Aggravamento dei postumi di un infortunio in itinere: non si applica la regola della stabilizzazione dei postumi in presenza di una concausa sopravvenuta
16 Gennaio 2025
Massima In caso di aggravamento dei postumi, accertati in origine dall'INAIL, avvenuto oltre il termine decennale previsto dall'art. 83, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, gli ulteriori postumi, se derivati da concausa sopravvenuta, ma direttamente correlata all'infortunio già indennizzato, devono essere presi in esame per la rideterminazione della rendita in applicazione dell'art. 80, che richiede che si considerino unitariamente i postumi anche ove singolarmente inferiori al minimo indennizzabile. Il caso La descrizione della fattispecie concreta e la decisione dei giudici di merito Nel 1975 un lavoratore assicurato con l'INAIL riportava un infortunio in itinere, da cui scaturiva l'erogazione di una rendita parametrata ad una riduzione dell'attitudine al lavoro del 30 per cento; successivamente, esattamente nel 2010, si manifestava una patologia epatica, diagnosticata nel 2014, conseguente alle trasfusioni, cui l'assicurato era stato sottoposto in occasione dell'infortunio. Il lavoratore presentava all'INAIL una domanda di aggravamento nella misura del 48 per cento, che veniva respinta in sede amministrativa e giudiziaria di merito. In particolare, per quanto si apprende dalla sentenza in esame, il Tribunale di Firenze rigettava la domanda, essendo decorso il termine decennale, di cui all'art. 83, D.P.R. n. 1124/65, decorrente dalla verificazione dell'infortunio in itinere, con la conseguente stabilizzazione dei postumi. La Corte di Appello confermava la sentenza, osservando che la domanda doveva essere qualificata come richiesta di aggravamento degli esiti dell'infortunio in itinere accaduto al lavoratore, preclusa per effetto del decorso dei dieci anni dall'infortunio e che non poteva trovare applicazione l'art. 80, D.P.R. n. 1124/1965, poiché la patologia epatica era pur sempre effetto di una modifica peggiorativa delle condizioni fisiche dell'infortunato collegata a quell'evento e che non era ravvisabile un nuovo evento lavorativo che consentisse l'unificazione dei postumi. Secondo la Corte territoriale, nel caso di specie, non ricorreva una nuova patologia, valutabile ai sensi dell'art. 80, in assenza di un protrarsi dell'esposizione ad un medesimo o ad un diverso rischio, ritenuto indispensabile della Corte costituzionale (sentenza n. 46/2010) e dalla Cassazione (sentenze nn. 5548- 5550/2011). Inoltre, la Corte territoriale escludeva l'applicazione dell'art. 80, trattandosi di postumi assoggettati temporalmente a sistemi giuridici diversi e come tali non cumulabili. Con il primo di quattro distinti motivi di ricorso per cassazione il lavoratore chiedeva l'annullamento con rinvio della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 83, D.P.R. n. 1124/1965, come interpretato dalla Cassazione, che ha inteso contemperare il principio di stabilizzazione dei postumi con il principio costituzionale, consacrato nell'art. 38 Cost., che tende ad assicurare all'infortunato mezzi adeguati alle esigenze di vita, senza condizioni, richiamando il contenuto della sentenza del Supremo consesso n. 1048/2018). La questione Quale tutela per i postumi derivati da una concausa sopravvenuta? La questione esaminata dalla Cassazione è la seguente: La concausa sopravvenuta e causalmente dipendente dall'infortunio, intesa come evento non prevedibile ed estraneo al naturale evolversi del danno originario, si colloca logicamente al di fuori della regola di stabilizzazione dei postumi di cui all' art. 83, comma 7, D.P.R. n. 1124/1965? La soluzione giuridica Non si applica la regola della stabilizzazione dei postumi in caso di “nuovo infortunio” La Suprema Corte annulla la sentenza di merito con una motivazione che richiama quanto in precedenza già affermato a proposito della tutela da assicurare all'aggravamento di postumi derivato da una concausa sopravvenuta causalmente dipendente dall'infortunio, la quale, proprio per il suo carattere di evento non prevedibile ed estraneo al naturale evolversi del danno originario, si colloca logicamente al fuori della regola di stabilizzazione dei postumi (Cass. n. 1048/2018). Premesso che l'art. 80, D.P.R. n. 1124/65, come interpretato dalla Corte costituzionale, secondo cui è necessario considerare tutti i postumi derivanti dalla realizzazione del rischio assicurato (sentenza n. 46/2010), si propone di unificare in una unica rendita tutte le inabilità accertate in capo al medesimo soggetto, la Cassazione distingue il peggioramento delle condizioni di inabilità, causalmente correlato a circostanze che originano sempre dall'originario infortunio, che si inseriscano nella catena causale modificando la naturale evoluzione del processo morboso avviato dal medesimo infortunio, regolate dall'art. 80, D.P.R. n. 1124/65, da quelle che ne realizzino la naturale evoluzione, assoggettate alla regola di cui all'art. 83, comma 7, D.P.R. n. 1124/65, che stabilisce il principio della stabilizzazione, una volta trascorsi 10 anni dal verificarsi dell'infortunio sul lavoro. Dunque, la concausa sopravvenuta e causalmente dipendente dall'infortunio, quando abbia carattere di evento non prevedibile ed estraneo al naturale evolversi del danno originario, si colloca logicamente al di fuori della regola di stabilizzazione dei postumi di cui all'art. 83, comma 7, D.P.R. n.1124/1965. Pertanto, nel caso di specie, afferma la Cassazione, poiché il complessivo aggravamento delle condizioni di salute del lavoratore assicurato è connesso ad un evento, la trasfusione, che ha contribuito come concausa a determinarlo con conseguenze divenute evidenti solo a distanza di tempo, stante il periodo di latenza della malattia (poi accertata nel 2010 e divenuta evidente solo nel 2014), erra la Corte territoriale nel ritenere applicabile il limite temporale decennale di cui all'art. 83, D.P.R. n. 1124/1965. Osservazioni La tutela assicurata al “nuovo infortunio” nei due sistemi di liquidazione dell'indennizzo succedutisi nel tempo La sentenza in esame si colloca nel solco inaugurato dalla Corte costituzionale, che ha riconosciuto la tutela della “nuova malattia”, quella manifestatasi dopo lo spirare del termine quindicinale per effettuare la revisione della rendita (art. 137, D.P.R. n. 1124/65), “quando il maggior grado di inabilità dipende dalla protrazione dell'esposizione a rischio patogeno” (Corte cost. 12 febbraio 2010, n. 48) e poi seguito dalla Cassazione (Cass. 9 marzo 2011, nn. 5548 – 5549 e 5550). Con riferimento alla “nuova malattia”, l'INAIL ha precisato che «la domanda di aggravamento a seguito di variazione delle condizioni fisiche in peius intervenute dopo i termini di cui all'art. 137 T.U. viene trattata come una nuova malattia professionale» (circ. INAIL 21 gennaio 2014, n. 5), anche nel caso di aggravamento di una malattia professionale con un grado di menomazione inferiore al 6% ovvero indennizzata in capitale (grado di menomazione tra il 6% ed il 15%) ovvero non indennizzata in rendita nel regime precedente al D. Lgs. n. 38/2000 (circ. INAIL 24 febbraio 2015, n. 32). La Cassazione ha esteso la tutela previdenziale anche agli aggravamenti dei postumi di un infortunio avvenuti successivamente al decennio, in cui è consentita la revisione, in melius o in peius, della rendita (art. 83, comma 7, D.P.R. n. 1124/65). In particolare, la Suprema Corte ha escluso che la tutela assicurativa fosse impedita dalla regola della stabilizzazione dei postumi, non applicabile quando il peggioramento delle condizioni di inabilità fosse dovuto, non alla naturale evoluzione del processo morboso seguente all'infortunio, ma ad una concausa sopravvenuta originata pur sempre dall'infortunio oggetto di indennizzo, verificatasi oltre il termine decennale previsto dall'art. 83, comma 7, D.P.R. n. 1124/65, i cui postumi, devono essere valutati attraverso l'applicazione dell'art. 80, T.U. n. 1124/65 (Cass. 17 gennaio 2018, n. 1048). La Cassazione, con la sentenza in esame, si conforma al suo precedente del 2018, trattando come “nuovo infortunio” l'aggravamento dei postumi derivato dalla concausa sopravvenuta ed invitando il giudice del rinvio a procedere alla verifica “se la malattia sopravvenuta abbia inciso sul grado di inabilità ai fini della riliquidazione della rendita che non sarebbe preclusa da quanto disposto dal comma sei ultimo capoverso dell'art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 ove risulti confermato che la malattia sia dovuta ad una concausa verificatasi antecedentemente la sua entrata in vigore”. Sembra che la Cassazione consideri la patologia epatica derivata dalle trasfusioni, sebbene definita malattia, come infortunio sul lavoro, in cui in effetti rientrano gli eventi derivati dall'azione di fattori microbici o virali (Cass. 12 maggio 2005, n. 9968). In tal caso se la concausa sopravvenuta si considera verificata prima del 9 agosto 2000, data di entrata in vigore del nuovo sistema di liquidazione del danno in ambito previdenziale, si procede alla riliquidazione della rendita costituita nel 1975, ai sensi dell'art. 80, D.P.R. n. 1124/65, come si evince dall'art. 13, comma 2, D.Lgs. n. 38/2000, che applica la più recente disciplina ai danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie professionali “verificatisi” o “denunciati” a decorrere dalla sua data di entrata in vigore, come interpretato dalla Cassazione, secondo cui “la locuzione "verificatisi o denunciati" si riferisce chiaramente agli infortuni e alle malattie professionali, che sono oggetto della denuncia di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 52 e 53” (Cass. 8 ottobre 2007, n. 21022; Cass. 5 maggio 2011, n. 9956). Più recentemente la Suprema Corte ha interpretato la medesima norma in senso alternativo, affermando che “per l'operatività del nuovo sistema indennitario introdotto dal D.Lgs. n. 38 del 2000, occorra che si verifichi una delle due condizioni ivi previste ovvero che il fatto si sia verificato oppure sia denunciato” dopo il 9 agosto 2000 (Cass. 24 agosto 2023, n. 25191). Siccome il sistema indennitario del danno alla salute risulta più vantaggioso per l'infortunato, poiché l'aggravamento è stato denunciato nella vigenza del nuovo sistema di liquidazione gestito dall'INAIL, non sarebbe possibile procedere alla riliquidazione della rendita tout court, impedita dall'impossibilità di unificare le prestazioni conseguite dalla vittima per la perdita o riduzione dell'attitudine al lavoro e per la lesione all'integrità psico-fisica (art. 13, comma 6, D. Lgs. n. 38/2000), a causa dell'ontologica differenza del danno indennizzato nei due regimi, quello del D.P.R. n. 1124/65 e quello del D. Lgs. n. 38/2000, ma dovrebbe costituirsi una nuova ed ulteriore rendita, calcolata con la Formula Gabrielli, con la conseguenza che il grado di menomazione conseguente alla patologia epatica denunciata dopo il 9 agosto 2000, debba essere rapportato non all'integrità psico-fisica completa ma a quella ridotta per effetto della preesistente menomazione (Corte cost. 13 aprile 2021, n. 63). La mancata applicazione dell'art. 80, D.P.R. n. 1124/65, allora, impedirebbe il cumulo dei postumi, “assoggettati temporalmente a sistemi giuridici diversi”, come affermato dalla Corte territoriale (paragrafo 3.3 della sentenza di cassazione), ma non priverebbe il lavoratore di una tutela economica per i postumi riportati in epoca successiva. |