Iniziano a manifestarsi nella giurisprudenza della Corte di cassazione i primi contrasti sul tema delle conseguenze dell'irregolarità del deposito a opera dell'impugnante della copia della sentenza impugnata, ai fini dello scrutinio della ammissibilità e della procedibilità del ricorso per cassazione.
La ragione della necessità dell'incombente di cui si tratta è evidentemente connessa alla verifica, da parte del giudice dell'impugnazione, della tempestività del ricorso.
Attraverso il deposito della sentenza impugnata, da cui sia possibile ricavare l'attestazione della data di pubblicazione, è infatti possibile verificare se l'impugnazione è stata proposta entro il relativo termine, breve o lungo, previsto dal codice di rito.
Sino al momento dell'entrata in vigore del processo civile telematico, allorquando tutti gli atti del processo civile erano redatti con modalità anche informatizzate, ma pur sempre riconducibili a un documento materiale, su cui giudice e cancelliere apponevano la propria sottoscrizione, l'adempimento di quanto in esame era abbastanza chiaro e non aveva dato luogo particolari problemi interpretativi. Tra i requisiti di ritualità dell'impugnazione, di cui l'avvocato dell'impugnate era onerato, vi era anche il deposito di copia autentica della sentenza impugnata, dal cui esame era possibile, per quanto qui interessa, ricavare la certezza della tempestività dell'impugnazione medesima, con riferimento alla data di pubblicazione del provvedimento impugnato.
A tale fine era sufficiente che il patrono dell'impugnante allegasse al proprio fascicolo di parte la copia autentica - o attestata come tale - del provvedimento impugnato. E tale “autenticazione” constava nella certificazione a opera del cancelliere che il documento era conforme all'originale. Originale che consisteva a sua volta nella certificazione a opera del cancelliere che il documento-sentenza constava di un certo numero di pagine, avvinte tra loro con timbro di congiunzione, e che risultava pubblicato in una certa data, attestata dal timbro apposto sul documento dal cancelliere (e che conteneva numero di ruolo generale, numero sezionale, numero di pubblicazione e data di pubblicazione).
Come è altrettanto noto, l'introduzione del processo civile telematico ha sensibilmente modificato tale procedimento.
Oggi il documento-sentenza nasce in forma digitale poiché, oltre a essere redatto su supporto informatico, è sottoscritto con firma digitale a opera del magistrato redattore ed è pubblicato con modalità altrettanto digitali, giacché consegue all'inserimento del documento sulla piattaforma digitale a disposizione del magistrato, il cui iter conduce all'attribuzione al documento, come conseguenza dell'ultimazione della procedura di pubblicazione, dei numeri identificativi (ruolo generale, sezionale, di pubblicazione) generati automaticamente dal sistema e visualizzati a margine di ogni pagina del documento-sentenza.
Come conseguenza di tale automatismo, vi è la certezza che la sentenza redatta secondo modalità telematiche riceva dal sistema gli estremi identificativi in maniera univoca e immodificabile. Ciò significa che, compiute tutte le formalità di pubblicazione, l'apposizione della firma digitale da parte del magistrato (oggi in Cassazione del solo magistrato, atteso che non è più richiesta l'apposizione anche della firma digitale da parte del cancelliere) determina la pubblicazione del provvedimento, con i relativi univoci riferimenti identificativi.
Tanto determina che l'avvocato riceve dalla cancelleria la comunicazione dell'avvenuta pubblicazione del provvedimento e che tale provvedimento, nativo digitale, sia consultabile e scaricabile, apparendo a video con la firma digitale del magistrato redattore e con le attestazioni informatiche parimenti generate dal sistema, ivi compresa la data di pubblicazione, rilevante ai fini della verifica della tempestività dell'impugnazione.
È dunque onere dell'avvocato che intenda impugnare per conto del proprio cliente un provvedimento pubblicato in forma digitale allegare al proprio fascicolo di parte informatico anche una copia del provvedimento.
L'estrazione della copia del provvedimento impugnato dal sistema, se correttamente effettuata da parte dell'avvocato, non dà luogo a problemi di sorta, poiché viene generata una copia digitale del provvedimento pubblicato, con tutti i riferimenti identificativi sia in tema di originalità del provvedimento che di conformità della copia informatica.
Siccome, come è noto, la realtà supera in molti casi la fantasia, anche un procedimento relativamente semplice e assolutamente garantito come quello appena descritto può essere sostituito da percorsi più fantasiosi, i cui esiti non sono tuttavia altrettanto certi e che, inevitabilmente, generano anche risposte diverse, come è esattamente quanto si verifica nell'ipotesi oggetto delle presenti note.
Può, infatti, accadere che l'avvocato dell'impugnate non scelga la strada maestra e sicura dell'estrazione di copia informatica della sentenza che intende impugnare, ma decida di percorrere una via diversa: quella del duplicato informatico.
Il duplicato informatico non è generato dal sistema, ma è affidato all'attività materiale del legale; un'attività, tuttavia, che (meraviglie della tecnica, verrebbe da dire) la legge considera del tutto equipollente a quella per così dire “maestra”, in quanto anche il duplicato informatico, in quanto tratto con modalità telematiche è ritenuto “conforme” all'esemplare presente nel fascicolo informatico come reso disponibile dai servizi informatici e telematici del competente plesso giurisdizionale.
Sennonché, tale assoluta equipollenza è più teorica che reale, ben potendo accadere che, per errore, distrazione, o altro, l'avvocato non si avveda che la copia attestata come conforme all'originale in effetti manchi di una (o più) delle stampigliature esistenti sull'originale informatico (il c.d. “glifo”).
Oggetto del contrasto che si annota è l'ipotesi in cui la copia informatica generata dall'avvocato della parte che impugna il provvedimento è priva dell'attestazione riguardante la data di pubblicazione del provvedimento.
In tale contesto, sorge il problema delle conseguenze di tale irregolarità sulla ritualità dell'impugnazione proposta.
A ben vedere, va premesso che ciascun principio formatosi con riguardo alla previgente disciplina “cartacea” richiede di essere riconsiderato nel “mondo digitale”.
Nel sistema previgente, come detto, tale riscontro era abbastanza oggettivo: o il provvedimento allegato al fascicolo della parte impugnante era conforme alle prescrizioni in tema di conformità all'originale (tutti i timbri dovevano essere presenti con le relative sigle di certificazione apposte dalla cancelleria), oppure non lo era.
E in tale seconda ipotesi era del tutto chiaro che non lo fosse e, a quel punto, si passava alla verifica delle conseguenze giuridiche dell'irregolarità.
Tra le quali, come è altrettanto noto, vi era (e vi è anche oggi) la c.d. “prova di resistenza”: se il deposito della copia autentica del provvedimento impugnato con la relativa attestazione della data di deposito serve a controllare la tempestività dell'impugnazione, è altrettanto evidente che, se nonostante la mancata prova della data di deposito, l'impugnazione è comunque proposta entro il termine concesso all'uopo dalla legge (nella specie, per il ricorso per Cassazione, dall'art. 327, comma 1, c.p.c.), il ricorso va comunque considerato tempestivo; e, all'inverso, se la notifica del ricorso è successiva al termine legale massimo concesso, il ricorso va considerato in ogni caso tardivo.
Tale principio, assolutamente pacifico nella giurisprudenza della Corte di cassazione nella precedente modalità cartacea di deposito dei provvedimenti civili, è destinato a cambiare, come le due pronunce segnalate con le presenti note, stanno a testimoniare.
Invero, nel sistema telematico di deposito è sempre possibile risalire, anche ex post, alla verifica dei dati attribuiti dal sistema informatico alla pronuncia oggetto di impugnazione.
Infatti, come sopra illustrato, la consultazione del registro telematico dell'ufficio che ha emesso il provvedimento consente di acquisire i dati identificativi della pronuncia, eventualmente mancanti in quella oggetto di deposito a opera della parte.
Ma è proprio tale questione a essere oggetto di dibattito: se sia onere del giudice dell'impugnazione esercitare questa attività di “supplenza” rispetto alla parte nel verificare i dati identificativi del provvedimento che siano riscontrati mancanti nella copia depositata dall'impugnante.
Tale eventualità viene esclusa dalla prima pronuncia in commento (Cass. civ., sez. III, ord., 9 gennaio 2024, n. 817), laddove la Corte Suprema ritiene che non sia suo compito verificare alla fonte i dati mancanti nella copia depositata dalla parte impugnate, tanto da passare direttamente alla c.d. “prova di resistenza”, dalla quale far dipendere la sorte del giudizio sulla tempestività del ricorso per cassazione.
Diversamente, la seconda pronuncia (Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2024, n. 12971) ritiene che sia onere del giudice dell'impugnazione, proprio perché il provvedimento impugnato è nativo digitale e, quindi, ha caratteristiche non modificabili a opera di chicchessia, effettuare (in ogni caso di contestazione dei dati identificativi informatici del provvedimento stesso) di acquisire informazioni presso l'ufficio del giudice che ha emesso la pronuncia onde acquisire i dati mancanti o in contestazione, al fine di pervenire alla verifica inoppugnabile della questione.
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