Il divieto di cumulo dell’attività di mediatore immobiliare e di amministratore di condomini contrasta con il principio di proporzionalità
17 Dicembre 2024
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione dell'art. 49 TFUE, dell'art. 25, comma 1, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno. Tale domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia tra una società stabilita in Italia, da un lato, e il Ministero dello Sviluppo economico e la Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura, dall'altro, in merito al divieto generale di esercizio congiunto dell'attività di mediazione immobiliare e di amministratore di condomini opposto a detta società. La società è un'impresa individuale che esercita contemporaneamente le attività di amministratore di condomini e di mediazione immobiliare in qualità di agente immobiliare. Il Ministero dello Sviluppo economico, sulla scorta di una denuncia, ha chiesto alla CCIAA di effettuare verifiche relative all'esistenza di una possibile incompatibilità o di un possibile conflitto di interessi in ragione del cumulo, da parte della società, delle attività di mediazione immobiliare e di amministratore di condomini. La CCIAA ha ritenuto, effettuate le opportune verifiche, che l'esercizio contemporaneo delle attività costituisse una situazione di incompatibilità ai sensi dell'art. 5, comma 3, l. n. 39/1989; di conseguenza decideva di iscrivere la società nel registro economico ed amministrativo degli amministratori di condominio, vietandole la prosecuzione dell'attività di mediazione immobiliare. La società ricorreva avverso tale decisione dinanzi al TAR competente territorialmente; il ricorso veniva respinto con la motivazione che gli immobili gestiti nell'ambito dell'attività di amministratore possono essere indebitamente favoriti rispetto a quelli disponibili sul mercato, con conseguenze quanto all'imparzialità di cui deve dar prova un mediatore immobiliare. La società ricorrente proponeva appello dinanzi al Consiglio di Stato eccependo che il divieto di cumulare le attività esercitate violerebbe il diritto dell'Unione. Va evidenziato che la Commissione europea aveva avviato, il 19 luglio 2018, una procedura di infrazione contro la Repubblica italiana sulla questione della conformità al diritto dell'Unione dell'art. 5, comma 3 l. n. 39/1989. Il Consiglio di Stato faceva rilevare che, tuttavia, la procedura di infrazione è stata in seguito archiviata, precisando che l'art. 5, comma 3, l. n. 39/1989 non prevede più un divieto assoluto di esercizio congiunto di attività multidisciplinari. Alla luce delle su esposte considerazioni, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e sottoporre alla Corte europea le seguenti questioni pregiudiziali. Si chiedeva se l'art. 5, comma 3 l. n. 39/1989, come riformulato a seguito della procedura di infrazione fosse pienamente conforme al diritto dell'UE, specie in ragione dell'avvenuta archiviazione della procedura di infrazione stessa. Inoltre, si chiedeva se i principi e gli scopi dell'art. 59, comma 3 della direttiva 2005/36/CE, nonché dell'art. 25, comma 1, della direttiva 2006/123/CE, e più in generale dell'art. 49 TFUE ostano ad una normativa come quella italiana che sancisce in via preventiva e generale l'incompatibilità tra l'attività di mediazione immobiliare e quella di amministratore di condomini sul presupposto del mero esercizio congiunto delle due attività e senza, quindi, la necessità per le Camere di Commercio di svolgere alcuna verifica a posteriori riferita in concreto all'oggetto delle mediazioni svolte e senza che ciò risulti motivato da un motivo imperativo di interesse generale specificatamente individuato e comprovato, o comunque senza la dimostrazione della proporzionalità della prevista incompatibilità generale rispetto allo scopo perseguito. Infine, si chiedeva se l'agente immobiliare può, comunque, svolgere anche l'attività di amministratore di condomini, salvo il caso in cui non cerchi di vendere/acquistare il fabbricato che amministra, visto che in questo caso si paleserebbe un conflitto di interessi. Sulla prima questione la Corte Europea ha ritenuto che occorresse riformulare la prima questione pregiudiziale e considerare che, con essa, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'art. 258 TFUE debba essere interpretato nel senso che l'archiviazione, da parte della Commissione, di una procedura d'infrazione contro uno stato membro comporti la conformità al diritto dell'Unione della normativa nazionale che era stata oggetto di tale procedura. A tale riguardo occorre rilevare che la decisione della Commissione di avviare o meno un procedimento per inadempimento costituisce l'esercizio di un potere discrezionale di quest'ultima, sul quale la Corte non può esercitare un controllo giurisdizionale. Del pari, essa ha competenza esclusiva a decidere se sia opportuno continuare la procedura inviando un parere motivato, così come ha la facoltà, ma non l'obbligo, al termine di tale procedura, di deferire la questione alla Corte in vista di un accertamento da parte di quest'ultima del presunto inadempimento. Tenuto conto di tale potere discrezionale, la decisione di proseguire o di archiviare una procedura di infrazione non può essere determinante ai fini della valutazione della conformità al diritto dell'Unione di una normativa nazionale. In forza dell'art. 260, comma 1, TFUE la Corte è competente in via esclusiva a constatare che uno stato membro è venuto meno ad uno degli obblighi ad esso incombenti in forza dei Trattati. Alla luce delle considerazioni innanzi dette, la Corte Europea, rispondendo alla prima questione, ha dichiarato che l'art. 258 TFUE deve essere interpretato nel senso che l'archiviazione, da parte della Commissione, di una procedura di infrazione contro uno Stato membro non comporta la conformità al diritto dell'Unione della normativa nazionale che era stata oggetto di tale procedura. La Corte Europea ha poi ritenuto irricevibili la seconda e la terza questione pregiudiziale unicamente nella parte in cui vertono sull'interpretazione dell'art. 49 TFUE e dell'art. 59, comma 3, della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 settembre 2005 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali da un lato, per non avere il giudice del rinvio individuato gli elementi concreti che consentissero di stabilire un collegamento fra l'oggetto o le circostanze della controversia medesima e le disposizioni suddette, dall'altro, perché la causa non verteva sul riconoscimento di una qualifica professionale ottenuta in uno Stato membro diverso dall'Italia. Nel merito, la Corte ha ritenuto che la direttiva 2006/123/CE, art. 1, comma 1, relativa ai servizi nel mercato interno, in combinato disposto con gli artt. 205 e ss. della stessa, stabilisce disposizioni generali volte ad eliminare le restrizioni alla libertà di stabilimento dei prestatori di servizi negli Stati membri e alla libera circolazione dei servizi tra questi ultimi, al fine di contribuire alla realizzazione di un mercato interno dei servizi libero e competitivo. Gli Stati membri devono garantire che i prestatori di servizi non siano soggetti a requisiti che li obblighino a svolgere esclusivamente una determinata attività specifica o che limitino l'esercizio, congiunto o in associazione di attività diverse. Nel caso posto al vaglio della Corte Europea, sebbene non si possa escludere che possa verificarsi una situazione di conflitto di interessi, in particolare quando le attività di mediazione immobiliare e di amministratore di condomini sono esercitate nei confronti di uno stesso bene, o di beni comparabili, un tale rischio non è necessariamente destinato a realizzarsi in ogni circostanza, così che l'esistenza di un siffatto conflitto di interesse non si può presumere. Infine, occorre considerare che le difficoltà di ordine pratico invocate dal Governo italiano per quanto riguarda l'attuazione delle misure alternative al divieto generale di esercizio congiunto di attività di mediazione immobiliare e di amministratore di condomini e, in particolare, l'impossibilità di verificare l'assenza di un conflitto di interessi in ciascuna transazione in occasione di un'eventuale esercizio di tale attività per un medesimo bene immobile, non sono insormontabili; infatti, gli atti di compravendita possono, ad esempio, contenere dichiarazione esplicita secondo le quali l'agente immobiliare agendo in qualità di mediatore non esercita, al contempo, la funzione di amministratore del condominio di cui fa parte l'immobile acquistato. In ogni caso, tali difficoltà pratiche non possono giustificare l'inosservanza degli obblighi risultanti dal diritto dell'Unione; di conseguenza, risulta che un divieto generale di cumulo delle attività di mediazione e di amministrazione di condomini, come quello in questione, vada oltre quanto necessario e proporzionato per raggiungere l'obiettivo che persegue. (fonte: dirittoegiustizia.it) |