La probabile illegittimità costituzionale del perdurante privilegio processuale del credito fondiario

Filippo Lamanna
07 Gennaio 2025

Lo scritto argomenta circa la probabile illegittimità costituzionale dell’art. 150 c.c.i.i., per violazione del criterio direttivo di cui all’art. 7, comma 4, lett. a), della legge delega n. 155/2017, nella parte in cui continua a prevedere la possibilità che, pur dopo il decorso del limite temporale posto dal legislatore delegante, operino deroghe al divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive/cautelari.

Com'è noto, all'art. 51 l. fall., il quale prevedeva, nel previgente sistema concorsuale, il divieto di iniziare o proseguire, dopo la declaratoria di fallimento, azioni esecutive individuali o cautelari sui beni compresi nella procedura, corrisponde, riproducendone sostanzialmente il contenuto, l'art. 150 c.c.i.i., che rapporta tale divieto, ovviamente, non più alla data di declaratoria del fallimento, ma a quella di apertura della liquidazione giudiziale.

Con l'inciso «Salvo diversa disposizione della legge» entrambe tali norme hanno ammesso la possibilità di deroghe normative al suddetto divieto, tra le quali si annovera quella – solitamente denotata come «privilegio processuale fondiario» - prevista dall'art. 41, comma 2, del TUB - testo unico bancario (d.lgs. n. 385/1993) -, norma secondo la quale «L'azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore».

Peraltro, la perdurante operatività di tale deroga anche nel vigore del c.c.i.i. – ad onta del fatto che la norma derogatoria continui a fare riferimento solo al fallimento e non alla liquidazione giudiziale - è stata puntualmente certificata da ultimo dalla S. Corte, che l'ha ritenuta per di più operante anche rispetto alla liquidazione controllata (cfr. Cass. 19 agosto 2024, n. 22914; se ne veda il commento di G. Ricci, La S. Corte e il privilegio processuale fondiario nella liquidazione giudiziale e nella liquidazione controllata, in IUS Crisi d'impresa (ius.giuffrefl.it) – ilfallimentarista; per un esame della questione anteriormente alla pronuncia della Cassazione cfr. M. Attanasio, Il privilegio fondiario ed il Codice della Crisi, in dirittodellacrisi.it, 25 settembre 2023; per l'applicabilità della deroga anche alla liquidazione coatta amministrativa cfr. il precedente di legittimità costituito da Cass. 3847/1988).

Tuttavia, la stessa S. Corte ha doverosamente ricordato, nella summenzionata pronuncia, che il legislatore delegante aveva posto un ben preciso limite temporale all'operatività della deroga in questione.

Infatti, a mente dell'art.  7, comma 4, lett. a), della legge delega 10 settembre 2017, n. 155, «La procedura di liquidazione giudiziale è potenziata mediante l'adozione di misure dirette a: … escludere l'operatività di esecuzioni speciali e di privilegi processuali, anche fondiari; prevedere, in ogni caso, che il privilegio fondiario continui ad operare sino alla scadenza del secondo anno successivo a quello di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell'ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega di cui all'articolo 1».

Ebbene, tale termine deve intendersi ormai sicuramente scaduto, anche a voler seguire la tesi volta a spingere quanto più avanti possibile la data di entrata in vigore del codice.

Al riguardo ricordo che:

i) soltanto uno è stato il decreto attuativo emanato dal Governo nel termine di possibile esercizio della delega: il d.lgs. n. 14/2019;

ii) tale decreto legislativo, però, non aveva una sola data di entrata in vigore, ma due: quella (di quasi immediata entrata in vigore) del 16 marzo 2019 con riferimento a svariate norme analiticamente elencate nel comma 2 dell'art. 389 (ossia gli artt. 27, comma 1, 350,356,357,359,363,364,366,375,377,378,379,385,386,387 e 388 c.c.i.i.), mentre, per il restante corpo normativo, la data successiva del 15 agosto 2020;

iii) pertanto, anche a voler assumere come iniziale data di entrata in vigore del Codice non quella del 16 marzo 2019 (benché apparentemente più corretta), ma quella del 15 agosto 2020 relativa al restante corpus normativo, e dovendo peraltro considerarsi che tale data è stata poi prorogata, con il d.l. n. 36/2022 (convertito dalla l. n. 79/2022), al 15 luglio 2022, il biennio di possibile perdurante operatività del privilegio fondiario sarebbe spirato al più tardi il 15 luglio 2024.

Il legislatore delegato avrebbe dovuto dunque disporre che il privilegio fondiario in ogni caso non potesse operare oltre tale ultima data. Ciò, però, non ha fatto, nemmeno in occasione del recente Correttivo-ter (d.lgs. n. 136/2024), per il che, secondo quanto puntualizzato dalla S. Corte, occorrerebbe ora valutare, di conseguenza, se la scelta del legislatore delegato costituisca una «mera mancata attuazione della delega ovvero un contrasto della normativa delegata con i principi e i criteri direttivi fissati dalla L n. 155/2017, trovando spazio, in questa seconda ipotesi, una questione di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 75 Cost.».

Nel primo caso, in effetti, non potrebbe parlarsi di un'ipotesi di incostituzionalità, perché la mancata adozione dei decreti oggetto di delega, o la parziale inattuazione delle direttive contenute nella delega, può eventualmente comportare una responsabilità politica dell'Esecutivo nei confronti delle Camere, ma null'altro, e certo non può determinare una declaratoria di incostituzionalità, nemmeno parziale, del decreto legislativo, per omessa attuazione della delega (cfr. Cicconetti, Le fonti del diritto italiano, II ed., Torino, 2007, 276; Paladin, Le fonti del diritto italiano, Bologna, 1996, 220 ss.; Zagrebelsky, Manuale di Diritto costituzionale. Il sistema delle fonti del diritto, I, Torino, 1992, 167 ss. Per la giurisprudenza costituzionale cfr. Corte cost. nn. 41/1975, 8/1977, 218/1987, 304/2011), salvo che non ne sia derivato un vero e proprio stravolgimento della legge delega o la fattuale e frontale violazione dei principi e criteri direttivi della delega. Solo in tal caso, infatti, troverebbe spazio, come ha giustamente ricordato la S. Corte nel menzionato precedente, «una questione di legittimità costituzionale per violazione dell'art. 75 Cost.».

Ebbene, a mio modesto parere, la conclusione più attendibile è proprio questa, ossia quella di un'implicita ma frontale violazione del criterio direttivo di cui all'art. 7, comma 4, lett. a), della legge delega n. 155/2017 (non potendo parlarsi dunque di una semplice mancata attuazione della delega), poiché il legislatore delegato non soltanto con l'art. 150 c.c.i.i. non ha adottato alcuna misura per escludere l'operatività del suddetto privilegio processuale fondiario (il che avrebbe potuto considerarsi quale mero fatto omissivo e quindi come semplice ipotesi di inattuazione della delega), ma, continuando a fare espressamente salve in positivo (sulla scia dell'antevigente legge fallimentare) le diverse norme di legge derogatorie al divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali, si è posto in oppositivo contrasto con il richiamato criterio direttivo, dettando una norma palesemente contraria ad esso, e per di più omettendo anche di limitare la vigenza della deroga entro i limiti temporali del biennio successivo all'entrata in vigore del codice. Ne dovrebbe derivare, come corollario, la probabile illegittimità costituzionale – quanto meno sopravvenuta – dell'art. 150 c.c.i.i., nella parte in cui continua a prevedere la possibilità che operino deroghe al divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive/cautelari (comunque ed ancora dopo il 15 luglio 2024).

Naturalmente per pervenire a sanzionare la suddetta probabile violazione dell'art. 75 Cost. occorrerebbe comunque sottoporre la questione al giudizio della Consulta.

Non potrebbe invece ritenersi che il criterio direttivo in esame, sia pure con riferimento alla sola parte ove prevedeva una data ultima di perdurante operatività delle norme derogatorie al divieto di iniziare o proseguire procedure esecutive, non fosse bisognevole di una specifica attuazione con una norma formulata ad hoc dal legislatore delegato, e che quindi nemmeno la sua violazione rendesse necessario un intervento della Corte costituzionale.

Quest'ipotesi interpretativa, secondo cui la norma di delega che individui specificamente una norma destinata all'abrogazione, sì da potersi considerare come una norma di delega in sé già perfetta, compiutamente precettiva ovvero self-executing, non lascerebbe alcuno spazio di discrezionalità per il Governo, il quale non potrebbe fare altro che ripetere in altro modo una disposizione già di per sé dotata di efficacia abrogatrice, è stata già prospettata qualche anno fa in un'altra consimile occasione, relativamente alla delega contenuta nell'art. 2, comma 3, lett. a), della legge n. 67/2014, che indicava puntualmente alcune fattispecie di reato destinate all'abrogazione. In quel contesto si ipotizzò appunto da parte di alcuni Autori che le norme poste dal legislatore delegante fossero disposizioni non soltanto di delega, ma anche di immediata applicazione, capaci di regolare  immediatamente i casi della vita, sì che, abrogando già esse stesse specifiche norme, il Governo non avrebbe potuto – né avrebbe avuto la necessità di - abrogarle una seconda volta (cfr. in particolare De Lungo, L'efficacia normativa delle deleghe inattuate, in Osservatorio costituzionale, AIC - Associazione italiana dei costituzionalisti, marzo 2015, 1 ss.)

Tuttavia l'interpretazione più accreditata, che a questo riguardo è stata prospettata in dottrina, e che pienamente condivido, è esattamente quella opposta (v. Alberti, I principi e criteri direttivi della legge di delega come disposizioni d'immediata applicazione? A proposito dell'art. 2 della legge 28 aprile 2014, n. 67, in Diritto Penale Contemporaneo, penalecontemporaneo.it), dovendosi dunque escludere che le norme della legge delega, proprio in quanto proiettate verso una successiva attuazione, possano essere già ex se auto-applicative.

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