Una nuova ipotesi di illegittimità costituzionale dell’art. 147 l. fall. (e dell’art. 256 c.c.i.i.?)

03 Gennaio 2025

Il tribunale di Matera ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147 l. fall., per violazione del diritto di difesa dei soci illimitatamente responsabili derivante dal meccanismo di automatica estensione del fallimento nei loro confronti. Lo scritto approfondisce e commenta la questione.

Massima

È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147 r.d. n. 267/1942 in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede la possibilità dei soci di interloquire anche sui requisiti di fallibilità della società, quantomeno al fine di sottrarsi all'estensione del fallimento nei loro confronti.

Il caso

Il tribunale di Matera dichiarava il fallimento di una società in accomandita semplice. La corte d'appello di Potenza rigettava il proposto reclamo, con il conseguente passaggio in giudicato della sentenza di fallimento.

 Il curatore, successivamente, instava per l'estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili, i quali, costituitisi in giudizio, chiedevano il rigetto della domanda di estensione  eccependo – per quello che qui più importa – la violazione del diritto di difesa per mancata integrazione del contraddittorio nei loro confronti – asseritamente litisconsorti necessari - nella fase prefallimentare, che avrebbe impedito di dimostrare l'insussistenza dei presupposti di fallibilità della società, la cui natura doveva considerarsi agricola, così come quella dei soci illimitatamente responsabili.

Questi ultimi, chiedevano, in subordine, qualora l'accertamento in fatto fosse stato precluso dal meccanismo disciplinato dall'art. 147 l. fall., il rinvio pregiudiziale del procedimento alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per violazione dell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali (Diritto ad un equo processo) e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per violazione degli artt. 24 e 111 Cost., poiché, tale disposto, consentendo ai soci di contestare solamente la loro qualità di soci o di soci illimitatamente responsabili o il superamento del termine annuale dallo scioglimento del loro rapporto sociale, pregiudicava in fatto il loro diritto di difesa e determinava quell'automatica estensione del fallimento della società ai soci, che non aveva eguali in nessun altro ordinamento giuridico.

Il tribunale di Matera giudicava rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147 l. fall. in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., e disponeva come da massima in epigrafe.

La questione

È noto che l'art. 147 l. fall. (il cui titolo è: «Società con soci a responsabilità illimitata») prevede che il fallimento delle (sole) società in nome collettivo, in accomandita semplice ed in accomandita per azioni comporti anche il fallimento (in estensione) dei soci illimitatamente responsabili.

Il fallimento (automatico, ex lege) dei soci illimitatamente responsabili prescinde dalla loro insolvenza, ma deriva esclusivamente dalla (sola) loro qualità di socio. Ampio e complesso è stato il dibattito che ha riguardato l'estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili, non potendo certamente passare sotto silenzio il fatto che venisse operata un'evidente forzatura del principio che vuole che il soggetto fallibile sia solo e soltanto l'imprenditore commerciale (art. 1 l. fall.). È, infatti, evidente che il soggetto imprenditore commerciale è solo ed unicamente la società e non i soci che sono tra loro legati da un contratto di società, obliterando, di tutta evidenza, anche la non trascurabile evenienza per cui nessuno scrutinio venisse fatto (né sia mai stato fatto, aggiungo) circa lo stato d'insolvenza dei soci illimitatamente responsabili i quali, in ipotesi, potrebbero essere del tutto solvibili ma, ciononostante, dichiarati ugualmente falliti. Puntualizzava, infatti, la risalente dottrina, che l'estensione automatica del fallimento ai soci illimitatamente responsabili dispensasse il tribunale dall'esaminare se sussistessero per ciascun socio individualmente i due estremi essenziali per la loro fallibilità: qualità commerciale e cessazione dei pagamenti. Che esistano o meno tali due fattispecie, i soci illimitatamente responsabili sono dichiarati falliti, solo perché soci a responsabilità illimitata (Bonelli, Del fallimento, Milano, 1923, III, 231).

È pur vero che molti hanno sempre sostenuto che i soci fallirebbero perché «plures mercatores unam mercantiam gerentes» e, altresì, perché la responsabilità illimitata sarebbe il riflesso del potere di gestione che loro compete sull'impresa collettiva. Tuttavia, tale orientamento dottrinale sarebbe stato smentito dal definitivo recepimento nel nostro ordinamento giuridico della società a responsabilità limitata unipersonale prima, e della società per azioni unipersonale dopo, con l'ovvia conseguenza che non appare davvero ulteriormente sostenibile che vi siano differenze marcate tra l'imprenditore individuale e il socio/amministratore unico di una società di capitali unipersonale, al di là degli obblighi sostanziali di conferimento dell'intero capitale sociale e di quelli pubblicitari, che, una volta adempiuti, pongono il predetto socio/amministratore unico al riparo sia dalla responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali sia, soprattutto, dal fallimento personale. 

Dunque, l'estensione del fallimento si spiega solo con il carattere eccezionale della norma, per ragioni di opportunità finalizzata a costringere i soci a pagare i debiti sociali prima della dichiarazione di fallimento della società ed al fine di evitarne il fallimento (Galgano, Il fallimento delle società, in Trattato di diritto commerciale e Diritto Pubblico dell'Economia, Padova, 1988, X, 45). Anche la giurisprudenza recente si è, infine, sostanzialmente allineata a quest'ultima interpretazione, affermando che il significato dell'estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili va ricercato nella volontà di potenziare la garanzia generale delle obbligazioni contratte dalla società attraverso il patrimonio individuale dei soci (Cass., 12 novembre 2008, n. 27013 in Giur. comm., 2009, II, 301, con nota di Buonocore).

L'art. 147 l. fall., a seguito delle modifiche del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, che fa ora esplicito riferimento alle sole società che istituzionalmente prevedono la presenza di soci con responsabilità illimitata (ma non va nemmeno dimenticato, quantomeno ad adiuvandum, il riformato diritto societario relativo agli artt. 2325,2362 e 2462 c.c. ) ha definitivamente dissipato, in senso negativo, i dubbi relativi alla fallibilità del socio unico di società per azioni e di società a responsabilità limitata, perché, insegna la giurisprudenza, la perdita del beneficio della responsabilità limitata dell'unico azionista o quotista è solo temporanea, ristretta al periodo di concentrazione del capitale nelle mani di un solo socio, con la conseguente dissonanza tra la responsabilità della società per tutte le obbligazioni sociali e quella del socio unico, limitata alle sole obbligazioni ratione temporis solidali (Cass., 4 febbraio 2009, n. 2711).

Il predetto art. 147 l. fall., tuttavia, nel prevedere l'estensione automatica del fallimento ai soci illimitatamente responsabili, ne ha stabilito l'applicabilità anche ai soci non persone fisiche, così riferendosi, indistintamente, sia alle società di persone sia alle società di capitali.

Le soluzioni giuridiche

Il tribunale di Matera, uniformandosi alla giurisprudenza consolidata, precisava che nel procedimento prefallimentare non vi è litisconsorzio necessario tra società e soci illimitatamente responsabili, non potendo questi ultimi contestare il fondamento della dichiarazione di fallimento della società, ma unicamente opporsi all'estensione del fallimento nei loro confronti, facendo valere l'eventuale estraneità alla compagine sociale, tanto più che l'eventuale integrazione del contraddittorio – in ipotesi - non poteva nemmeno essere disposta d'ufficio dal tribunale e, qualora fosse stato domandato il fallimento simultaneo della società e dei soci illimitatamente responsabili, questi ultimi non avrebbero potuto, in ogni caso, interloquire sui requisiti di fallibilità della società.

L'ordinanza in esame prendeva posizione anche sull'eccezione d'inapplicabilità dell'art. 147 l. fall. ai soci illimitatamente responsabili di società semplice (in funzione dell'asserita prevalenza di attività agricola su quella commerciale), in quanto questa tipologia di società non è richiamata dalla già menzionata norma, sottolineando che alla società semplice è precluso per legge lo svolgimento di attività commerciale e questo è il motivo per cui l'art. 147 l. fall. non ne fa menzione, ma, quand'anche una società semplice dovesse svolgere attività commerciale, alla stessa si dovrà applicare, secondo un insegnamento assolutamente pacifico, la disciplina della società in nome collettivo.

Il tribunale di Matera, dopo aver preso atto che la giurisprudenza assolutamente consolidata, da considerarsi, a tutti gli effetti, «diritto vivente», avrebbe imposto la dichiarazione di fallimento in estensione dei soci illimitatamente responsabili (i) sia perché questi ultimi non sono legittimati ad interloquire sui requisiti di fallibilità della società, (ii) sia perché è esclusa un'ipotesi di litisconsorzio necessario, (iii) sia perché, infine, i soci non sono legittimati a reclamare la sentenza di fallimento della società, riteneva che – al di là delle diverse dichiarazioni di incostituzionalità dell'art. 147 l. fall., tutte avvenute prima della sua riforma con la novella del 2006 e, dunque, non applicabili al caso di specie – un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma avrebbe dovuto prevedere che i soci illimitatamente responsabili, ove fosse stata avanzata richiesta del loro fallimento in estensione, avessero potuto interloquire sui requisiti di fallibilità della società, quantomeno al fine di evitare il loro fallimento, atteso – giova ripeterlo – che la giurisprudenza di legittimità e di merito unanimemente nega tale possibilità, forse, sempre secondo l'ordinanza in esame, trascurando che i soci illimitatamente responsabili subiscono gravissime conseguenze giuridiche e personali che discendono dalla dichiarazione di fallimento, a fronte del quale la possibilità di dimostrare di non essere socio o socio illimitatamente responsabile, oltre che all'ipotesi di decadenza dall'azione per il superamento dell'anno dall'interruzione del rapporto sociale, appare sostanzialmente poco significativa e statisticamente irrilevante, dato il numero esiguo di casi, quasi di scuola.

Osservazioni

Il caso scrutinato dal tribunale di Matera appare davvero singolare e merita, giustamente, un'approfondita riflessione da parte del Giudice delle leggi circa la disciplina del (vecchio) art. 147 l. fall. (oggi trasfuso nell'art. 256 c.c.i.i., che, sul punto specifico, non sembra contenere alcuna modifica).

La maggior sensibilità maturata, in generale, soprattutto negli ultimi anni, nei confronti del rispetto del diritto alla difesa, particolarmente a seguito di procedimenti nei quali le parti interessate sono rimaste escluse senza colpa, impone di valutare in modo meno apodittico ed autoreferenziale disposizioni di legge che non appaiono pienamente in sintonia con il mutato spirito dei tempi.

Sappiamo che l'art. 147 l. fall. ha avuto una vita travagliata e diversi sono stati gli interventi della Corte costituzionale diretti a garantire, inter alia, il pieno diritto di difesa dei soci illimitatamente responsabili e, forse, potrebbe non apparire peregrina una nuova pronuncia di illegittimità costituzionale di quest'ultima disposizione, nella parte in cui non prevede che nel procedimento per l'apertura della liquidazione giudiziale di una società con soci illimitatamente responsabili, la parte istante debba notificare il ricorso e il pedissequo decreto di fissazione dell'udienza anche a tutti i soci illimitatamente responsabili, così come, del resto, ormai da tempo, già dispongono (anche se in modo non cogente) i nostri tribunali concorsuali, proprio al fine di garantire la pienezza del contraddittorio nei confronti di tutte le parti interessate, con la conseguenza che, ove ciò accadesse e l'istante disattendesse il pronunciamento della Corte costituzionale, il tribunale potrebbe (recte: dovrebbe) ordinare l'integrazione del contraddittorio.

Per completezza, va fatta un'ultima considerazione certamente non trascurabile. Nel caso di specie, la società dichiarata fallita si è costituita in giudizio (dalla narrativa sembrerebbe che la società non si sia costituita nella fase prefallimentare), necessariamente, per mezzo del socio accomandatario/legale rappresentante che ben avrebbe potuto, anche solo in sede di reclamo e, ovviamente, a vantaggio di tutti gli altri soci illimitatamente responsabili, interloquire circa i requisiti di fallibilità della società. C'è, infatti, da chiedersi quale diversa linea difensiva avrebbero potuto tenere gli “altri” soci illimitatamente responsabili – se avessero potuto intervenire nel giudizio di reclamo - rispetto a quella tenuta (evidentemente senza successo) dal socio accomandatario e legale rappresentante della società.

Se, infatti, il Giudice delle leggi dovesse valorizzare tale ultimo aspetto e ritenere che la presenza in giudizio anche di uno solo dei soci illimitatamente responsabili (la cui necessaria presenza discende direttamente dalla legge) rifletta le sue conseguenze anche sugli altri soci illimitatamente responsabili, potrebbe non esservi spazio per una dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 147 l. fall. nei termini illustrati dal tribunale di Matera. D'altra parte, secondo l'id quod plerumque accidit, pare difficile ritenere che, di fronte ad un ricorso per dichiarazione di fallimento (liquidazione giudiziale), il socio accomandatario e legale rappresentante non informi gli altri soci illimitatamente responsabili e non condivida con loro la linea difensiva che intende tenere di fronte al tribunale in punto di fatto e di diritto (sempre che i soci non siano “l'un contro l'altro armato” e non siano presi da cupio dissolvi).

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