La Cassazione ha escluso la possibilità di applicare l’art. 131-bis c.p. anche alla responsabilità dell’ente
18 Dicembre 2024
Massima La causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p. non è applicabile alla responsabilità amministrativa dell'ente per i fatti commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dai propri dirigenti o dai soggetti sottoposti alla loro direzione prevista dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in considerazione della differenza esistente tra i due tipi di responsabilità e della natura autonoma della responsabilità dell'ente rispetto a quella penale della persona fisica che ponga in essere il reato presupposto. Tale autonomia esclude che l'eventuale applicazione all'agente della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto impedisca di applicare all'ente la sanzione amministrativa, dovendo egualmente il giudice procedere all'autonomo accertamento della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso. Il caso Il caso sottoposto al vaglio dei giudici di legittimità trae origine da una pronuncia assolutoria per particolare tenuità del fatto, dal reato di cui all'art. 256, comma 1 lett. a) d.lgs. n. 152/2006 nei confronti del direttore tecnico e amministrativo di una società che – nel gestire un centro di raccolti rifiuti urbani differenziati, pericolosi e non – non avrebbe adottato le procedure di contabilizzazione dei rifiuti in ingresso e in uscita, necessarie per la corretta impostazione dei bilanci di massa. Per le stesse ragioni veniva assolta ai sensi dell'art. 131-bis c.p. anche la S.r.l. cui era stato ascritto l'illecito amministrativo di cui all'art. 25-undecies, comma 2, contestato in relazione all'art. 265, comma 3, d.lgs. n. 152/2006. Avverso la suddetta sentenza presentavano ricorso per cassazione il Direttore tecnico e amministrativo e la società stessa, deducendo l'erronea applicazione degli art. 131-bis c.p. e 256 comma 1 lett a) T.U. Ambientale e il vizio di motivazione poiché la condotta posta in essere dall'imputato avrebbe, al più, integrato l'illecito amministrativo di cui all'art. 258 d.lgs. n. 152/2006 – rubricato “violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari” – avendo l'imputazione ad oggetto la mancata adozione della contabilizzazione dei rifiuti per soli due mesi di attività. Difatti, a seguito dell'istruttoria dibattimentale, è emerso che la gestione del centro di raccolta di rifiuti urbani del Comune era avvenuta con le prescritte autorizzazioni e in virtù di un regolare contratto di appalto. A parere della difesa dell'Ente, prima ancora di riconoscere la particolare tenuità del fatto, il Tribunale avrebbe dovuto argomentare in merito alla sussistenza del reato presupposto dell'illecito amministrativo ascritto alla società. Con il terzo motivo, veniva poi contestato il mancato accertamento del requisito essenziale dell'eventuale vantaggio su cui si fonda la responsabilità ex d.lgs. n. 231/2001, rispetto alla violazione contestata alla persona fisica. La Suprema Corte – condividendo le argomentazioni rese nel ricorso – ha ritenuto che, nel caso di specie, l'obbligo di motivazione non fosse stato debitamente assolto, essendosi il giudice di prime cure quasi interamente soffermato sulla verifica dei presupposti applicativi dell'art. 131-bis c.p., anziché illustrare le ragioni poste a fondamento della propria decisione. I giudici di legittimità hanno annullato la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale, in diversa composizione fisica. La questione Può il giudice riconoscere tale beneficio all'ente, pur in considerazione della differenza esistente tra i due tipi di responsabilità? Tenuto conto della natura autonoma della responsabilità ex d.lgs. n. 231/2001 rispetto a quella penale della persona fisica che pone in essere il reato presupposto, si può escludere ogni automatismo tra l'eventuale riconoscimento della particolare tenuità del fatto nei confronti dell'autore del reato e l'accertamento della responsabilità dell'ente? Le soluzioni giuridiche Con la sentenza in commento la Suprema Corte, sul solco segnato dagli univoci precedenti giurisprudenziali, ha (ri)affermato che «la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p. non è applicabile alla responsabilità amministrativa dell'ente per i fatti commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dai propri dirigenti o dai soggetti sottoposti alla loro direzione prevista dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in considerazione della differenza esistente tra i due tipi di responsabilità e della natura autonoma della responsabilità dell'ente rispetto a quella penale della persona fisica che ponga in essere il reato presupposto», affermata in maniera esplicita dalla lettera della rubrica dell'art. 8 d.lgs. n. 231/2001. Tale autonomia – si legge nella pronuncia – «esclude che l'eventuale applicazione all'agente della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto impedisca di applicare all'ente la sanzione amministrativa, dovendo egualmente il giudice procedere all'autonomo accertamento della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso». La Corte di cassazione ha preso le mosse dalla sentenza n. 9072 del 17 novembre 2017 della Terza Sezione secondo cui l'eventuale applicazione dell'art. 131-bis c.p. non esclude la responsabilità dell'ente, in via astratta, ma la stessa deve essere accertata effettivamente in concreto non potendosi utilizzare, allo scopo, automaticamente la declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto emessa nei confronti della persona fisica. La responsabilità amministrativa degli enti si configura come un «sistema sostanzialmente differente, il quale rispetto alle diverse discipline dell'illecito penale e di quello amministrativo si pone in un rapporto di limitata permeabilità, dipendente dalle sue specifiche caratteristiche». «Tale particolarità – ha precisato la Cassazione in una recente pronuncia – caratterizza anche le modalità di accertamento della responsabilità dell'ente in precedenza descritta. Ciò posto, deve osservarsi come la dedotta applicabilità dell'art. 131-bis c.p. al caso di specie, oltre che errata, tragga spunto dalla diffusa tendenza a non considerare l'effettivo ambito di operatività della disposizione codicistica (…). Invero, la rispondenza ai limiti di pena indicati dalla norma costituisce solo la prima delle condizioni per l'esclusione della punibilità, essendo infatti richiesti (congiuntamente e non alternativamente, come si ricava dal tenore letterale della disposizione), gli "indici criteri" della particolare tenuità dell'offesa e della non abitualità del comportamento, il primo dei quali si articola, a sua volta, nei due "indici-requisiti", della modalità della condotta e dell'esiguità del danno o del pericolo, apprezzate ai sensi dell'articolo 133 c.p. Si tratta, dunque, di una verifica che attiene alla concreta manifestazione del reato anche attraverso la considerazione di aspetti precipuamente soggettivi, quali il comportamento non abituale e le modalità della condotta, con un richiamo espresso ai criteri direttivi di cui all'art. 133, comma 1 c.p. che si riferisce, tra l'altro, alle modalità dell'azione ed alla intensità del dolo ed al grado della colpa». Dunque, considerando i criteri così individuati deve escludersi la possibilità di applicare l'istituto di cui all'art. 131-bis c.p. anche alle persone giuridiche (Cass. pen., sez. III, n. 11518/2019). In seguito, la Cassazione, uniformandosi a questo orientamento giurisprudenziale, ha ribadito che detta causa di esclusione della punibilità è espressamente riferita alla realizzazione di un reato, la cui punibilità viene esclusa per la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento, mentre quella dell'ente trova nella realizzazione di un reato solamente il proprio presupposto storico, essendo volta a sanzionare la colpa di organizzazione (Cass. pen., sez. III, n. 1420/2019). Orbene, nonostante le richiamate pronunce della Suprema Corte, diversi orientamenti di merito (Trib. di Milano, sez. X, 23 gennaio 2018, n. 677; Trib. di Milano, 27 novembre 2018, n. 13402) – contrapponendosi alla giurisprudenza di legittimità – hanno concluso per l'applicazione dell'art. 131-bis c.p. anche alle corporation. I sostenitori della contraria tesi estensiva si appellano, anzitutto, alla circostanza che il d.lgs. n. 28/2015, introduttivo dell'istituto in esame, benché successivo rispetto al d.lgs. n. 231/2001 nulla ha espresso in merito ai rapporti intercorrenti tra la nuova previsione dell'art. 131-bis c.p. e la responsabilità degli enti. A ciò si aggiunga che l'istituto della “particolare tenuità del fatto” integra una causa di non punibilità non ricompresa nelle ipotesi espressamente menzionate nell'art. 8 d.lgs. n. 231/2001. Difatti, sebbene nella relazione ministeriale al decreto legislativo del 2001 viene testualmente specificato che «… le cause di estinzione della pena (emblematici i casi grazia o di indulto), al pari delle eventuali cause non punibilità e, in generale, alle vicende che ineriscono a quest'ultima, non reagiscono in alcun modo sulla configurazione della responsabilità in capo all'ente», di queste non vi è traccia nel citato articolo. Parte della dottrina richiama, invece, l'esigenza economica e sociale sottesa all'intervento normativo del 2015 ovvero quella di sottrarre alla materia penale fatti e condotte che, pur sussumibili nella fattispecie penale astratta, presentino un'offensività talmente attenuata da indurre a ritenere che l'intervento della complessa macchina sanzionatoria possa costituire risposta eccedente rispetto all'offesa al bene giuridico protetto (Relazione illustrativa al Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28). La finalità perseguita con l'introduzione del 131-bis c.p. verrebbe, quindi, pregiudicata se, in presenza di un reato considerato di scarsa offensività, si dovesse comunque accertare la responsabilità amministrativa per l'ente. Ed ancora, la causa di non punibilità oggetto di analisi, essendo strettamente legata al profilo dell'offensività del fatto tipico e intrinseca alla struttura stessa del reato, produce inevitabilmente effetti anche sulla responsabilità amministrativa dell'ente, la quale trae origine dal medesimo fatto illecito. Osservazioni Esaminate le contrapposte argomentazioni, le sentenze dei giudici di legittimità si segnalano per una presa di posizione talvolta eccessivamente netta in merito all'(im)possibilità di estendere alla persona giuridica istituti che il codice penale dedica alla responsabilità delle persone fisiche. Si pensi, ad esempio, all'istituto della messa alla prova, previsto e disciplinato dall'art. 168-bis e ss. c.p. che, al pari dell'art. 131-bis c.p., «non trova applicazione con riferimento alla disciplina della responsabilità degli enti di cui al d.lgs. 231/2001» (Cass. pen., sez. un., 6 aprile 2023, n. 14840). Anche in tal caso, nonostante l'intervento delle Sezioni Unite, diversi giudici di merito hanno intrapreso una direzione opposta (Trib. di Bari, I Sez. pen.,15 giugno 2023, n. 3601; Trib. Di Perugia, ordinanza emessa il 7 febbraio 2024) Non si ravvisano, dunque, ragioni sostanziali per inibire all'ente l'accesso alla esaminata causa di non punibilità. È indubbio che la natura autonoma della responsabilità c.d. “mista” amministrativo-penale (“tertium genus ”) dell'ente, esclude l'automatica estensione della particolare tenuità del fatto nei confronti dell'ente nell'ipotesi in cui tale beneficio venga riconosciuto a favore dell'autore del reato. Pertanto, non esistendo alcun rapporto di consequenzialità logica, la mancata applicazione della sanzione al primo soggetto non impone – né consente frettolosamente e senza autonomo accertamento che – una medesima conclusione sia assunta nei confronti della società. Condividendosi in parte quanto affermato dalla Corte di cassazione, altrettanto evidente è la difficoltà di adattare i summenzionati indici-criteri richiesti per l'applicazione dell'art. 131-bis c.p. anche al soggettivo collettivo. Tuttavia, in assenza – de jure condito – di una normativa di raccordo che renda applicabile la disciplina di cui all'art. 131-bis c.p. alla categoria degli enti, la Suprema Corte potrebbe indicare sulla base di quali elementi considerare la vicenda che vede coinvolta la persona giuridica come di particolare tenuità. Il Giudice potrebbe compiere una valutazione in merito alla effettiva e concreta gravità della “colpa di organizzazione” da considerarsi “irrilevante” e, dunque, “tenue” nell'ipotesi in cui l'ente, non dotato di un Modello 231, abbia in buon parte ottemperato all'obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati presupposto, oppure nel caso in cui il profitto tratto dall'ente sia irrisorio, anche in virtù delle sue pregresse condizioni economiche. Ad ogni modo, è senz'altro auspicabile un apposito intervento del Legislatore al fine di rendere l'istituto in questione coerente con i principi fondanti la responsabilità da reato degli enti. Si potrebbe, difatti, prospettare l'introduzione di una norma ad hoc in materia di illecito amministrativo per reato “bagatellare”, alla luce delle esigenze dei Tribunali di merito che, dinnanzi a fatti concreti, hanno avvertito la necessità di estendere l'esaminata causa di non punibilità anche alle società. |