Paesi Sicuri: ecco a voi l'ordinanza di rinvio a nuovo ruolo più lunga della storia

Mauro Di Marzio
09 Gennaio 2025

Commento sui profili e sulle ricadute processuali della recentissima ordinanza interlocutoria della Cassazione n. 34898 del 30 dicembre 2024, relativa alla questione sollevata da alcuni Tribunali in merito al Decreto ministeriale sui Paesi Sicuri, che ha infiammato nei giorni scorsi - e infiamma tuttora - la Stampa e l'opinione pubblica

Il caso

L'antefatto è noto a tutti.

La maggioranza politica di centro-destra ha scelto di impegnarsi nel contrasto all'immigrazione clandestina col provvedimento spot che potremmo riassumere nel motto: «portiamoli in Albania»; provvedimento destinato ad essere applicato ai migranti salvati in mare e provenienti da uno dei c.d. Paesi sicuri, elenco già dettato da un decreto ministeriale. Bene: la nave che conduceva la prima dozzina di immigrati provenienti da Paesi sicuri non aveva neppure attraccato nella nostra ex colonia, che già erano partite le iniziative giudiziarie degli interessati, in sintesi fondate sulla tesi secondo cui i Paesi sicuri ricompresi nell'elenco non sarebbero sicuri affatto, sicché il giudice dovrebbe disapplicare il decreto ministeriale che lo contiene. A suffragio della tesi è giunta a fagiolo una sentenza del 4 ottobre 2024 della Grande sezione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Corte Giust. UE, 4 ottobre 2024, C-406/2022) che ha risposto a questo quesito: si può considerare sicuro un Paese una parte del quale non è sicura? Il quesito concerneva la Moldova, che ricomprende un'area, la Transnistria, la quale sicura proprio non è. E la risposta della Corte di Giustizia è stata: no.

Dopodiché, in Italia alcuni Tribunali hanno sostenuto che l'affermazione della Corte di Giustizia dovesse essere riferita anche al caso in cui il Paese sia nel complesso sicuro, ma non per tutti: e dunque un Paese sicuro in tutto il suo territorio, ma non per gli oppositori politici, per gli appartenenti ad una certa etnia, per le persone con determinati orientamenti sessuali, e così via. E dunque hanno disapplicato così e semplicemente il decreto ministeriale che indicava tra i Paesi sicuri, ad esempio, l'Egitto. Altri Tribunali hanno seguito una strada diversa, e cioè hanno investito la Corte di Giustizia, col rinvio pregiudiziale dell'art. 267 T.F.U.E., del quesito se possa considerarsi sicuro un Paese che tale non è, soggettivamente, per uno o più categorie di persone.

E veniamo a noi.

Un egiziano è salvato in mare e di qui condotto nel centro in Albania. Il Questore ne dispone il trattenimento, ma il Tribunale nega la convalida del trattenimento, appunto perché l'Egitto non è un Paese sicuro, sulla base della lettura di cui si è detto della sentenza della Corte di Giustizia. Il provvedimento viene allora impugnato per Cassazione dal Ministero dell'interno e dal Questore di Roma.

La Corte di cassazione con ordinanza interlocutoria, badate bene, interlocutoria, (Cass. civ., sez. I, 30 dicembre 2024, n. 34898), rinvia la causa a nuovo ruolo. Cioè non decide.

La questione

«Ohibò» dirà il lettore, «non abbiamo mica tempo da perdere a leggere la nota ad un’ordinanza della Corte di cassazione che altro non fa che rinviare la causa a nuovo ruolo».

Beh, potrebbe essere un’obiezione sensata, ma è non appropriata al caso.

Qui abbiamo un’ordinanza di rinvio a nuovo ruolo che stazza 35 pagine e, soprattutto, che costituisce una assoluta novità nel panorama della giurisprudenza di legittimità, dal momento che si prodiga in una larga spiegazione sul come è consigliabile che la Corte di Giustizia decida sui rinvii pregiudiziali già dinanzi ad essa pendenti.

E allora, la questione è essenzialmente questa: da quando in qua la Corte di cassazione elargisce non richiesta pareri giuridici ad altre autorità, senza considerare che queste ultime potrebbero anche considerarli una sgarberia? E quali ricadute simili pareri possono dispiegare sull’esercizio della giurisdizione?

Le soluzioni giuridiche

L’ordinanza in commento ha avuto un ampio risalto sulla stampa ed ha dato luogo ad una vampata di immediati commenti politici, di segno diametralmente opposto (commentatori poco accorti o ordinanza poco chiara?), poi subito stemperata dal clima festaiolo del Capodanno.

Essa reca l’intero armamentario di ogni ordinanza di Cassazione che si rispetti: l’analitico svolgimento del processo ed un dettagliato scrutinio dei motivi di ricorso per Cassazione; componenti certo nevralgiche, se si debba decidere sul ricorso, un po’ meno se lo si debba rinviare a nuovo ruolo.

Ma, in realtà, questo modo di procedere ha una sua chiara ragion d’essere, la Corte di cassazione, dato atto dei rinvii pregiudiziali già pendenti dinanzi alla Corte di Giustizia, ritiene per un verso di non poter decidere, perché sulla questione di diritto deve appunto decidere il giudice di Lussemburgo, ma per altro verso vuole dire la sua, vuole dare il suo riverito parere giuridico, diciamo così, suggerendo alla Corte di Giustizia quello che dovrà dire.

Naturalmente, la soluzione proposta sul piano sostanziale ― in breve: la sentenza della Corte di Giustizia sui Paesi sicuri non si riferisce alle eccezioni di carattere soggettivo, ma il giudice può nel caso concreto escludere che il Paese sia sicuro per la situazione particolare in cui il richiedente si trova ― qui non interessa.

Può darsi che sia esattissima, ma non è questo il punto, ci interessa il solo profilo processuale.

Considerazioni dell’autore

È già accaduto, recentemente e non, che decisioni della S.C. siano state criticate da componenti della Corte: basterà rammentare il … sed magis amica veritas.

Dunque una prima osservazione.

Tra le cognizioni in possesso di chi scrive e certamente di chi legge c’è quella secondo cui per proporre un’impugnazione bisogna avervi interesse. E che cos’è l’interesse all’impugnazione se non l’interesse a capovolgere la decisione impugnata? L'interesse ad impugnare non è costituito dalla mera aspirazione della parte all'esattezza tecnico-giuridica della motivazione del provvedimento, ma dall'interesse a conseguire dalla riforma o dalla cassazione della decisione impugnata un vantaggio concreto nel procedimento in corso: una nuova pronuncia, favorevole all’impugnante, sul medesimo rapporto giuridico che ha già formato oggetto del precedente giudizio.

Ebbene nel caso di specie c’era poco da capovolgere: una volta disposto il trattenimento dal Questore, la convalida deve intervenire entro quarantott’ore, dopo di che non c’è più nulla da fare e più nulla da convalidare. E cioè, qui non c’è nessuno spazio perché si possa cassare e rinviare ovvero cassare e decidere nel merito, dando ragione all’amministrazione e, in altri termini, convalidare oggi quel trattenimento che il Tribunale non ha convalidato ieri. Questo è impossibile.

È frequente nell’esperienza pratica il caso inverso, quello del ricorso proposto dall’immigrato avverso la convalida del trattenimento finalizzato all’espulsione: in questo caso, per l’appunto, se il giudice ha sbagliato a convalidare, ad esempio ― il caso più comune ― perché non ha motivato, si cassa senza rinvio, perché la convalida è ormai impossibile.

Qui la Cassazione dice che l’interesse sarebbe ravvisabile in ciò, ossia che l’immigrato potrebbe un domani chiedere il risarcimento dei danni per la condotta dell’amministrazione, che lo ha privato della libertà personale nell’arco temporale di traduzione in Albania e ritorno. Dunque un interesse all’impugnazione rapportato ad un giudizio futuro ed eventuale.

Mah … può darsi che, spulciando, un qualche precedente in tal senso lo si possa anche trovare, ma se ci fosse occorrerebbe dissentirne … Una cosa del genere sarebbe forse immaginabile se il provvedimento che nega la convalida del trattenimento fosse idoneo a dispiegare autorità di cosa giudicata nel giudizio di danno: ma non credo che si possa seriamente pensare che quel provvedimento, diremmo con linguaggio curiale meramente delibativo, possa recare un irreversibile accertamento, sicché, nell’ipotetico, futuro ed eventuale, giudizio di danno il giudice accerterà, plena cognitio, se il Questore, disponendo il trattenimento, abbia posto in essere una condotta suscettibile di dar luogo a risarcimento.

Seconda osservazione.

Il rinvio a nuovo ruolo. Succede assai di frequente, in Cassazione, di doversi misurare con l’esigenza di rinviare la causa a nuovo ruolo perché qualcun altro deve decidere qualcosa: se il collegio si trova a decidere una questione di diritto che al momento è all’esame delle Sezioni Unite, se si trova ad applicare una norma che al momento è sottoposta a giudizio di costituzionalità, rinvia ineluttabilmente a nuovo ruolo, spendendo, a seconda dell’inclinazione e della capacità di sintesi dell’estensore, tra le 5 e le 20 righe di motivazione. Ma 35 pagine… Il medio consigliere le impiega per una decina di ordinanze (decisorie, non interlocutorie), anche ben vestite, una decina di punti di statistica. Quidquid praecipies, esto brevis!

Terza osservazione.

La Corte di cassazione è un organo consultivo? Esprime pareri giuridici non finalizzati ad adottare una decisione sul ricorso che ha dinanzi?

La domanda è retorica, ovviamente. L’art. 65 dell’ordinamento giudiziario, come sa ogni lettore, non fa menzione alcuna di simili pareri, che non sembra possano essere ricondotti neppure alla previsione secondo cui la Corte «adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge».

Qui, tutta l’impostazione dell’ordinanza in commento ― l’omesso rilievo dell’inammissibilità è solo un sintomo ― congiura nel senso di dimostrare che la Corte di cassazione, come si premetteva, voleva a tutti i costi dire la sua, pur ritenendo di non poter decidere: ma questa è una patente contraddizione in termini, la Corte parla con le sue decisioni e in nessun altro modo. E qui non siamo dinanzi neppure ad un obiter dictum: che vuol dire detto incidentalmente, la qual cosa presuppone che una decisione ci sia, ed invece qui non c’è.

Viceversa, il collegio, si legge al § 11, «ritiene di poter contribuire al dialogo con la Corte di giustizia indicando, attraverso un’ordinanza di rinvio a nuovo ruolo non avente natura decisoria, alcune considerazioni circa la possibile interpretazione della disciplina ricavabile dal quadro normativo di riferimento, idonea a superare i dubbi di compatibilità comunitaria della disciplina nazionale di recepimento e di attuazione della direttiva. Ciò nella ferma convinzione che alla cooperazione e alla sinergia tra i giudici è affidato il controllo giurisdizionale sull’osservanza del diritto dell’Unione, che non è un diritto straniero ma è the law of the land in ciascuno Stato membro».

Ora, personalmente non amo l’enfasi, qui culminante nella citazione nientepopodimeno che dalla Magna Carta Libertatum, ma il fatto è che il dialogo tra Corti si pratica quando entrambe sono chiamate a pronunciarsi sulla medesima questione, ed allora è buona cosa operare nell’ottica della «leale collaborazione», che, prevedibilmente, compare alla pagina 34 dell’ordinanza, con un sound da mieloso happy ending: ma qui non c’è nessun possibile dialogo, giacché delle due l’una, o sulla questione di diritto si deve pronunciare la Corte di Giustizia, e allora la Corte di cassazione non ha titolo a interloquire così come non ne avrebbe il pretore di Scurcola Marsicana; o sulla questione di diritto non si deve pronunciare la Corte di Giustizia, e allora la Corte di cassazione deve prendere posizione. E secondo l’interlocutoria qui si versa nel primo caso. Ma se così è non c’è molto da dialogare: una volta che la Corte di Giustizia avrà stabilito come deve essere interpretato il diritto unionale, all’esito del rinvio pregiudiziale, la Corte di cassazione dovrà ottemperare perinde ac cadaver.

Ultima osservazione.

La Corte di cassazione formula principi di diritto sospensivamente condizionati?

Anche questa è una domanda retorica, è inutile dire. Ma al § 18 abbiamo bel belli sei principi di diritto, in cui si riassume l’interpretazione che secondo la Corte di cassazione la Corte di Giustizia dovrebbe assecondare: e non è propriamente convincente, almeno per chi non creda più a Mother Goose o Ma Mère l'Oye, che dir si voglia, che l’interpretazione prospettata non viene tradotta «né in decisione del ricorso né in principio di diritto suscettibile di orientare le future applicazioni», come dice l’ordinanza.

Mi basterà osservare che sto scrivendo questo commento perché l’ordinanza è segnalata dal servizio novità della Corte di cassazione, ove sono sciorinate proposizioni che chiunque identificherebbe come principi di diritto. E da domani, potete giurarci, bene o male che sia, non mancheranno giudici di merito che negheranno le convalide non più disapplicando il decreto ministeriale, bensì, come dice la Cassazione, ravvisando «sussistenti i gravi motivi per ritenere che il Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui il richiedente si trova».

Ma se è cosa normale, perché così è la legge, che le decisioni della Cassazione dispieghino la propria autorità sul solo giudice di rinvio e pesino per gli altri giudici soltanto per la loro autorevolezza, se ce l’hanno, è cosa normale, è conforme al nostro diritto, è conforme al law of the land, che l’operare dei giudici di merito sia orientato da principi che non costituiscono rationes decidendi adottate dalla Corte di cassazione neppure nel giudizio in questione?

Non lo so, mi auguro che il lettore abbia idee più chiare di me.

Solo una piccola considerazione, attraverso due citazioni, sull’interpretazione del dato normativo europeo e sull’utilità che a decidere non sia una corte ma due. La prima citazione è di Konrad Adenauer: «Capisco perché i Dieci Comandamenti sono tanto chiari e privi di ambiguità: non furono redatti da un'assemblea».

La seconda citazione è di un altro tedesco, Franz Josef Strauss (certo, un bavarese di destra-destra, ma nessuno è perfetto, per richiamare la battuta che attribuirei a Billy Wilder), e anche qui c’entrano i Dieci Comandamenti: «I Dieci Comandamenti contengono 279 parole, la Dichiarazione Americana d'Indipendenza 300 e le disposizioni della comunità Europea sull'importazione di caramelle esattamente 25.911».

E qual è l’esito di questo fiume di parole, per dirla coi Jalisse, se non la Babele?

Chiuderò perciò con quest’ultimissima citazione: «Poi disse a me: “Elli stessi s’accusa; questi è Nembrotto per lo cui mal coto pur un linguaggio nel mondo non s’usa”».

In fondo siamo solo al trentunesimo dell’Inferno.

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