Preclusioni e struttura del giudizio di divisione dopo la Riforma Cartabia

16 Gennaio 2025

Il contributo analizza la struttura del giudizio della divisione alla luce della riforma Cartabia e delle nuove disposizioni introdotte dal Correttivo

Premessa: il sistema delle preclusioni nel giudizio di divisione

Il giudizio di divisione presenta una serie di caratteristiche peculiari.

In particolare, si tratta di un procedimento:

  • nel quale può non esistere, a seguito della non contestazione delle parti, alcuna sentenza;
  • che inizia con una domanda, avente la forma di citazione, alla quale possono seguire una serie di ordinanze;
  • che può svolgersi in parte davanti ad un notaio o ad altro professionista, per tornare davanti al giudice solo per l'approvazione del progetto di divisione o delle operazioni di materiale attuazione del progetto di divisione, le operazioni di sorteggio, approvate con decreto se non ci sono contestazioni.

Tuttavia, può anche accadere che in ogni sua fase ci siano contestazioni e conseguenti sentenze.

Le peculiarità proprie di tale procedimento hanno portato alcuni autori a dubitare dell'applicabilità allo stesso di alcune norme che disciplinano il giudizio di cognizione ordinario di carattere contenzioso (Carnelutti, Meditazioni sul processo divisorio, in Riv. dir. proc., 1946, II, 22 ss. spec. 27; Satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1959/71, IV, 95). Tuttavia, se si aderisce alla tesi che vuole il giudizio di divisione di natura contenziosa e a cognizione piena, pur con tutte le sue peculiarità (Di Cola, L'oggetto del giudizio di divisione, Milano, 2011), ad esso sono applicabili le scansioni procedimentali proprie del giudizio ordinario a cognizione piena, da armonizzare necessariamente con le specificità del procedimento.

In una sentenza non recente le Sezioni unite (Cass. civ., sez. un., 20 giugno 2006, n. 14109) componendo un contrasto formatosi nelle sezioni semplici quanto alla proponibilità per la prima volta in sede di discussione del progetto divisionale e, quindi, oltre il termine dell'art. 167 c.p.c. di domande riconvenzionali di nullità o di simulazione, hanno ritenuto le stesse inammissibili in quanto le caratteristiche peculiari del giudizio di divisione non sarebbero di per sé sufficienti a giustificare deroghe alle preclusioni tipiche stabilite dalla legge per il giudizio contenzioso ordinario.

Anche l'istanza di attribuzione ex art. 720 c.c. è stata considerata soggetta alle preclusioni processuali proprie del processo ordinario (con riferimento alla normativa precedente Trib. Mantova 3 febbraio 2012, GI 2012, I, 2109, con nota critica Di Cola). Più recente, però, la giurisprudenza di Cassazione proprio partendo da tale modalità di chiusura della divisione, ha posto sotto diversa luce la questione delle preclusioni e delle domande nuove. Essa ha affermato che il giudizio di scioglimento di comunioni non è del tutto compatibile con le scansioni e le preclusioni che disciplinano il processo in generale, perché i singoli condividenti intraprendono le loro strategie difensive anche all'esito delle richieste e dei comportamenti assunti dalle altre parti con riferimento al progetto di divisione e così acquistano rilievo gli eventuali sopravvenuti atti negoziali traslativi, che modifichino il numero e l'entità delle quote. Ne deriverebbe il diritto delle parti del giudizio divisorio di modificare, anche in sede di appello (nella specie, all'udienza di precisazione delle conclusioni), le proprie conclusioni e richiedere per la prima volta l'attribuzione, per intero o congiunta, del compendio immobiliare, dato che tale istanza integrerebbe una mera modalità di attuazione della divisione (Cass. civ., sez. II, 13 giugno 2019, n. 15926; Cass. civ., sez. II, 8 settembre 2021, n. 24174).

Come è stato messo in evidenza dalla giurisprudenza di merito (Trib. Pavia, 31 luglio 2023, n. 1008), nel giudizio di divisione riveste una certa importanza la sua struttura bifasica, dove l'esito della prima fase va a condizionare l'oggetto della seconda. Così, nella prima fase devono essere accertati i gli aventi diritto alla divisione - ovvero i condomini - e la consistenza oggettiva del riferimento materiale di tale diritto.

Le preclusioni legate a tale oggetto scandiscono la prima fase a partire dagli atti introduttivi, secondo il ritmo proprio del processo ordinario.

Chiusa la prima fase, il giudice ha accertato, con ordinanza o sentenza emessa ai sensi dell'art. 785 c.p.c., la consistenza soggettiva ed oggettiva della comunione e i relativi diritti alla divisione.

Di seguito, la seconda fase è volta alla trasformazione dei singoli diritti dei condomini in diritti di proprietà esclusiva: del modo migliore per raggiungere tale scopo ciascun condividente ne ha piena contezza solo nella seconda fase, al momento di mettere mano al progetto di divisione. Così, man mano che si va avanti nelle operazioni di divisione, la difficoltà di suddividere i beni potrebbe far apparire utile, se non necessaria, l'attribuzione di un bene a uno o più condomini in comunione tra di loro.

La giurisprudenza di legittimità e di merito da ultimo citata non riscontra alcuna difficoltà ad ammettere che tale istanza possa essere avanzata anche in sede di precisazione delle conclusioni, in un contesto in cui a tutte le parti sia data la possibilità di contraddire all'istanze degli altri (in dottrina vedi Giordano, Giudizio di scioglimento delle comunioni e preclusioni assertive, in Giur. mer., 2012, 5, 1022 ss., spec.1029).

É preferibile una posizione intermedia che veda possibile la presentazione dell'istanza di attribuzione non appena si manifesti la non comoda divisibilità del bene, quindi prima che venga disposta la vendita da parte del giudice di un bene non comodamente divisibile o dopo, se il bene non è stato venduto, al massimo, all'udienza di discussione del progetto di divisione. Questa soluzione meglio si armonizza con la struttura delle preclusioni mutuata dal processo ordinario.

La prima fase: l'accertamento del diritto alla divisione

Vediamo ora come conciliare le peculiarità del giudizio di divisione con la nuova disciplina del processo ordinario a cognizione piena, che in un certo senso potrebbe favorire una definizione più rapida della trattazione preliminare alla decisione con ordinanza o con sentenza.

È da ritenere che, a seguito dell'introduzione del procedimento, il giudice debba compiere le verifiche preliminari fuori udienza ai sensi dell'art. 171-bis c.p.c.; quindi, in questo contesto indicare le eventuali irregolarità nella costituzione del contraddittorio, inclusa la presenza di litisconsorti pretermessi, nonché le questioni rilevabili d'ufficio. Il giudice provvederà con decreto ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 171-bis c.p.c. e dalla pronuncia di tale provvedimento cominceranno a decorrere i termini per le memorie delle parti di cui all'art. 171-ter c.p.c. La specialità del giudizio di divisione porta ad escludere che in sede di verifiche preliminari il giudice possa disporre la prosecuzione del giudizio nelle forme del rito semplificato.

Nelle tre memorie successive previste dall'art. 171-ter c.p.c. le parti potranno:

  • precisare e modificare le domande già formulate negli atti introduttivi;
  • avanzare nuove domande conseguenti a domande riconvenzionali o eccezioni delle controparti, proporre eccezioni che siano conseguenza delle domande o delle eccezioni della controparte, replicare alle domande ed eccezioni nuove o modificate, nonché replicare alle questioni che eventualmente gli fossero sottoposte dal giudice;
  • quindi, indicare i mezzi di prova ed effettuare le produzioni documentali;
  • per finire con l'indicazione di prove contrarie.

Dopo la scadenza dei termini per le memorie di cui all'art. 171-ter c.p.c., le parti non potranno più proporre nuove domande, eccezioni o modificare, domande e conclusioni relative alla consistenza soggettiva e oggettiva della comunione oggetto di divisione, in buona sostanza, non potranno contestare in alcun modo il diritto alla divisione.

A questo punto il giudice si renderà conto se eventuali contestazioni o domande riconvenzionali richiedano di procedere con l'istruzione della causa o meno.

Alla prima udienza il giudice, ai sensi dell'art. 183 c.p.c., ha il compito di rilevare l'esistenza o meno di contestazioni sul diritto alla divisione, vale a dire di riscontrare se alcuno dei comunisti neghi, ad es., la comproprietà o la partecipazione ad essa del richiedente, o l'entità della sua quota, ma anche se ci siano domande come quella di riduzione che mettano in discussione la composizione della comunione, dal punto di vista oggettivo o soggettivo.

Ove a seguito dello scambio delle tre memorie di cui all'art. 171-ter c.p.c. non dovessero risultare contestazioni sul diritto alla divisione o domande collegate al diritto alla divisione di alcuno dei condividenti da decidere, il giudice può direttamente disporre che si proceda alla divisione con ordinanza (art. 785 c.p.c.), senza la fissazione dell'udienza di cui all'art. 183 c.p.c.

In presenza di contestazioni o, comunque di domande incidenti sul diritto alla divisione di alcuno dei condomini procederà con l'istruzione della causa si deciderà con sentenza.

All'udienza di cui all'art. 183 c.p.c., secondo la nuova disciplina della prima udienza di trattazione le parti dovrebbero comparire personalmente ed il giudice dovrebbe interrogarle liberamente e tentare di conciliarle.

Qualora le parti si concilino e accordino sulle modalità della divisione, si forma processo verbale della convenzione conclusa (art. 185, ult. comma c.p.c.). Tale possibilità sembra essere remota prima della formazione del progetto di divisione; sembra plausibile che il tentativo venga ripetuto successivamente su istanza di parte (art. 185 c.p.c.), ovvero che il giudice stesso avanzi una proposta di conciliazione quando ricorrano i presupposti per formularla (art. 185-bis c.p.c.). Piuttosto la comparizione personale delle parti in prima udienza è un'occasione per interrogarle liberamente e trarre dalle loro risposte o mancate risposte elementi utili alla conduzione del giudizio.

Le parti si potrebbero conciliare sulla consistenza dei propri diritti alla divisione e questa prima fase potrebbe essere chiusa con una convenzione purché tutte si siano costituite.

Se il giudice deve decidere con sentenza, vi è un ventaglio di possibilità previsto per il subprocedimento decisorio del tribunale in composizione monocratica:

  • decisione a seguito di trattazione scritta, con scambio di tre memorie (note di precisazione delle conclusioni, memorie conclusionali; memorie di replica);
  • decisione a seguito di trattazione mista, con scambio delle sole due prime due memorie previste dall'art. 189 c.p.c. (art. 281-quinquies c.p.c.) e fissazione dell'udienza di discussione orale non oltre trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle comparse conclusionali e deposito della sentenza entro trenta giorni;
  • decisione a seguito di discussione orale, previa precisazione delle conclusioni oralmente, decisione al termine della discussione con lettura della sentenza in udienza ovvero deposito della stessa nei successivi trenta giorni (art. 281-sexies c.p.c.).

La seconda fase: lo scioglimento della comunione

La seconda fase comprende, in verità, più sottofasi, che possono essere necessarie nell'eventualità in cui uno o più beni facenti parti del compendio da dividere non risultino essere comodamente divisibili e nell'eventualità in cui i lotti risultanti dal progetto di divisione siano tutti di eguale valore, per procedere al sorteggio.

Dopo il passaggio dalla prima fase segnato da uno dei due provvedimenti di cui all'art. 785 c.p.c., il giudice - o un suo delegato - metterà mano al patrimonio comune, se del caso con l'aiuto di un esperto stimatore. A questo punto, egli si renderà realmente conto di quali potrebbero essere gli immobili non comodamente divisibili, anche sulla base della componente soggettiva della comunione, o che comunque perderebbero valore con la divisione materiale.

Davanti alla consapevolezza della necessità della vendita di un bene, nel rispetto del principio del contraddittorio, la cui forza è stata, se possibile, rafforzata dalla riforma Cartabia, il giudice o il professionista delegato dovrebbe convocare le parti. In questo contesto, allora, sarebbe dato alle parti presentare una domanda nuova, conseguente, se non ad una domanda di altra parte, all'evolversi della vicenda processuale, che presenta nuovi aspetti. Le altre parti potranno opporsi o presentare a loro volta istanze concorrenti: in ogni caso il giudice dovrà decidere con sentenza se procede alla vendita ovvero accogliere alcuna delle istanze presentate.

Se non si riesce a vendere il bene, di nuovo, tale istanza potrà essere ripresentata all'udienza di discussione del progetto di divisione, come in questa sede potrà essere contestata la consistenza e la composizione delle porzioni.

Il progetto deve essere depositato non più in cancelleria (a seguito dell'ultimissima riforma operata con il d.lgs. n. 164/2024), ma telematicamente ai sensi dell'art. 196-quater disp. att. c.p.c. affinché le parti possano prenderne visione; il giudice fisserà poi l'udienza di discussione con decreto, ordinando la comparizione dei condividenti, degli aventi causa e dei creditori intervenuti. La finalità dell'udienza di discussione del progetto di divisione è quella di consentire alle parti di sollevare contestazioni o rilievi in ordine al progetto stesso, assicurando loro la possibilità di svolgere un'adeguata difesa in relazione all'oggetto della discussione. Perciò, deve essere comunicata a tutte le parti anche se contumaci (così la costante giurisprudenza di Cassazione, ex multis: Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2010, n. 21829; Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2012, n.880; Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2014, n. 1619).

Sulle modalità dello svolgimento delle contestazioni la Cassazione ha specificato che non occorre una formale osservanza delle disposizioni previste dall'art. 789 c.p.c. — ovvero la predisposizione di un progetto di divisione da parte del giudice, il suo deposito in cancelleria e la fissazione dell'udienza di discussione dello stesso — essendo sufficiente che il medesimo giudice faccia proprio, sia pure implicitamente, il progetto approntato e depositato dal c.t.u., così come non è necessaria la fissazione dell'apposita udienza di discussione del progetto quando le parti abbiano già escluso, con il loro comportamento processuale la possibilità di una chiusura del procedimento mediante accettazione consensuale della proposta divisione, in tal modo giustificandosi la diretta rimessione del giudizio alla fase decisoria (Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2017, n. 13621).

In verità, anche alla luce del nuovo disposto dell'art. 101 c.p.c., è preferibile ritenere che il giudice debba sempre fissare l'udienza di discussione. Le contestazioni debbono essere presentate in udienza ed essere sufficientemente precise e circostanziate, anche perché la parte ha tempo prima dell'udienza per elaborarle. Eventualmente, possono essere ulteriormente svolte in sede di precisazione delle conclusioni o nelle tre memorie successive, ove ci siano. Infatti, le modalità della decisione con sentenza sono le stesse che nella prima fase, ovvero sono quelle proprie del tribunale in composizione monocratica, con le tre opzioni viste.

Dunque, possiamo concludere che la struttura di base del procedimento di divisione è stata conservata, seppur con tutti i dovuti adattamenti.

Riferimenti

  • Carnelutti, Meditazioni sul processo divisorio, in Riv. dir. proc., 1946, II, 22 ss. spec. 27;
  • Carratta, Il principio della non contestazione nel processo civile, Milano, 1995;
  • Di Cola, L’oggetto del giudizio di divisione, Milano, 2011;
  • Giordano, Giudizio di scioglimento delle comunioni e preclusioni assertive, in Giur. mer., 2012, 5, 1022 ss.;
  • Lombardi, Contributo allo studio del giudizio divisorio. Provvedimenti e regime di impugnazione, Napoli, 2009;
  • Pavanini, Natura dei giudizi divisori, Padova, 1942;
  • Satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1959/71, IV, 95.

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