È vietata la sopraelevazione qualora vengano violate le norme antisismiche

20 Dicembre 2024

Sussiste il divieto di sopraelevazione per inidoneità delle condizioni statiche dell’edificio allorquando le strutture dell’immobile non rispettano le leggi antisismiche che prescrivono particolari cautele tecniche da adottarsi, in ragione delle caratteristiche del territorio nella sopraelevazione degli edifici, e la loro inosservanza determina una presunzione di pericolosità.

Il caso

Con atto di citazione gli attori convenivano in giudizio i convenuti, esponendo di essere proprietari pro indiviso di un immobile, mentre i convenuti erano proprietari di un appartamento sovrastante la loro proprietà, il quale disponeva di una scala in comune di accesso ai piani con altre unità immobiliari integranti un fabbricato avente una copertura a falde che superava di qualche metro la copertura del primo immobile; gli attori lamentavano che i convenuti avevano innalzato la falda del sottotetto, determinando un maggior carico strutturale dell'immobile ed un pericolo per la sua stabilità e per l'aumento del rischio sismico. Chiedevano la condanna al ripristino dello stato dei luoghi ed il risarcimento dei danni. Si costituivano i convenuti resistendo alla domanda.

A seguito di CTU, il Tribunale accoglieva la domanda e condannava i convenuti al pagamento dell'indennizzo ex art. 1127 c.c.

Avverso tale sentenza veniva proposto appello innanzi alla Corte territorialmente competente, la quale con sentenza parziale riteneva che la sopraelevazione non arrecasse pregiudizio alla staticità dell'edificio; osservava, sulla base delle risultanze della CTU, che in epoca remota l'edificio era ben più alto di almeno un piano e che la sostituzione del tetto era avvenuta in osservanza degli interventi di miglioramento antisismico. Con separata ordinanza, il giudice del gravame disponeva la remissione della causa sul ruolo per il calcolo dell'indennità di sopraelevazione secondo i principi stabiliti dalle Sezioni Unite, con sentenza n. 16794/2007, tenendo conto del valore del suolo occupato e non della sola parte della sopraelevazione realizzata. Con sentenza definitiva la Corte d'appello determinava l'indennità ex art. 1127 c.c.

Avverso tale pronuncia non definitiva ed avverso la sentenza definitiva, veniva proposto ricorso per cassazione dagli appellanti, sullo scorta di cinque motivi. Resistevano gli appellati con controricorso. Il Sostituto Procuratore Generale concludeva per il rigetto.

Disamina dei motivi di censura

Col primo motivo del ricorso, si deduceva la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1127 c.c. della l. n. 1974/1964, nonché degli artt. 83 e 90 del d.P.R. n. 380/2001, per avere la Corte d'appello basato il giudizio di idoneità sismica sulla base del condono edilizio del sottotetto, che invece non sarebbe rilevante al fine di escludere il pregiudizio alla statica dell'edificio e al rischio sismico. Con il secondo motivo si deduceva la violazione e la falsa applicazione, oltre che degli articoli e delle leggi già citate, anche dell'art. 2697 c.c., atteso che il divieto di sopraelevazione sussiste nel caso in cui le strutture dell'edificio non consentano di sopportare l'urto di forza in movimento, quali le sollecitazioni di origine sismica. Affermavano che nel caso di specie la soprelevazione non sarebbe conforme alla normativa antisismica, né gli attori avevano fornito prova della sicurezza dell'opera realizzata.

Con il terzo motivo, si deduceva la violazione e la falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c., poiché la motivazione della sentenza veniva ritenuta carente in ordine all'idoneità dell'immobile nel suo complesso, oltre che manifestamente illogica.

Con il quarto motivo, si deduceva l'omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio. Con il quinto motivo si deduceva la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1127 e 1224 c.c., oltre la violazione dell'art. 112 c.p.c., atteso che la Corte d'appello avrebbe erroneamente determinato la decorrenza della rivalutazione degli interessi con riferimento alla data del deposito della CTU, mentre, trattandosi di debito di valore, gli interessi e la rivalutazione decorrerebbero dalla data di ultimazione dei lavori.

I primi quattro motivi, tutti incentrati sulla tematica della incidenza della sopraelevazione realizzata sulla statica dell'intero edificio venivano trattati unitariamente e ritenuti tutti infondati.

La Suprema Corte sosteneva che l'art. 1127, comma 2, c.c. pone il divieto assoluto di sopraelevazione per inidoneità delle condizioni statiche dell'edificio nell'ipotesi in cui non permettano di sopportare il peso della nuova costruzione o non siano in grado di sopportare l'urto di forze in movimento quali le sollecitazioni di origine sismica.

La Corte d'appello ha correttamente qualificato come sopraelevazione, ai sensi dell'art. 1127 c.c., il manufatto realizzato dai convenuti, atteso che ai sensi dell'art. 1127 c.c.  la sopraelevazione di un edificio condominiale è costituita dalla realizzazione di nuove opere nell'area sovrastante il fabbricato, per cui l'originaria altezza dell'edificio è superata con la copertura di nuovi piani o con la superficie superiore terminale delimitante le nuove fabbriche.

La Suprema Corte a Sezioni Unite, con sentenza 30 luglio 2007, n. 16794 ha specificato che la sopraelevazione non comprende solo nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche la trasformazione dei locali preesistenti mediante l'incremento delle superfici e delle volumetrie indipendentemente dall'aumento dell'altezza del fabbricato.

La Corte d'appello con accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, ha verificato che le strutture dell'edificio erano predisposte per l'ulteriore carico: ciò sulla base delle risultanze della CTU alle quali, il giudice del gravame, ha motivatamente aderito. Ne consegue che il giudice di merito ha accertato la compatibilità delle sopraelevazione con la normativa antisismica e l'assenza di rischio sismico derivante dalla nuova costruzione.

In sentenza è stato ben chiarito che la sopraelevazione, per le modalità in cui era stata eseguita, comportava un miglioramento antisismico alla luce dei dati acquisiti dalla documentazione del Genio Civile, che non è stato oggetto di specifica censura o contestazione. In seguito alla riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. disposta dall'art. 54 d.l. n. 83/2012, convertito nella l. n.134/2012, la Cassazione ritiene che non sia più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza o illogicità della motivazione anche se i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all'obbligo di motivazione. Tale obbligo è violato solo qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione.

Da ultimo, il vizio di nullità della motivazione è configurabile solo in quanto la sentenza sia inidonea a raggiungere lo scopo, ovvero di spiegare le ragioni del decidere; tali presupposti non sussistono nel caso in esame. Quanto alle contestazioni mosse alla CTU, la Suprema Corte osservava che il giudice di legittimità non ha il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo.

Il quinto motivo di censura veniva ritenuto inammissibile atteso che la statuizione del primo giudice che aveva determinato la decorrenza dell'interesse e della rivalutazione dell'indennità di sopraelevazione dalla data del deposito della CTU non è stata impugnata con l'atto di appello, sicchè su tale punto della decisione si è formato il giudicato interno.

Da ultimo, si evidenziava che la speciale disciplina dettata dell'art. 287 c.p.c. e ss. per la correzione degli errori materiali incidenti sulla sentenza, attribuisce la competenza all'emanazione del provvedimento correttivo allo stesso giudice che ha emesso al decisione, poiché la Corte di Cassazione non può correggere errori materiali contenuti della sentenza del giudice di merito al quale va, pertanto, rivolta l'istanza di correzione anche dopo la presentazione del ricorso in cassazione.

In conclusione, la Suprema Corte rigettava il ricorso, e condannava le parti ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

(fonte: dirittoegiustizia.it)

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