Malformazione fetale non diagnosticata: si applica il criterio del danno differenziale?

La Redazione
03 Dicembre 2024

La Cassazione esamina il caso della responsabilità di un medico per non aver diagnosticato una malformazione fetale - che i genitori hanno scoperto solo dopo il parto - indicandone i criteri di liquidazione

Due coniugi adivano in giudizio il medico e la clinica che avevano avuto in cura la moglie durante la gravidanza, per sentirli dichiarare responsabili dei danni subiti per non aver tempestivamente diagnosticato una grave malformazione fetale del nascituro, consistente in una ectromelia trasversa dell'avambraccio sinistro (a causa della quale il bambino era nato privo di una mano e di parte del braccio sinistro), la cui esistenza era stata comunicata loro, inaspettatamente, solo dopo il parto. I due assumevano che la carenza informativa circa la grave malformazione del feto aveva impedito alla madre di praticare l'interruzione volontaria della gravidanza e che l'omessa diagnosi aveva impedito ai due di prepararsi psicologicamente alla nascita del bimbo malformato, causando un pregiudizio alla loro salute. Il Tribunale di Pescara accertava la responsabilità in capo al medico e alla struttura sanitaria che avevano seguito la donna durante la gravidanza per l'omessa diagnosi della malformazione fetale, riconoscendo non la possibilità di interruzione della gravidanza, ma un danno biologico in capo ai due genitori a causa del trauma subito, quantificando solo il danno effettivamente patito per la mancata informazione, commisurandolo nella misura del 15% del danno biologico per il padre e del 10% per la madre e aumentando gli importi liquidati del 25% per una congrua personalizzazione del danno. I coniugi proponevano appello, sostenendo che il Tribunale avesse mal applicato i criteri di calcolo del danno differenziale, in quanto avrebbe dovuto procedere prima a calcolare il danno nella sua intera misura e poi sottrarre dall'importo così ottenuto l'importo relativo alla percentuale di danno ritenuto non imputabile, al fine di liquidare in favore dei danneggiati l'equivalente monetario dell'aggravamento. La Corte d'appello confermava la liquidazione effettuata dal giudice di prime cure. I due coniugi impugnavano la sentenza in Cassazione.

La Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata poiché, nel caso di specie, il giudice di secondo grado ha correttamente escluso che il danno dovesse liquidarsi secondo i criteri di calcolo utilizzati per il danno differenziale, poiché le conseguenze dannose patite dai coniugi non sono interamente ascrivibili all'inadempimento del medico: infatti, la malformazione – preesistente all'inadempimento – avrebbe comunque colpito la vita psichica dei coniugi e non sarebbe stata evitabile.

Il danno differenziale, invece, presuppone l'esistenza di una menomazione preesistente, alla quale viene ad aggiungersi una nuova menomazione dovuta ad errore medico, come ad es. nel caso di un paziente, già compromesso fisicamente, il quale sia sottoposto ad un intervento che, per la sua cattiva esecuzione, determini una compromissione ulteriore rispetto alla percentuale che sarebbe comunque residuata anche in caso di ottimale esecuzione dell'intervento stesso.

Nel caso in esame, si è verificato un fatto naturale - la nascita di un bimbo con una malformazione genetica - che può essere causa di un danno non patrimoniale per i genitori, in ragione della sofferenza pura che il fatto genera in loro o anche in termini di danno biologico, qualora lo stress e la depressione causati dal trovarsi di fronte, senza esserne preparati, alla nascita del bimbo menomato si traduca in una alterazione psicofisica medicalmente accertabile e quantificabile. Dunque, la liquidazione del danno è corretta, perché questa combinazione di eventi - causa naturale e danno da omessa informazione da parte dei medici - passa attraverso non la nozione di danno differenziale, ma attraverso la nozione di danno alla persona riconducibile alla concomitanza di una condotta umana e di una causa naturale, tale ultima dovendosi ritenere lo stato patologico non riferibile alla prima. In questi casi, l'autore del fatto illecito risponde dell'evento eziologicamente riconducibile alla sua condotta, in base ai criteri di equivalenza della causalità materiale, mentre l'eventuale efficienza concausale dei suddetti eventi naturali rileva sul piano della causalità giuridica, ex art. 1223 c.c., ai fini della liquidazione, in chiave complessivamente equitativa, dei pregiudizi conseguenti.

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