La S. Corte e il privilegio processuale fondiario nella liquidazione giudiziale e nella liquidazione controllata

20 Dicembre 2024

Con la pronuncia in commento, la Corte vaglia la compatibilità del privilegio processuale fondiario con le norme del codice della crisi d'impresa, e, in particolare, con le norme che governano le procedure concorsuali liquidatorie.

Massima

Il creditore fondiario può avvalersi del “privilegio processuale” di cui all'art. 41, comma 2, d.lgs. n. 385 del 1993 sia nel caso di sottoposizione del debitore esecutato alla procedura concorsuale di liquidazione giudiziale di cui agli artt. 121 e seguenti del d.lgs. n. 14 del 2019, sia nel caso di sottoposizione del debitore esecutato alla procedura concorsuale della liquidazione controllata di cui agli artt. 268 e seguenti del medesimo d.lgs.

Il caso

La Prima Sezione civile della Corte di cassazione ribadisce il proprio orientamento in ordine alla sopravvivenza e all'operatività del privilegio processuale fondiario ex art. 41, comma 2, d.lgs. n. 385/1993, nel vigore del codice della crisi d'impresa; e ciò, sia quando il debitore esecutato è ammesso alla liquidazione giudiziale, sia quando è ammesso alla liquidazione controllata, analogamente a quanto avveniva nella vigenza della legge fallimentare.

Al principio di cui in massima la Corte è giunta in esito al seguente iter processuale. Successivamente alla stipula di un mutuo fondiario il mutuatario era stato convenuto davanti al tribunale ai fini della esecuzione immobiliare nei suoi confronti;

in seguito, veniva ammesso alla procedura di liquidazione controllata da sovraindebitamento ai sensi degli artt. 268 e seguenti c.c.i.i.. In tale sede giudiziale il mutuatario chiedeva che fosse dichiarata l'improcedibilità dell'esecuzione immobiliare; il giudice dell'esecuzione, su richiesta del creditore fondiario, disponeva la prosecuzione della procedura esecutiva, stante l'operatività dell'art. 41, comma 2, del TUB (Testo Unico Bancario), il quale dispone che «L'azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore». Proposta opposizione avverso il provvedimento del tribunale, questo rimetteva gli atti alla Corte di cassazione ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c., rivolgendole il seguente quesito di diritto: «se il privilegio processuale di cui all'art. 41, comma 2, d.lgs. n. 385/1993 sia opponibile a fronte dell'apertura di una delle procedure concorsuali di cui al c.c.i.i. a carico del debitore esecutato ed in particolare della liquidazione controllata di cui agli artt. 268 ss. c.c.i.i.».

La questione

La questione affrontata dalla Corte con sentenza n. 22914 del 19 agosto 2024 concerne, in sostanza, l'interferenza e la compatibilità del privilegio processuale fondiario con le norme del codice della crisi d'impresa, e, in particolare, con le norme che governano le procedure concorsuali liquidatorie.

La soluzione della Corte

Il privilegio processuale fondiario è compatibile con il c.c.i.i., ed in particolare con la liquidazione giudiziale

Preliminarmente ad ogni altra questione di merito, la Corte ha dovuto stabilire se il privilegio processuale fondiario ai sensi dell'art. 41, comma 2, TUB sia sopravvissuto all'entrata in vigore del c.c.i.i., rimanendo dunque opponibile alla liquidazione giudiziale; poiché solo in tale caso si potrebbe porre l'ulteriore questione della sua compatibilità con la procedura di liquidazione controllata.

La Corte risolve positivamente questo primo punto sulla base del seguente ragionamento:

nell'ambito del sistema normativo previgente, l'art. 51 l. fall. prevedeva il divieto di iniziare o proseguire qualsiasi azione esecutiva individuale o cautelare dopo l'ammissione del debitore alla procedura di fallimento, “salvo diverse disposizioni di legge”; tra tali eccezioni rientrava l'art. 41, comma 2, TUB, il quale, come si è detto, dispone tuttora che «L'azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore»; nell'ambito del nuovo sistema normativo l'art. 150 c.c.i.i. ha conservato il tenore dell'art 51 l. fall. sostituendo al termine “fallimento” il termine “liquidazione giudiziale”; al contrario, il termine “fallimento”, come si è appena visto, non è stato sostituito dal termine “liquidazione giudiziale” nell'ambito dell'art. 41, comma 2, TUB, autorizzando ad ipotizzare l'incompatibilità del privilegio processuale fondiario con la liquidazione giudiziale.

Secondo la Corte, tuttavia, le cose non stanno così: in primo luogo, l'art. 349 c.c.i.i. dispone che i termini “fallimento”, “fallito”, “procedura fallimentare”, così come gli altri termini derivati e sinonimi siano sostituiti con i termini “liquidazione giudiziale”, “debitore assoggettato a liquidazione giudiziale”, “procedura di liquidazione giudiziale”; ciò, secondo la Corte, consente di superare l'argomento, in forza del quale il privilegio processuale fondiario non sarebbe compatibile con la liquidazione giudiziale perché l'art. 369 c.c.i.i., che coordina il medesimo codice con le disposizioni del TUB, non avrebbe preso direttamente in considerazione l'art. 41, comma 2.

In secondo luogo, ed infine, l'art. 150 c.c.i.i. ha conservato, per scelta del legislatore delegato, l'espressione “salvo diverse disposizioni di legge” già presente nell'art. 51 l. fall.; procedendo in tal modo, pertanto, il legislatore delegato, secondo la Corte, ha consapevolmente disatteso il criterio direttivo posto dall'art. 7, comma 4, lett. a), l. 19 ottobre 2017, n. 155 (Secondo la Corte, scaduto il termine “del secondo anno successivo a quello di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell'ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui all'articolo 1”, si potrà capire se la scelta del legislatore delegato configuri una “mera mancata attuazione della delega ovvero un contrasto della normativa delegata con i principi e i criteri direttivi fissati dalla l. n. 155/2017, trovando spazio, in questa seconda ipotesi, una questione di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 75 Cost.”); criterio direttivo in forza del quale «La procedura di liquidazione giudiziale è potenziata mediante l'adozione di misure dirette a:

escludere l'operatività di esecuzioni speciali e di privilegi processuali, anche fondiari; prevedere, in ogni caso, che il privilegio fondiario continui ad operare sino alla scadenza del secondo anno successivo a quello di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell'ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui all'articolo 1»; allo stato attuale, dunque, secondo la Corte il privilegio processuale fondiario è compatibile con la liquidazione giudiziale per “espressa disposizione normativa”, tanto quanto lo era prima col fallimento.

.

Il privilegio processuale fondiario è compatibile con la liquidazione controllata

Secondo la Corte, il dato normativo è decisivo anche per estendere l'operatività del privilegio processuale fondiario alla liquidazione controllata.

Prima della entrata in vigore del c.c.i.i., questa procedura, regolata dagli artt. 14-ter e seguenti della l. n. 3/2012, aveva il nome di liquidazione del patrimonio del debitore sovraindebitato.

In quel contesto, l'art. 14-quinques, comma 2, lett. b), escludeva espressamente la possibilità di agire in executivis dopo l'apertura della liquidazione del patrimonio del debitore sovraindebitato.

Tuttavia, oggi l'art. 270, comma 5, c.c.i.i. prevede espressamente che alla “nuova” liquidazione controllata si applica l'art. 143 c.c.i.i., in quanto compatibile, e gli artt. 150 e 151 c.c.i.i., ma in questo caso, a prescindere da ogni considerazione sulla compatibilità.

Si tratta dunque di un rinvio secco: esso estende alla liquidazione controllata sia la regola generale, che blocca le azioni esecutive e cautelari singolari, sia l'eccezione, che consente al privilegio processuale fondiario di operare anche nell'ambito di questa procedura.

In tale luce la Corte rigetta la tesi contraria, secondo la quale il rinvio operato dall'art. 270 del c.c.i.i. varrebbe solo per la regola generale, che inibisce le azioni esecutive singolari, ma non per l'eccezione che apre a quelle previste dalle norme speciali.

Si tratta della tesi, già disattesa dalla Corte quando rifletteva sulla compatibilità del privilegio processuale fondiario con la liquidazione giudiziale; tesi che valorizza l'indicazione rinvenibile nel citato criterio direttivo posto dall'art. 7, comma 4, lett. a), della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155.

Ma la Corte va oltre, rigettando anche l'argomento, secondo il quale estendere l'applicazione del privilegio processuale fondiario alla liquidazione controllata violerebbe il divieto di applicazione analogica delle norme speciali posto dall'art. 14 delle preleggi.

Nel caso di specie, infatti, l'interprete non applica alla liquidazione controllata l'art. 41 TUB in via analogica, quanto, invece, sulla base dell'espresso ed esplicito rinvio normativo fondato sull'art. 270, comma 5, c.c.i.i., che richiama in modo secco l'art. 150 (si veda nel medesimo senso Cass., n. 3847 del 1988 in tema di liquidazione coatta amministrativa).

Ed in questa luce è dirimente l'ulteriore considerazione che individua nell'espresso richiamo all'art. 150 del c.c.i.i. l'unica differenza tra l'art. 270, comma 5 del medesimo c.c.i.i. e l'art. 14-quinques, comma 2, lett. b) della l. n. 3/2012.

Osservazioni

Con il provvedimento in commento la Corte di cassazione ha risolto integralmente la questione di diritto sottoposta alla sua attenzione dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 363-bis c.p.c.

La soluzione proposta ed illustrata sopra è da ritenersi corretta e ben argomentata; inoltre, essa è supportata dalla giurisprudenza costante della stessa Corte, giurisprudenza nel filone della quale il provvedimento di agosto si inserisce, avendo il pregio di costituire il primo precedente relativo alla applicazione di determinati principi nella vigenza del c.c.i.i.; dunque nella vigenza di una normativa che, in astratto, avrebbe potuto determinarne l'oblio.

Trattandosi di un aspetto eminentemente giuridico e di ordine generale, essa non ha considerato le implicazioni concrete; implicazioni che tuttavia, in passato sono sempre state tenute in considerazione proprio dall'orientamento pressoché costante (Partendo dal precedente più risalente: Cass., sez. I, 15 gennaio 1998, n. 314; Cass., sez. I, 20 maggio 2008, n. 13996; Cass., sez. I, 11 ottobre 2012, n. 17368; Cass., sez. I, 21 marzo 2014, n. 6738, Cass., sez. I, 20 aprile 2022, n. 12673; Cass., Sez. I, 17 novembre 2022, n. 33977) cui il provvedimento qui in commento si sovrappone e si appoggia sotto il profilo argomentativo e sistematico.

In questo modo il ragionamento della Corte può apparire, di primo acchito, monco rispetto a quanto affermato dalle massime più risalenti, le quali si esprimevano esplicitamente in ordine alla natura provvisoria della attribuzione del risultato della esecuzione al creditore procedente: natura provvisoria che poteva venir meno solo ed esclusivamente qualora detto creditore avesse insinuato al passivo la propria pretesa assoggettandosi, ove imposto dalla capienza dell'attivo, alla falcidia concorsuale, ai sensi dell'art. 52 l. fall.

In altri termini, in quei frangenti si osservava che, in carenza della insinuazione al passivo, il creditore procedente rischiava di dover retrocedere alla procedura l'intero ricavato, perché soltanto all'interno della procedura di accertamento al passivo egli poteva far valere l'an ed il quantum della sua pretesa.

Al contrario, ove il creditore procedente si fosse già insinuato al passivo, o ciò avesse fatto in pendenza della procedura esecutiva o successivamente alla chiusura della stessa, sarebbe stato riconosciuto il suo diritto a conservare il risultato di tale procedura esecutiva nei limiti della graduazione endoconcorsuale della sua posizione, ed ovviamente nei limiti della sua entità come accertata nel concorso.

Sono questi principi a loro volta traducibili nel contesto del c.c.i.i.?

Fermo restando che a questo specifico proposito non esistono ancora precedenti in termini, se non altro per quanto concerne la produzione della Corte di Cassazione, a chi scrive sembra di poter rispondere positivamente anche con riferimento a questo diverso quesito.

Il dato normativo, in effetti, appare chiaro nel “consigliare” questa soluzione: l'art. 151, comma 2, c.c.i.i., infatti, dispone che «Ogni credito, anche se munito di diritto di prelazione o prededucibile, nonché ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare, deve essere accertato secondo le norme stabilite dal capo III del presente titolo, salve diverse disposizioni della legge»; il successivo comma 3 chiude infine il cerchio, disponendo che «Le disposizioni del comma 2 si applicano anche ai crediti esentati dal divieto di cui all'articolo 150».

Si può pertanto concludere, per dirla come la Corte, che anche questi principi appaiono traducibili nel nuovo contesto per “espressa disposizione normativa”.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.