Il “nuovo” procedimento ex art. 696 bis c.p.c. disegnato dalla Consulta

Vito Amendolagine
05 Febbraio 2025

Il contributo esamina l'operatività nonché l'evoluzione sostanziale e processuale dell'accertamento tecnico preventivo

Introduzione

L'art. 696-bis c.p.c. è stato inserito nella Sezione IV del Capo III del Titolo I del Libro Quarto del Codice di procedura civile, contenente la disciplina dei procedimenti di istruzione preventiva, dall'art. 2, comma 3, lett. e-bis), n. 6, d.l. n. 35/2005 recante disposizioni urgenti nell'ambito del piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, convertito, con modificazioni, nella l. n. 80/2005.

La nuova disciplina, introdotta in sede di conversione del citato d.l. n. 35/2005, non rinviene precedenti nell'esperienza del processo civile italiano – non potendo ritenersi tale la pur affine fattispecie di cui all'art. 198, comma 1, c.p.c., nella quale è il giudice, e non la legge, ad incaricare il consulente, nominato nel corso del giudizio di cognizione, di tentare la conciliazione – ma considera e sviluppa le indicazioni programmatiche ed i contenuti di alcuni precedenti progetti di legge, riguardanti analoghe figure di anticipazione istruttoria absque periculo, che non erano stati portati a compimento.

L'art. 696-bis c.p.c. consente alla parte interessata di richiedere, prima dell'inizio del giudizio ed anche in assenza del presupposto dell'urgenza di cui all'art. 696 c.p.c., l'espletamento di una consulenza tecnica avente ad oggetto l'accertamento e la determinazione dei crediti derivanti dalla mancata od inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito.

La stessa disposizione attribuisce al consulente tecnico designato dal giudice il compito di promuovere, sulla base dell'elaborato peritale, la definizione concordata della lite.

Se la conciliazione è raggiunta, l'accordo transattivo confluisce in un verbale, al quale lo stesso giudice attribuisce, con proprio decreto, efficacia di titolo esecutivo.

In caso contrario, la relazione tecnica depositata dal consulente può essere acquisita, su istanza della parte interessata e previo vaglio di ammissibilità e rilevanza, nel successivo ed eventuale processo di merito, con l'efficacia propria della consulenza tecnica d'ufficio ex artt. 191 ss. c.p.c.

La natura giuridica del provvedimento di istruzione preventiva finalizzato alla conciliazione della controversia

Il legislatore ha scelto di collocare l'art. 696-bis c.p.c. nella stessa Sezione IV del codice di procedura civile relativa ai procedimenti di istruzione preventiva, nell'ambito dei procedimenti cautelari di cui al Capo III del Titolo I del Libro IV del codice di rito, ed ha stabilito – così mostrando l'intento di assoggettarlo alla medesima disciplina – che il procedimento applicabile, pur con riserva di concreta compatibilità, è quello previsto dall'art. 696, comma 3 c.p.c. per l'accertamento tecnico preventivo.

A sua volta questa disposizione rinvia, a tale fine, all'art. 695 c.p.c. che, norma dichiarata costituzionalmente illegittima, unitamente all'art. 669-quaterdecies c.p.c., nella parte in cui non contemplava la reclamabilità del provvedimento di rigetto dell'istanza per l'assunzione preventiva dei mezzi di prova di cui agli artt. 692 e 696 del medesimo codice (Corte cost., 16 maggio 2008, n. 144).

Prima dell'ulteriore intervento del giudice delle leggi nel corso del 2023 – in relazione al quale, la Consulta non ha inteso proporre una differente soluzione interpretativa del diritto vivente la quale, compete al solo giudice nomofilattico, essendosi piuttosto limitata a stabilire se lo stesso sia o meno conforme ai principi costituzionali – la giurisprudenza di legittimità, nel decidere su alcuni ricorsi, proposti ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., contro i provvedimenti di diniego dell'istanza di nomina di un consulente tecnico preventivo ai fini della composizione della lite ex art. 696-bis c.p.c., li aveva dichiarati inammissibili essendo i medesimi provvedimenti impugnati privi del requisito della definitività.

In tali occasioni, il giudice nomofilattico, aveva inoltre ritenuto che, nella specie, avrebbe potuto essere proposto, invece, il rimedio del reclamo, stante l'analoga natura cautelare, almeno in senso lato, di detti provvedimenti, come ritraibile anche dalla collocazione sistematica e dall'applicabilità, quanto al procedimento, delle disposizioni sull'accertamento tecnico preventivo e, di qui, dell'art. 695 c.p.c., che, come evidenziato, è stato dichiarato illegittimo laddove non contemplava il reclamo cautelare contro i provvedimenti di rigetto delle istanze volte all'assunzione della prova testimoniale e dell'accertamento tecnico preventivo (Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2022, n. 34202; Cass. civ., sez. III, 26 settembre 2019, n. 23976).

La ratio del procedimento di istruzione preventiva finalizzato alla conciliazione della lite

In merito all'ambito di applicazione dell'istituto, la finalità principale della consulenza preventiva sarebbe quella di apprestare uno strumento attraverso il quale, nell'ambito della giurisdizione e con le garanzie di terzietà proprie di un consulente nominato dal giudice, le parti possono ottenere la determinazione delle eventuali conseguenze lesive connesse ad inadempimenti nell'esecuzione di prestazioni obbligatorie od a fatti dannosi di natura extracontrattuale, oltreché ad una pluralità di vicende all'origine di svariate tipologie di controversie.

Ciò premesso, il legislatore, per definire l'ambito di applicazione della consulenza tecnica preventiva, ricorre ad un duplice criterio selettivo, individuando sia il tipo di attività demandata all'ausiliario del giudice – l'accertamento e la determinazione – sia le situazioni soggettive i cui fatti costitutivi possono formare oggetto di indagine e valutazione tecnica.

In particolare, la disposizione in oggetto si riferisce ad una precisa classe di diritti soggettivi, quelli di credito, per di più ritagliando, all'interno di questa, una sottoclasse ancora più specificamente connotata sotto il profilo genetico, ossia quella dei crediti che sorgono dalla mancata od inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito.

Con la consulenza tecnica conciliativa il legislatore ha in sostanza offerto alle parti la possibilità di ottenere, in via preventiva rispetto all'instaurazione del processo, una valutazione tecnica in ordine all'esistenza del fatto ed all'entità del danno, nell'auspicio che, proprio sulla scorta di tale valutazione, le parti possano trovare un accordo – al quale il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo – che renda superflua l'instaurazione del giudizio contenzioso (Corte cost., 21 dicembre 2023, n. 202; nello stesso senso Corte cost., 5 maggio 2021, n. 87).

Nel caso, poi, in cui non si pervenga a tale accordo, la relazione depositata dall'ausiliario può essere acquisita, su istanza della parte interessata e previo vaglio di ammissibilità e rilevanza, nel successivo processo di merito, con l'efficacia propria della consulenza tecnica d'ufficio ex artt. 191 ss. c.p.c.

Il procedimento introdotto dall'art. 696-bis c.p.c. si inscrive, dunque, nella tendenza legislativa, registratasi negli ultimi anni, alla diffusione e al potenziamento dei rimedi di Alternative dispute resolution, di cui sono espressione paradigmatica le procedure di mediazione, di negoziazione assistita e di trasferimento della lite alla sede arbitrale.

In tale cornice si inserisce anche la recente riforma Cartabia attuata con il d. lgs. n. 149/2022 in attuazione della l. n. 206/2021, recante la delega al Governo per l'efficienza del processo civile, la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata, la quale ha ampliato e reso più vantaggioso, anche sul piano fiscale, il ricorso ai predetti mezzi di risoluzione concordata delle controversie.

La propensione del legislatore a promuovere simili forme definitorie poggia sulla consapevolezza, sempre più avvertita, che, a fronte di una crescente domanda di giustizia, anche in ragione del riconoscimento di nuovi diritti, la giurisdizione sia una risorsa non illimitata e che misure di contenimento del contenzioso civile debbano essere messe in opera (Corte cost., 19 aprile 2018, n. 77).

Il favor per la risoluzione concordata delle liti, sia essa affidata al giudice od a soggetti estranei all'ordine giudiziario, risponde, dunque, principalmente all'esigenza pubblicistica di deflazione del carico degli uffici giudiziari, strumentale all'interesse generale dell'ordinamento, rilevante anche sul piano costituzionale, alla ragionevole durata del processo (Corte cost., 21 dicembre 2023, n. 202 cit.).

In tale ottica, la conciliazione giudiziale assume dunque un fondamentale rilevanza, atteso che, per mezzo dell'attività del giudice svolta in posizione di terzietà, le parti addivengono ad un accordo sulla res controversa produttivo di effetti sostanziali e processuali, coincidenti, rispettivamente, con l'attuazione del rapporto giuridico in contesa secondo l'assetto concordato e con la cessazione del processo in corso e la formazione di un titolo esecutivo.

Conseguentemente, la conciliazione giudiziale, pur offrendo la possibilità di una risoluzione conveniente e rapida delle controversie nel processo analoga a quella realizzata in sede extragiudiziaria dalla Alternative Dispute Resolution – (Cort cost., 29 maggio 2013, n. 110) – non si traduce, quindi, soltanto in una definizione negoziata della lite, essendo le determinazioni delle parti coadiuvate dall'intervento dell'organo giurisdizionale.

Il giudice quando esperisce il tentativo di conciliazione ex artt. 185 e 420 c.p.c. o formula la proposta conciliativa ex art. 185-bis c.p.c., esercita, infatti, una funzione che, pur essendo riconducibile all'aequitas, intesa come giustizia del singolo caso sottoposto al suo esame, costituisce comunque l'estrinsecazione della potestà giurisdizionale e, per tale ragione, rinviene nella imparzialità, costituzionalmente sancita, una fondamentale garanzia.

Aggiungasi che al giudice compete sia di verificare ex ante che la conciliazione verta su situazioni giuridiche soggettive disponibili, sia di convalidare ex post il regolamento di interessi divisato nell'accordo che pone fine al giudizio.

Tali connotati strutturali ed effettuali si rinvengono anche nella fattispecie disciplinata dall'art. 696-bis c.p.c. in quanto, la definizione concordata della lite si inserisce in un articolato procedimento in cui l'attività conciliativa è svolta dal consulente tecnico sotto la direzione del magistrato ed è preceduta e seguita da statuizioni giudiziali.

Al giudice è, in primo luogo, demandata la verifica dei presupposti di ammissibilità della consulenza, la quale investe, da un lato, la non manifesta inammissibilità od infondatezza delle domande oggetto della eventuale futura causa, e, dall'altro, la rilevanza, rispetto al potenziale giudizio di merito, dei fatti per i quali si richiede l'indagine peritale, nonché la effettiva necessità di ricorrere alle conoscenze esperte per il relativo accertamento.

Lo stesso giudice deve, inoltre, verificare se la controversia, come sommariamente delineata nel ricorso ex art. 696-bis c.p.c., si presti ad una soluzione conciliativa, e che non siano ravvisabili ostacoli giuridici alla conclusione di un accordo transattivo.

Il giudice se ammette la consulenza, deve nominare l'esperto e formulare i quesiti in modo da circoscrivere l'incarico peritale alla sola verifica dei fatti rilevanti e necessitanti di valutazione tecnico-scientifica, ovvero alla loro diretta percezione, quando si tratti di elementi fattuali che solo un tecnico sia in grado di accertare per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone (ex multis, Cass. civ., sez. VI, 3 luglio 2020, n. 13736; Cass. civ., sez. II, 22 gennaio 2015, n. 1190).

Nel caso in cui il tentativo di conciliazione produca esito positivo, al giudice spetta l'ulteriore pregnante verifica – che concerne la disponibilità delle posizioni soggettive investite dalla transazione e la conformità dell'accordo raggiunto ai presupposti della consulenza tecnica preventiva – prodromica all'attribuzione al verbale di conciliazione dell'efficacia propria del titolo esecutivo.

Tale articolato procedimento risponde alla specifica esigenza della parte interessata di conseguire la soddisfazione dei propri diritti ed interessi disponibili senza accedere al giudizio contenzioso.

Analogamente alla conciliazione giudiziale, la composizione della lite raggiunta in seno al procedimento ex art. 696-bis c.p.c. non costituisce un'alternativa alla tutela giurisdizionale, ma una diversa forma con la quale la giurisdizione realizza la propria funzione.

Pertanto, la consulenza tecnica preventiva consente una tutela complementare a quella accordata attraverso la decisione giudiziale, costituendo una peculiare declinazione del diritto di azione garantito dall'art. 24 Cost., senza che a tale inquadramento osti la natura processuale dell'interesse protetto ( Corte cost., 21 dicembre 2023, n. 202 cit. ) o l'assenza di contenuto decisorio nelle statuizioni giudiziali che impostano l'accertamento tecnico e la conciliazione che ne scaturisce.

Le considerazioni cui è pervenuto il giudice delle leggi riassuntivamente esposte, hanno consentito al medesimo di giungere alla conclusione che, la limitazione dell'ambito oggettivo di operatività della consulenza preventiva operato dall'art. 696-bis c.p.c. contrasta con l'art. 3 Cost., sia sotto il profilo dell'eguaglianza, sia sotto quello della ragionevolezza, e con l'art. 24 Cost., in quanto realizza una differenziazione nella tutela dei diritti priva di una ragionevole giustificazione.

A riguardo, va precisato che la discrezionalità di cui gode il legislatore nella conformazione degli istituti processuali, incontra il limite della non manifesta irragionevolezza od arbitrarietà delle soluzioni adottate (Ex plurimis, cfr. Corte cost., 11 aprile 2023, n. 67; Corte cost., 9 dicembre 2022, n. 247; Corte cost., 15 novembre 2022, n. 230; Corte cost., 24 marzo 2022, n. 76; Corte cost., 11 novembre 2021, n. 213).

La ragione giustificatrice dell'art. 696-bis c.p.c. va infatti rinvenuta nell'esigenza di aggiungere alla tutela giurisdizionale una forma complementare di attuazione dei diritti, per mezzo della quale il conflitto è definito in via negoziale, ma all'esito di un apposito procedimento nel quale la conciliazione è coadiuvata dall'esperto in posizione di terzietà ed è impostata, diretta e convalidata dal giudice.

In questa cornice, per la Consulta, la scelta di limitare lo strumento in esame alle sole controversie relative ai crediti ex contractu ed ex delicto, così privando delle peculiari utilità connesse al suo esperimento i titolari di tutti gli altri crediti di fonte diversa, non rinviene né nel titolo né nel contenuto dei diritti ammessi una valida ragione di diversificazione.

Infatti la previsione contenuta nell'art. 696-bis c.p.c. palesa un deficit di ragionevolezza strumentale, posto che la selezione delle fattispecie ammesse al rimedio si rivela eccessiva – sacrificando inutilmente ed arbitrariamente la posizione dei titolari dei crediti esclusi – rispetto alla legittima finalità di contenere l'impiego dell'istituto in modo da evitare approfondimenti tecnici inutili o meramente esplorativi.

Pertanto, muovendo dalla nozione giuridica unitaria dell'obbligazione, che si identifica autonomamente, a prescindere dalla fonte dalla quale essa scaturisce, è possibile affermare che le obbligazioni correlate ai diritti di credito esclusi dall'art. 696-bis, comma 1, primo periodo c.p.c. condividono con quelle collegate ai crediti dallo stesso ammessi la substantia di specifici obblighi giuridici, in forza dei quali, un soggetto è tenuto ad una determinata prestazione patrimoniale per soddisfare l'interesse di un altro soggetto.

Ciò comporta che, per i titolari dei crediti non ricompresi nell'ambito applicativo dell'art. 696-bis c.p.c., la delimitazione oggettiva operata dal comma 1, primo periodo, inevitabilmente si traduce nella negazione di una forma di tutela dotata di specifica utilità non surrogabile dalle pur contigue misure di composizione alternativa delle liti, così determinando un'ingiustificabile compressione del diritto di agire (Cfr. Corte cost., 22 giugno 2021, n. 128; Corte cost., 5 maggio 2021, n. 87 cit.; Corte cost., 13 dicembre 2019, n. 271; Corte cost., 5 dicembre 2018, n. 225; Corte cost., 3 marzo 2016, n. 44).

In sintesi secondo Corte cost., 21 dicembre 2023, n. 222, l'art. 696-bis, comma 1, primo periodo c.p.c. ammettendo la consulenza tecnica preventiva per i soli crediti derivanti dalla mancata od inesatta esecuzione di obbligazioni di fonte contrattuale o da fatto illecito, e non anche per tutti i diritti di credito derivanti da ogni altro atto o fatto idoneo a produrli in conformità dell'ordinamento giuridico, secondo la indicazione fornita dall'art. 1173 c.c., dà luogo ad una differenziazione priva di una ragionevole giustificazione ed alla correlata violazione, in danno dei titolari dei crediti esclusi, della garanzia ex art. 24 Cost., cui non osta l'ampia discrezionalità del legislatore in ambito processuale.

La reclamabilità del provvedimento di diniego della nomina del c.t.u. nel procedimento ex art. 696-bis c.p.c.

Nell'attuale quadro emergente a seguito degli interventi del giudice delle leggi è possibile la reclamabilità del provvedimento di rigetto dell'istanza per l'assunzione preventiva dei mezzi di prova di cui agli artt. 692 e 696 c.p.c., (Corte cost., 16 maggio 2008, n. 144 cit.) cui si è aggiunta la reclamabilità del provvedimento di rigetto dell'istanza per l'espletamento di una consulenza tecnica preventiva ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c. per effetto della dichiarazione di incostituzionalità affermata dal giudice delle leggi (Corte cost., 10 novembre 2023, n. 202).

Il nuovo intervento della Consulta si è reso necessario in quanto, il provvedimento con il quale il giudice denega, per ragioni di merito o di rito, la nomina del consulente tecnico preventivo ai fini della composizione della lite non è impugnabile, a ciò ostando in modo inequivoco il tenore letterale dell'art. 695 c.p.c. laddove stabilisce che il giudice provvede con ordinanza non impugnabile e che, trova applicazione anche per l'istituto in esame, in quanto richiamato per l'accertamento tecnico preventivo dall'art. 696, comma 3, c.p.c., e, per il tramite di questo, anche dall'art. 696-bis c.p.c.

Né a una diversa conclusione era possibile pervenire in forza della declaratoria di illegittimità costituzionale della predetta norma, unitamente all'art. 669-quaterdecies c.p.c., nella parte in cui non prevede il rimedio del reclamo cautelare, poiché la portata dell'addizione è stata limitata dalla precedente pronuncia del giudice costituzionale (Corte cost., 16 maggio 2008, n. 144) ai ricorsi proposti ai sensi degli artt. 692 e 696 c.p.c., che riguardano, rispettivamente, l'assunzione preventiva di testimoni e l'accertamento tecnico preventivo, nonostante l'istituto della consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite all'epoca fosse stato già introdotto nel nostro ordinamento dalla l. n. 80/2005.

Il ragionamento seguito dalla Consulta muove dal fatto che il diritto di agire in giudizio è sancito dall'art. 24 Cost. come diritto inviolabile, e che in attesa della decisione della causa, il riconoscimento della facoltà di impugnazione, mediante reclamo, del provvedimento del giudice, pur non definitivo né decisorio, può talora costituire la necessaria implicazione della garanzia costituzionale del diritto di agire in giudizio per la tutela di un diritto.

In questa logica è introdotto, in via generale, il reclamo contro i provvedimenti cautelari di cui all'art. 669-terdecies c.p.c. con la precisazione che l'estensione dell'area della reclamabilità di provvedimenti non ricorribili per Cassazione ha registrato un significativo ampliamento nella recente riforma processuale, di cui al d. lgs. n. 149/2022, che all'art. 3, comma 13, lett. d), ha previsto il rimedio del reclamo di cui all'art. 669-terdecies c.p.c. avverso i provvedimenti finanche privi di natura cautelare, come le ordinanze anticipatorie di accoglimento e di rigetto della domanda rese nel corso del giudizio ordinario di cognizione pronunciate ai sensi degli artt. 183-bis e 183-ter c.p.c.

Di contro, ai procedimenti di istruzione preventiva, pur appartenendo al genus dei procedimenti cautelari, non si applicavano – per espresso disposto dell'art. 669-quaterdecies c.p.c., prima della già richiamata pronuncia della Consulta Corte cost., 16 maggio 2008, n. 144 – le disposizioni comuni di cui alla Sezione I con l'eccezione dell'art. 669-septies c.p.c. (Corte cost., 5 maggio 2021, n. 87 cit.) e, quindi, neppure quella che consentiva il reclamo avverso i relativi provvedimenti.

Sta di fatto che, il provvedimento del giudice, che rigetta o dichiara inammissibile la richiesta di espletamento di una consulenza tecnica ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c., priva definitivamente la parte di una importante facoltà processuale diretta alla possibile composizione della lite, arrecando al diritto di agire in giudizio ex art. 24, comma 1, Cost. una compromissione anche maggiore del rigetto di un accertamento tecnico ai sensi dell'art. 696 c.p.c., provvedimento, quest'ultimo, ormai divenuto reclamabile a seguito della richiamata pronuncia di illegittimità costituzionale (Corte cost., 16 maggio 2008, n. 144 cit.).

Ciò non senza considerare l'importanza degli interessi in gioco per effetto della crescente espansione dell'applicazione dell'istituto in parola – cfr. l'art. 8, commi 1 e 2, della l. n. 24/2017, recante disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie – voluta dal legislatore il quale ha prescritto che colui il quale intenda esercitare un'azione, dinanzi al giudice civile, relativa ad una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria è tenuto preliminarmente a proporre il ricorso ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c., quale condizione di procedibilità della domanda di risarcimento.

La previsione, dunque, della possibilità di proporre una domanda di fronte a un giudice senza potere contestare dinanzi ad un giudice diverso le ragioni che hanno condotto ad un provvedimento di diniego si pone in contrasto con il diritto di agire e difendersi in giudizio sancito dall'art. 24, commi 1 e 2 Cost. e con il canone di ragionevolezza di cui all'art. 3, comma 1, Cost.

In questo caso, fermo restando che nell'ordinamento italiano il doppio grado di giudizio non è costituzionalmente prescritto nel processo civile (Cfr. Corte cost., 26 marzo 2020, n. 58), ad assumere rilevanza è la compatibilità costituzionale della mancata previsione di qualsivoglia strumento di controllo avverso un provvedimento, quale è il diniego di nomina del consulente tecnico a fronte del ricorso di cui all'art. 696-bis c.p.c., avverso il quale, non è ammesso il ricorso straordinario per cassazione poiché esso non decide su un diritto soggettivo o su uno status nel senso dinanzi indicato e che, tuttavia, incide sulla tutela dell'interesse giuridico del ricorrente ad accedere alla definizione concordata di una possibile controversia, previa risoluzione, con l'ausilio del consulente nominato dal giudice, delle questioni tecniche in fatto controverse tra le parti (Corte cost., 5 maggio 2021, n. 87 cit.).

Da qui discende – chiosa il giudice delle leggi – pertanto, che la perdita del diritto della parte ricorrente alla chance di svolgere, mediante la nomina di un consulente ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c., un approfondimento tecnico nell'ambito di un procedimento mirato ad evitare l'instaurazione di un lungo e dispendioso giudizio contenzioso, debba essere presidiata da uno strumento di gravame, quale è il reclamo avverso il provvedimento di rigetto.

Vi è quindi che il diritto della parte istante a contestare le statuizioni di provvedimenti di rigetto inidonei alla formazione del giudicato, e che tuttavia determinano a carico della stessa un pregiudizio a diritti – sostanziali o processuali – del medesimo, costituisce una componente essenziale ed insopprimibile del diritto di difesa, in quanto si tratta di misure che non sono sottoposte ad alcuna ulteriore forma di controllo, neppure in sede di legittimità (Corte cost., 5 maggio 2021, n. 89).

In simili casi, la compressione della tutela giurisdizionale, in assenza di un reclamo dinanzi ad altro giudice contro un provvedimento di diniego, diventa non tollerabile al punto da trasmodare in violazione dell'art. 24 Cost. (Corte cost., 29 novembre 2002, n. 493).

Né ha rilievo la circostanza che il ricorso potrebbe essere riproposto a fronte dell'ordinanza di rigetto, avendo già in più occasioni la Consulta sottolineato che non vi è equivalenza, quanto a qualità della tutela giurisdizionale, tra la riproponibilità dell'istanza al medesimo giudice che già l'abbia respinta e la reclamabilità davanti ad un altro giudice (Corte cost.,29 novembre 2002, n. 493; Corte cost., 23 giugno 1994, n. 253).

L'espansione dell'applicabilità del procedimento di istruzione preventiva finalizzato alla conciliazione dopo l'interpretazione del giudice delle leggi

Il legislatore ha scelto di collocare l'istituto della consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, ex art. 696-bis c.p.c., nella Sezione IV, del Capo III, del Titolo I, del Libro IV del codice di procedura civile dedicata ai provvedimenti di istruzione preventiva, precisando che la relativa disciplina processuale è modellata su quella dell'accertamento tecnico preventivo per la quale, a propria volta, l'art. 696, comma 3 rinvia all'art. 695 c.p.c.

Quest'ultima norma, tuttavia, in combinato disposto con l'art. 669-quaterdecies c.p.c., come già volte evidenziato, è stata da tempo dichiarata costituzionalmente illegittima proprio nella parte in cui non contempla il rimedio del reclamo cautelare contro gli altri provvedimenti di diniego emessi a fronte di un ricorso in tema di istruzione preventiva, ovvero l'assunzione di testimoni e l'accertamento tecnico preventivo (Corte cost., 16 maggio 2008, n. 144 cit.).

Talché la mancata previsione del medesimo strumento di controllo anche nei confronti della misura con la quale il giudice disattenda il ricorso della parte volto alla nomina di un consulente tecnico ex art. 696-bis c.p.c. si traduce, sul piano dell'art. 3 Cost., in una diseguaglianza nei mezzi di tutela contemplati per provvedimenti che, per scelta ex ante del legislatore, sono tutti ricondotti nel più ampio genere dell'istruzione preventiva.

Tale comparazione orienta la reductio ad legitimitatem della norma censurata, individuata, nel verso prospettato dal Tribunale rimettente, nella proponibilità del reclamo di cui all'art. 669-terdecies c.p.c. avverso il provvedimento di rigetto.

La Corte costituzionale aveva del resto già riconosciuto, evidenziandone il carattere espansivo (Corte cost., 28 gennaio 2010, n. 26), che le norme sul procedimento cautelare uniforme esprimono principi generali dell'ordinamento, ai quali occorre fare riferimento per colmare le eventuali lacune della disciplina di procedimenti ispirati alla medesima ratio.

In estrema sintesi, ed in una prospettiva di equivalenza delle garanzie – ossia di identità del rimedio impugnatorio a fronte di provvedimenti di analogo contenuto sul piano effettuale – il duttile rimedio del reclamo contemplato dall'art. 669-terdecies c.p.c. si presta ad essere esteso, negli stessi termini, anche a provvedimenti privi di natura d'urgenza, ma altrettanto meritevoli di tutela sotto il profilo tanto sostanziale che processuale.

Conclusioni

Con la pronuncia Corte Cost., 10 novembre 2023, n. 202, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 669-quaterdecies e 695 c.p.c., nella parte in cui non consentono di utilizzare lo strumento del reclamo, previsto dall'art. 669-terdecies c.p.c., avverso il provvedimento che rigetta anche per ragioni di inammissibilità il ricorso per la nomina del consulente tecnico preventivo ai fini della composizione della lite di cui all'art. 696-bis c.p.c. mentre con la successiva pronuncia Corte Cost., 21 dicembre 2023 n. 222, la Consulta dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 696-bis, comma 1, primo periodo, c.p.c. nella parte in cui dopo le parole – da fatto illecito – non prevede o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrli in conformità dell'ordinamento giuridico.

Le due pronunce emesse nel 2023 dal giudice costituzionale emesse a distanza di circa un mese l'una dall'altra, hanno come effetto immediato da un lato, l'estensione dell'applicabilità dello strumento del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. previsto per i procedimenti cautelari a quello di istruzione preventiva contemplato dall'art. 696-bis c.p.c. avverso il provvedimento che rigetta la richiesta di nomina del consulente tecnico preventivo e, dall'altro, quello di estendere l'area di applicazione della norma a qualsiasi tipologia di credito, dunque non solo a quelli derivanti dalla mancata od inesatta esecuzione di obbligazioni di fonte contrattuale o da fatto illecito, ma anche per i diritti di credito derivanti da ogni altro atto o fatto idoneo a produrli in conformità dell'ordinamento giuridico, secondo l'indicazione fornita dall'art. 1173 c.c. 

In buona sostanza, la corretta applicazione della consulenza tecnica preventiva contemplata dall'art. 696-bis c.p.c. non tollera indebite limitazioni dell'ambito oggettivo di operatività della stessa poiché contrastanti con l'art. 3 Cost., sia sotto il profilo dell'eguaglianza, sia sotto quello della ragionevolezza, e con l'art. 24 Cost., in quanto si presterebbe a realizzare una differenziazione nella tutela dei diritti non supportata da una ragionevole giustificazione.

Conseguentemente la scelta legislativa di limitare lo strumento in esame alle sole controversie relative ai crediti ex contractu ed ex delicto, escludendo i titolari di tutti gli altri crediti di fonte diversa rivela il contrasto con i suddetti principi costituzionali, laddove si consideri che il provvedimento del giudice, con il quale si rigetta o dichiara inammissibile la richiesta di espletamento di una consulenza tecnica ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c., priva definitivamente la parte che potrebbe avere ragione di una importante facoltà processuale diretta alla possibile composizione della lite, contestualmente arrecando un significativo vulnus al diritto di agire in giudizio.

Riferimenti

  • V. Ansanelli, Ampliamento dell'ambito di operatività della consulenza tecnica preventiva. Fra composizione della lite e diritto di agire, in Giur. cost., 2023, 2594 e ss;
  • L. Bianchi, La Corte costituzionale introduce il reclamo contro il rigetto dell'istanza di consulenza tecnica preventiva con finalità conciliativa, in Il giusto processo civile, 2024, 135 e ss.;
  • F. Ciaccafava, La consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite: natura del procedimento, spese e procedibilità, 9 settembre 2024, in ntplusdiritto;
  • L. Galanti, Una nuova estensione del reclamo cautelare: il rigetto del ricorso ex art. 696-bis c.p.c., in Giur. it., 2024, 1570 e ss.;
  • A. Romano, Reclamabile l'ordinanza di rigetto del ricorso ex art. 696-bis c.p.c., in Giur. It., 2024, 823 e ss.;
  • G. M. Sacchetto, La reclamabilità del diniego di consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c., in Giur. it., 2020, 1113 e ss;
  • F. Tedioli, La Corte Costituzionale interviene ampliando l’oggetto di consulenza tecnica preventiva, 16 gennaio 2024, in eclegal.it.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario