Errore di fatto revocatorio e processo civile telematico di legittimità

16 Dicembre 2024

L’errore di fatto revocatorio assume rilevanza anche in caso di disguido telematico nella visibilità degli atti depositati?

Massima

In tema di revocazione, ai fini della configurabilità dell'errore di fatto di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c., tra gli «atti o documenti della causa», dai quali l'errore stesso deve risultare, vanno compresi - in attuazione dei principi del giusto processo e di effettività della difesa - gli atti e i documenti attinenti alla causa e ritualmente depositati dalla parte interessata, pur se, per mero disguido informatico non imputabile alla parte stessa, essi non risultino visibili nel fascicolo telematico.

Ne deriva che è affetta da errore revocatorio la pronuncia della Corte di cassazione con la quale si dichiari inammissibile un ricorso per Cassazione per mancanza di prova della sua notifica, allorché risulti che la relativa documentazione era stata ritualmente depositata ma, a causa di un disguido di cancelleria, non imputabile alla parte, non resa visibile.

Il caso

Un giudizio risarcitorio per danni conseguenti a circolazione stradale, si concludeva con una pronuncia della Corte di cassazione di inammissibilità, per non aver il ricorrente dimostrato di aver notificato il ricorso alle controparti, rimaste intimate.

Avverso detta ordinanza, il danneggiato ha proposto ricorso per revocazione ex art. 391-bis c.p.c. giacché, dopo aver notificato il ricorso per cassazione, aveva provveduto all'iscrizione a ruolo in via telematica del ricorso per cassazione. Pertanto, risulterebbe documentalmente provato che il ricorrente aveva provveduto a trasmettere alla Corte di cassazione, al momento della iscrizione a ruolo, la prova della notifica del ricorso alle controparti.

La Corte di cassazione ha accolto il gravame, rilevando che  quanto affermato in tema di errore di fatto revocatorio in ambiente "analogico" o tradizionale possa senz'altro replicarsi anche in relazione alle vicende del processo civile telematico di legittimità, là dove il ricorrente in revocazione alleghi e dimostri (come nel caso di specie) di aver regolarmente depositato nel fascicolo telematico un atto o un documento, rilevante ai fini della decisione, tuttavia non visibile o fruibile dal Collegio decidente al momento della statuizione dell'ordinanza (o sentenza).

La questione

La questione in esame è la seguente: l’errore di fatto revocatorio assume rilevanza anche in caso di disguido telematico nella visibilità degli atti depositati?

Le soluzioni giuridiche

L'istanza di revocazione implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all'art. 395, comma 1, n. 4 c.p.c., il quale consiste in un errore di percezione o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l'esistenza (o l'inesistenza) di un fatto decisivo che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato.

L'errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l'altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio (Cass. civ., sez. trib., 17 agosto 2021, n. 22994; Cass. civ., sez. trib., 27 novembre 2020, n. 27131; Cass. civ., sez. trib., 22 ottobre 2019, n. 26890).

In sostanza, l'errore rilevante ai sensi dell'art. 395, n. 4 c.p.c.:

  1. consiste nell'erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione della esistenza o della inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa, sempre che il fatto oggetto dell'asserito errore non abbia costituito terreno di discussione tra le parti;
  2. non può concernere l'attività interpretativa e valutativa;
  3. deve possedere i caratteri della evidenza assoluta e della immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche;
  4. deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione erronea e la decisione revocanda deve esistere un nesso causale tale da affermare con certezza che, ove l'errore fosse mancato, la pronuncia avrebbe avuto un contenuto diverso;
  5. deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di Cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte, poiché l'errore che inficia il contenuto della decisione impugnata in Cassazione deve essere fatto valere con le impugnazioni esperibili contro la decisione stessa (Cass. civ., sez. trib., 15 dicembre 2022, n. 36875; Cass. civ., sez. trib., 21 novembre 2022, n. 34267; Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 2018, n. 26643).

Nella selezione degli atti interni al giudizio di legittimità, poi, è consolidata l'ulteriore affermazione secondo cui vi rientra, tra l'altro, il deposito del ricorso ex art. 369, comma 1 c.p.c. (Cass. civ., sez. lav., 20 novembre 2006, n. 24586; Cass. civ., sez. trib., 11 febbraio 2004, n. 2597).

Inoltre, quanto alla mancata considerazione di un documento da parte della Suprema Corte, benché inserito nel fascicolo, è anche consolidato l'orientamento secondo cui l'affermazione contenuta nella sentenza circa l'inesistenza, nei fascicoli processuali (d'ufficio o di parte), di un documento che, invece, risulti esservi incontestabilmente inserito, non si concreta in un errore di giudizio, bensì in una mera svista di carattere materiale, costituente errore di fatto e, quindi, motivo di revocazione a norma dell'art. 395, n. 4 c.p.c. e non di ricorso per Cassazione (Cass. civ., sez. trib., 26 gennaio 2021, n. 1562).

Sotto diverso, ma connesso profilo, è stato, infine, affermato che, in caso di revocazione proposta avverso la sentenza con cui la Suprema Corte abbia dichiarato improcedibile un ricorso per carenza della copia notificata della sentenza impugnata, la prova della sua presenza nel fascicolo di parte può essere fornita dimostrando l'espressa menzione dell'atto nel ricorso originario notificato alla controparte, ovvero sulla base di altri elementi, a condizione che essi non rientrino nella disponibilità materiale della parte che avrebbe interesse a fornire tale dimostrazione e, dunque, diversi dall'indice a suo tempo vistato dalla Cancelleria e poi ritirato dalla parte (Cass. civ., sez. VI, 21 maggio 2015, n. 10517).

Osservazioni

La pronuncia in commento non si allinea a quanto affermato in precedenza dalla Corte di cassazione, sul tema della revocazione in generale, secondo cui l'errore di fatto revocatorio di cui all'art. 395, n. 4 c.p.c., essendo un errore di percezione del giudice risultante dagli atti o documenti della causa, è configurabile nel caso in cui il giudice supponga inesistente un documento ritualmente prodotto ed effettivamente esistente, ma non laddove il documento, pur prodotto in giudizio, non esista materialmente tra gli atti di causa al momento della decisione (per smarrimento, sottrazione, distruzione o ritiro volontario), sicché il giudice non abbia potuto prenderlo in esame ai fini della valutazione probatoria e della decisione della controversia (in termini: Cass. civ., sez. trib., 25 maggio 2011, n. 11453; Cass. civ., sez. lav., 30 gennaio 2006, n. 1938).

La norma dettata dall'art. 395, n. 4 c.p.c., laddove si attribuisce rilevanza, ai fini della revocazione, all'errore di fatto «risultante dagli atti o documenti della causa», deve essere letta secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, alla luce dei principi, inerenti il "giusto processo" e l'effettività della tutela giurisdizionale.

Infatti, quanto precede induce a ritenere che, già in senso tecnico, il ricorso in parola sia da considerarsi «atto di causa», la cui qualificazione deriva non già dal suo fisico inserimento nel fascicolo (attività che non dipende minimamente dalla parte, essendo di esclusiva competenza del cancelliere, ex art. 36 disp. att. c.p.c.), bensì dall'aver la parte stessa espletato quanto necessario perché esso pervenga alla cognizione (lato sensu) del giudice, mediante rituale produzione.

D'altra parte, la Corte di cassazione ha già avuto modo di precisare che l'errore revocatorio «deve risultare sulla sola base della sentenza, nel senso che in essa sussista una rappresentazione della realtà in contrasto con gli atti e i documenti processuali regolarmente depositati» (Cass. civ., sez. lav., 29 gennaio 1999, n. 75), per tali non potendo che intendersi quelli - attinenti alla causa - ritualmente ricevuti dal Cancelliere, su richiesta della parte.

La quale parte, dunque, non può che fondatamente confidare nel fatto che la propria attività processuale, ove dispiegata nel rispetto dei canoni normativi, sia idonea a produrre gli effetti che devono derivarne (id est, per stare a quanto qui interessa, la tempestiva produzione di un atto o documento in cancelleria implica che legittimamente la parte che vi ha provveduto possa attendersi che di tale produzione, nella relativa causa, il giudice terrà conto, già a prescindere dall'esito della afferente valutazione).

E' quindi evidente che, nell'espressione «atto o documento di causa», per quel che qui interessa, va ricompreso non solo ciò che il giudice rinvenga materialmente nel fascicolo d'ufficio (o in quello di parte nel primo inserito), ma anche ciò che avrebbe dovuto esservi inserito dal Cancelliere (per aver la parte diligentemente assolto il proprio onere di produzione), ma che invece, per mero disguido, non lo è stato.

In tal guisa, l'errore di percezione del giudice non riguarda solo ciò che egli rinvenga, o non rinvenga, in senso fenomenico, nel fascicolo d'ufficio all'atto della decisione, ma si estende anche a quell'atto o documento (attinente alla causa) che, benché regolarmente prodotto dalla parte, non sia stato però dal giudice stesso apprezzato per causa ascrivibile all'ufficio giudiziario nel suo complesso, latamente inteso.

L'argomento, ovviamente, è assai delicato, perché comporta il rischio che deficienze operative o organizzative della Cancelleria possano ridondare sul contenuto della decisione e, ancor prima, sulla stessa serenità del giudice.

Tuttavia, a parte l'insignificanza, sul piano statistico, di tali evenienze, si tratta di un costo (e di un rischio) sistemico, che occorre consapevolmente affrontare e risolvere, nell'interesse dell'utente che, pur anelando giustizia, vede negarsela per un fatto assolutamente a lui non ascrivibile, né direttamente né indirettamente.

Infine, non è superfluo evidenziare come le considerazioni che precedono valgano specificamente nella descritta ipotesi del "disguido di Cancelleria", ove debitamente documentato, o in altre ad essa (rigorosamente e strettamente) assimilabili e sempre che della ritualità del deposito dell'atto la Suprema Corte non abbia contezza alcuna.

In qualsiasi altra ipotesi in cui effettivamente un atto o documento non sia stato rinvenuto nel fascicolo d'ufficio o di parte al momento della decisione, benché vi fosse stato regolarmente inserito, alcun rimedio è esperibile avverso i provvedimenti ciononostante adottati dalla Corte di cassazione, quale giudice di legittimità, sul presupposto della sua inesistenza, non potendo configurarsi, in tal caso, alcun errore di percezione e non trovando applicazione le ulteriori ipotesi previste dall'art. 395 c.p.c., invece sperimentabili (ad eccezione del caso regolato dal n. 5 dello stesso articolo), ai sensi dell'art. 391-ter c.p.c., solo quando la Corte pronunci nel merito ex art. 384, comma 2 c.p.c. (Cass. civ., sez. un., 23 novembre 2015, n. 23833; Cass. civ., sez. un., 18 luglio 2013, n. 17557Cass. civ., sez. un., 10 luglio 2012, n. 11508; Cass. civ., sez. I, 10 maggio 2006, n. 10807).

Può quindi concludersi nel senso che, nell'espressione «atto o documento di causa», per quel che qui interessa, va ricompreso non solo ciò che il giudice rinvenga materialmente nel fascicolo d'ufficio, ma anche ciò che avrebbe dovuto esservi rinvenuto (per aver la parte diligentemente assolto il proprio onere di produzione), ma che invece, per fatto accidentale, non imputabile alla parte, non lo è stato.

In tal guisa, l'errore di percezione del giudice non riguarda solo ciò che egli rinvenga, o non rinvenga, in senso fenomenico, nel fascicolo d'ufficio all'atto della decisione, ma si estende anche a quell'atto o documento (attinente alla causa) che, benché regolarmente prodotto dalla parte, non sia stato però dal giudice stesso apprezzato per causa ascrivibile all'ufficio giudiziario nel suo complesso, latamente inteso.

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