Non sussiste responsabilità se la struttura ospedaliera non è stata ancora autorizzata ad usare un determinato farmaco
03 Gennaio 2025
A seguito di ictus ischemico acuto, Tizia e la sua famiglia convenivano in giudizio una struttura sanitaria per ottenere il risarcimento dei danni derivati dalla colpa professionale dei medici della convenuta, che – secondo gli attori – avevano causato alla donna tetraplegia con permanente danno biologico del 95%, oltre a danno morale, danno esistenziale e danno patrimoniale; chiedevano pertanto che fossero accertate della convenuta la responsabilità contrattuale ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c. e la responsabilità oggettiva ex art. 2049 c.c. Il Tribunale accoglieva le domande attoree, ravvisando il nesso causale tra la condotta dei sanitari della convenuta e quanto avvenuto alla donna sulla base del fatto che i medici non le avevano somministrato un farmaco antitrombotico chiamato Actilyse. Tale farmaco, secondo il Tribunale, era già in commercio e utilizzato per trattare l'ictus all'epoca in cui la donna aveva sofferto tale patologia e il DM del Ministero della Salute che ne regolava l'utilizzo prevedeva un allegato con un Protocollo di monitoraggio “SITS-MOST”, con lo scopo di monitorare il farmaco verificandone la sicurezza e l'efficacia, necessario solo per confermare il risultato già positivamente acquisito in fase di sperimentazione. Di conseguenza, l'autorizzazione richiesta dal DM valeva solo per partecipare a tale studio e non anche per l'uso del farmaco. La Corte d'appello, adita dalla struttura ospedaliera, ribaltava la sentenza resa in primo grado, negando la sussistenza del nesso causale tra condotta dei sanitari e la patologia della donna – come peraltro pacificamente accertato da ben due ctu svolte in primo grado – poiché il farmaco Actilyse non poteva essere ancora somministrato in quanto l'azienda non aveva ancora ottenuto l'autorizzazione all'uso dalla Regione e quindi, di conseguenza, la possibilità di partecipare allo studio. Difatti, rilevava la Corte d'appello, il D.M. del Ministero della Salute prevedeva che fossero autorizzati all'uso di tale farmaco solo i centri autorizzati a partecipare allo studio post marketing “SITS-MOST”. Di conseguenza, i medici correttamente non avevano somministrato l'Actilyse alla paziente per trattare l'ictus, non avendone ancora ottenuto l'autorizzazione. La donna e i familiari ricorrevano in Cassazione con un unico motivo, poiché – secondo la costruzione dei ricorrenti – la Corte d'appello aveva erroneamente interpretato in via estensiva l'autorizzazione prevista per la partecipazione allo studio di monitoraggio “SITS-MOST”, estendendola all'uso del farmaco, quando non era necessaria alcuna ulteriore autorizzazione e quando sostanzialmente qualsiasi centro clinico avrebbe potuto somministrare il farmaco, essendo peraltro l'Actilyse un farmaco “salvavita”. La Cassazione non ha accolto il ricorso, concentrando la sua attenzione sul dato normativo dirimente, già correttamente riconosciuto dalla Corte territoriale: l'art. 2, D.M. 24 luglio 2003 del Ministero della Salute rimanda, quale «parte integrante del preteso decreto», all'Allegato 1 del decreto stesso, il quale - tra l'altro - determina i requisiti dei centri idonei all'utilizzo del farmaco in questione, stabilendo che la sussistenza di questi è presupposto dell'autorizzazione ad avvalersene, autorizzazione che deve essere rilasciata dalla Regione o dalla Provincia autonoma. E lo stesso art. 2 indica: «L'impiego delle specialità medicinali a base di alteplase (ndr. principio dell'Actilyse) per il trattamento dell'ictus cerebri è ammesso secondo il protocollo 'SITS-MOST' riportato nell'allegato 1 che fa parte integrante del presente decreto». Tale allegato, sottolinea la Suprema Corte, individua effettivamente i requisiti che consentono l'utilizzo del farmaco: il centro clinico che lo utilizza deve «avere una solida esperienza nel trattamento dell'ictus acuto ed un accesso diretto alle unità di emergenza dell'ospedale in cui è inserito», integrando invero «una struttura dedicata ad hoc ovvero un reparto specializzato nella gestione dell'ictus acuto». E da questo ricava in modo del tutto esplicito: «Se non sono presenti strutture dotate di tali caratteristiche la Regione o la Provincia autonoma può predisporre un piano di implementazione delle strutture, ma in nessun caso potrà autorizzare un centro clinico che non risponda a tutti i requisiti richiesti». È dunque evidente che non ogni centro clinico, in un siffatto quadro normativo, era abilitato ad avvalersi del farmaco prima della verifica dei requisiti suddetti e, in caso di esito positivo, prima della conseguente autorizzazione della regione o della provincia autonoma. Ed è pacifico che nel caso in esame la struttura ospedaliera in questione, come rilevato dal giudice d'appello, otteneva l'autorizzazione in via provvisoria solo dopo l'ictus sofferto dalla ricorrente. Quindi la Suprema Corte ha rigettato il ricorso e confermato la sentenza impugnata. |