può essere considerata elusiva (così la Risposta di interpello dell'Agenzia Entrate del 30 ottobre 2019, n. 450).

E tale vantaggio indebito non può verificarsi quando si sfrutta una norma che permette di sostenere un'imposta sostitutiva per usufruirne, come sostenuto dalla prevalente giurisprudenza di cui di seguito se ne darà conto.

Alcune considerazioni sull'acquisto di azioni proprie

Nel caso in esame, l'Agenzia delle Entrate avrebbe contestato il fatto che, a seguito dell'acquisto delle azioni proprie da parte della società, i soci avrebbero realizzato una plusvalenza che sarebbe ordinariamente assoggettata, quale reddito diverso ex art. 67 TUIR, all'imposta sostitutiva con aliquota del 26 per cento; plusvalenza che, al contempo, verrebbe azzerata in ragione dell'adesione al regime di rideterminazione del valore di acquisto delle stesse partecipazioni, ai sensi dell'art. 5 l. n. 448/2001, con il versamento dell'imposta sostitutiva (attualmente) del 16%.

Nel caso in esame, il risparmio d'imposta ottenuto sarebbe qualificabile indebito in quanto è stato realizzato, nell'ambito della complessiva operazione di trasferimento del Ramo d'Azienda, combinando le previsioni civilistiche che consentono il recesso dei soci mediante l'acquisto delle azioni proprie e le menzionate disposizioni in tema di rideterminazione del valore di acquisto delle partecipazioni societarie.

Secondo la giurisprudenza prevalente però non vi sarebbe alcun vantaggio indebito nel rivalutare le quote al fine di cederle.

Come sancito anche dalla Corte di cassazione, la norma agevolativa ex art. 5 l. n.  448/2001 (relativa alla rivalutazione delle partecipazioni) è stata creata dal Legislatore anche per "esigenze di cassa" e non esclusivamente per la "circolazione delle partecipazioni" (cfr. Cass., n. 24839/2020).

In merito alle operazioni, precedute da una rivalutazione delle quote exl. n. 448/2001 e successive modifiche, non si può non fare a meno di citare un'altra ordinanza (Cass. n. 7359/2020), con la quale la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di parte erariale, risultante soccombente, sia in primo che in secondo grado, in una causa in cui si contestava l'elusività di un'operazione di riorganizzazione societaria complessa, portata termine mediante atti di fusione, costituzione di nuove società, conferimento d'azienda, rivalutazione di partecipazioni sociali, exLegge n. 448/2001 e successive modifiche, e loro trasferimenti.

La Suprema Corte ha ritenuto infondate le eccezioni dell'Ufficio, considerato che, in assenza di alcun divieto aggirato, il complesso delle operazioni contestate ha evidenziato la sussistenza di ragioni economiche tali da poterne escludere la predisposizione in vista del solo conseguimento di un indebito risparmio d'imposta.

Infatti, secondo i giudici di legittimità, la rivalutazione delle partecipazioni è avvenuta in forza di specifiche disposizioni di legge aventi finalità agevolative e, pertanto, non è possibile sostenere che c'è stato un illecito risparmio tributario.

Inoltre, a parere della Suprema Corte, l'esistenza di ragioni economiche apprezzabili, che giustifichino l'operazione, possono consistere anche in esigenze di natura organizzativa ed in un miglioramento strutturale e funzionale dell'azienda.

Pertanto, secondo i giudici di legittimità, non è abusivo del diritto godere della normativa agevolativa applicabile alla cessione di partecipazioni rispetto a quella prevista per la distribuzione di dividendi ex art. 47 Tuir.

Si consideri peraltro il fatto che proprio l'Agenzia delle Entrate, in alcuni documenti di prassi, ha messo in evidenza come non possa essere affatto considerata abusiva la rivalutazione delle partecipazioni effettuata in prossimità della cessione delle medesime. Si tratta di un legittimo risparmio d'imposta che si pone perfettamente in linea con la ratio di quanto previsto dagli artt. 5 e 7 l. n. 448/2001.

Infatti, è stato chiarito che: “… la rappresentata cessione … della totalità delle partecipazioni della società istante (rimasta titolare dell'azienda relativa al solo ramo operativo) da parte del socio-società e dei soci-persone fisiche non imprenditori, non integra alcun "indebito risparmio d'imposta"; ciò comporterà in capo alla prima, il realizzo di una plusvalenza esente ai sensi dell'articolo 87 del TUIR (ricorrendone i presupposti di legge) e, in capo ai secondi, un capital gain da partecipazione qualificata (essendo le partecipazioni al capitale sociale in esame di entrambi i soci superiori al 25%) ex articoli 67, comma 1, lettera c), e 68 del TUIR, che sarà, di fatto, "azzerato" a seguito della prospettata adesione alla rivalutazione delle partecipazioni da essi detenute” (così la Risoluzione 25 luglio 2017 n. 97/E).

In altro documento erariale (nella Risoluzione 17 ottobre 2016 n. 93/E), è stato sostenuto che non può affatto essere equiparato a una fattispecie di abuso del diritto un mero risparmio d'imposta per il quale il contribuente decide di optare (“L'eventuale cessione degli immobili, effettuata dai soci in un momento successivo all'avvenuta assegnazione, è una facoltà che il Legislatore non ha inteso vietare, con la conseguenza che, ad avviso della scrivente, il legittimo risparmio di imposta che deriva dall'operazione non è sindacabile ai sensi dell'articolo 10-bis della legge n. 212 del 27 luglio 2000”).

In senso analogo il Comitato Consultivo per le norme antielusive (con il parere del 20 ottobre 2003 n. 16), il quale, ha qualificato come non elusive le seguenti operazioni: rivalutazione delle partecipazioni sociali detenute nella società scindenda; scissione parziale e proporzionale, mediante attribuzione del patrimonio immobiliare alla costituenda società; concessione in locazione, alla scissa, degli immobili; cessione del pacchetto azionario della scissa alla beneficiaria.

Recentemente, è stato sancito che non assume rilievo, ai fini della valutazione della sussistenza di un indebito vantaggio fiscale, la circostanza che il corrispettivo della cessione delle partecipazioni detenute da un socio, che ha precedentemente rivalutato le quote sia pagato mediante le somme provenienti dai dividendi distribuiti dalle società del Gruppo (cfr. risposta ad interpello n. 169 del 12 agosto 2024).

Tali principi sono coerenti con quanto espressamente stabilito dal quarto comma dell'art. 10-bis, l. n. 212/2000.

Il Legislatore, infatti, con la previsione a favore dei contribuenti di procedere con la rivalutazione delle partecipazioni, previo pagamento di un'imposta sostitutiva, ha semplicemente preferito assicurarsi l'incasso, certo e immediato, di un'imposta sostitutiva, rispetto all'incasso (non certo nella sua esistenza) possibile e futuro di un'imposta più elevata.

Dispone per l'appunto il citato comma quarto: “Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”.

In merito, si ricorda che la Commissione Tributaria Regionale del Veneto del 22 gennaio 2022, n. 107, ha sancito che l'assoggettabilità di ogni operazione di riacquisto di azioni proprie alla sindacabilità da parte dell'Ufficio,

si tradurrebbe in una censura diretta alla libertà di scelta imprenditoriale fra le diverse opzioni offerte, legittimamente, dalla normativa fiscale

Pertanto, la mera opzione del contribuente per un regime fiscale meno oneroso, e al contempo previsto dal nostro ordinamento giuridico, non può costituire elemento da cui desumere l'esistenza di una fattispecie di abuso del diritto.

La Corte di cassazione (Cass. n. 25131/2021) ha ribadito che un'operazione di cessione di quote, preceduta dalla rivalutazione delle stesse, con il versamento di un'imposta sostitutiva, non può essere considerata abusiva del diritto.

Per questo motivo, secondo la Suprema Corte, come per altro già sostenuto dagli stessi giudici di legittimità in altre occasioni (le citate Cass. n. 7359/2020, confermata anche da Cass. n. 24839/2020), le operazioni di cessione di partecipazioni rivalutate a società legate da rapporti di commistione con i cedenti, in presenza di apprezzabile sostanza economica e in relazione al fatto che la rivalutazione delle partecipazioni è avvenuta in forza di specifiche disposizioni di legge aventi finalità agevolative, non possono essere considerate elusive.

Con sentenza del 22 marzo 2023, n. 79, la Corte di Giustizia di primo grado di Varese ha escluso che la scelta del contribuente di rivalutare le partecipazioni societarie in prossimità della loro cessione possa integrare la fattispecie di abuso del diritto.

Pertanto, è stata dichiarata illegittima la tesi dell'Agenzia delle Entrate, secondo la quale  l'operazione sarebbe stata elusiva in quanto avrebbe  avuto  come unico scopo quello di consentire al contribuente un notevole  risparmio d'imposta, nell'intento di fargli pervenire, quale socio persona fisica, mediante il filtro della holding di partecipazione, la liquidità generata dalla società operativa, non quale dividendo, ma come plusvalenza, e quindi con un prelievo fiscale inferiore rispetto a quello previsto per il caso di distribuzione di utili.

Infine, la Corte di Giustizia di primo grado di Udine (Con sentenza del 6 marzo 2023, n. 32) ha stabilito che un'operazione di acquisto di azioni proprie, preceduta dalla loro rivalutazione, non può essere riqualificata in un'operazione di recesso dalla società.

Infatti, l'acquisto di azioni proprie non può essere qualificato come un recesso tipico ex art. 47, comma 7, del Tuir, dal momento che tale norma fa riferimento al caso di annullamento delle azioni o quote. Qualora, invece, il recesso avvenga con modalità diverse, ossia mediante acquisto da parte degli altri soci proporzionalmente alle loro partecipazioni oppure da parte di un terzo concordemente individuato dai soci medesimi (cfr. art. 2473, comma 4, codice civile), si configura un'ipotesi che va inquadrata più propriamente nell'ambito degli atti produttivi di redditi diversi di natura finanziaria, sempreché si tratti di cessioni a titolo oneroso (cfr. Circolare dell'Agenzia del 16/06/2004 n. 26).    

Il fatto che il trasferimento sia stato preceduto dalla rivalutazione delle relative azioni, ciò non comporta la possibilità di riqualificare l'operazione, a maggior ragione quando, come nel caso deciso dalla Corte di Giustizia di Udine sopra citata, i soci non avevano il potere di esercitare il diritto di recesso, ma potevano soltanto negoziare un accordo commerciale con gli altri soci di maggioranza o con la società, che prevedeva la cessione a fronte di un corrispettivo.

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