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Legittimo il licenziamento comunicato al lavoratore tramite il portale cloud che tracciava le comunicazioni aziendali

04 Febbraio 2025

La Corte di Appello di Milano ha stabilito che la comunicazione del licenziamento al lavoratore può essere legittimamente effettuata tramite il portale cloud aziendale. Sono l'assegnazione al lavoratore di credenziali di accesso personali e riservate e la tracciabilità della comunicazione i punti che equiparano l’utilizzo del cloud ai sistemi tradizionali. L’adozione di tecnologie digitali nel contesto lavorativo costituisce un mezzo efficace per ottimizzare la gestione di numerosi processi aziendali, garantendo al contempo la compliance alle normative vigenti, tracciabilità e sicurezza. 

Massima

È legittimo l’utilizzo della piattaforma cloud aziendale per comunicare il licenziamento del dipendente, a patto che siano rispettati alcuni requisiti fondamentali quali l’utilizzo della forma scritta, la comunicazione trasmessa e pervenuta nella sfera di conoscibilità del lavoratore ricorrente e da questi effettivamente letta. In particolare, il portale cloud aziendale utilizzato dal datore di lavoro consentiva la tracciabilità delle comunicazioni, registrando data e ora della presa visione dei singoli documenti, oltre all’identificativo dell’utente che ha consultato la documentazione.

Il caso

Un dipendente con mansioni di autista viene licenziato per giusta causa a seguito di diverse contestazioni disciplinari per danni cagionati alla circolazione stradale nell’espletamento della sua attività lavorativa. Nell’ultima contestazione che dà luogo al licenziamento, il datore di lavoro gli contesta di non aver fornito ai propri superiori i dettagli del sinistro, nonostante i ripetuti solleciti, e di non essersi fermato, a seguito del richiamo della polizia, durante la marcia. Il dipendente impugna il licenziamento sotto molteplici profili, contestando in particolare: la legittimità/validità del licenziamento per le modalità di comunicazione del provvedimento, essendo avvenuto mediante piattaforma cloud aziendale, il mancato rispetto della procedura imposta dallo Statuto dei Lavoratori e la proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto ai fatti contestati sulla base delle norme del CCNL applicabile.                                                                                                                                                                                         

In primo grado, il Tribunale di Milano respinge il ricorso, riconoscendo la sussistenza della giusta causa, la legittimità del licenziamento e la sua proporzionalità. Il ricorrente propone appello, e la società resiste, reiterando la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni cagionati alla vettura aziendale.                                                                                                                                                                                                

La questione

È possibile comunicare il licenziamento al dipendente mediante piattaforma cloud aziendale? Quali sono i requisiti?

Le soluzioni giuridiche

La Corte d'Appello di Milano, con la Sentenza n. 647 del 2 settembre 2024 ha sancito la legittimità della piattaforma cloud per comunicare il licenziamento del dipendente, a patto che siano rispettati alcuni requisiti fondamentali. Nel caso di specie, dalle risultanze di causa emerge che la comunicazione di licenziamento fosse avvenuta in forma scritta, trasmessa e pervenuta nella sfera di conoscibilità del lavoratore ricorrente e, da questi effettivamente letta. In particolare il portale cloud aziendale consentiva la tracciabilità delle comunicazioni, registrando data e ora della presa visione dei singoli documenti, oltre all'identificativo dell'utente che ha consultato la documentazione; tale sistema consentiva di caricare i documenti da recapitare ai lavoratori su un cloud (server condiviso), cui si poteva accedere solo tramite utilizzo di credenziali personali crittografate (così garantendo la riservatezza degli accessi); quando un lavoratore vi effettuava l'accesso, il suo status cambiava, risultando “collegato”; dunque, il sistema era in grado di rilevare se e quando una comunicazione fosse stata letta dal destinatario interessato.

Già il Tribunale, nel precedente grado di giudizio, aveva rilevato che l'unica prescrizione individuata dall'art. 2, comma 1, l. n. 604 del 1966 è che il licenziamento sia comunicato per iscritto e pertanto “in tale scenario non può, in linea di principio, escludersi che anche l'utilizzo di una piattaforma telematica possa assolvere al fine legislativo, sempre che venga garantita, alla stregua di altre forme ordinarie e più usuali (la raccomandata piuttosto che la consegna a mani nel luogo di lavoro), una modalità di accesso alla piattaforma da parte del dipendente che, da un lato, ne preservi la sfera privata e, dall'altro, la piena consapevolezza che in detta piattaforma vengano veicolate tutte le comunicazioni relative al rapporto di lavoro, configurandosi così un onere del lavoratore di prenderne tempestivamente ed adeguatamente visione". Il Tribunale ha osservato che l'istruttoria testimoniale esperita sul punto ha confermato che la modalità utilizzata dal datore di lavoro per tutte le comunicazioni ai dipendenti non si presta ad alcun profilo di censura, preservando, con l'utilizzo di credenziali di accesso personali, il diritto di riservatezza e, dall'altro, fornendo un mezzo assolutamente idoneo a garantire la conoscibilità di dette comunicazioni. Il Tribunale, inoltre, ha rilevato che il ricorrente poi nulla ha contestato in merito al fatto che il portale “Dipendenti in Cloud” fosse effettivamente il canale di comunicazione con il datore di lavoro; ha poi affermato che risulta documentalmente che tutte le contestazioni disciplinari siano state caricate nella piattaforma e che siano state tutte visualizzate dal ricorrente: "l'ultima delle quali in data 13/9/2022 e visualizzata dal ricorrente nella medesima data ad ore 19:19" ; anche il licenziamento disciplinare era stato caricato nel portale in data 16/9/2022 ad ore 20:35 e letto dal dipendente ad ore 18:23 del 21/09/2022, risultando così prova della piena conoscenza dell'atto. In successive comunicazioni per iscritto, il dipendente ha poi riferito a diversi colleghi di aver ricevuto, tramite portale cloud, la comunicazione di licenziamento. Trattandosi di atto unilaterale recettizio, il licenziamento é produttivo di effetti dal momento in cui entra a far parte della c.d. “sfera di conoscibilità” del destinatario. Le registrazioni effettuate dal sistema e la tracciabilità garantita da quest'ultimo rispondono, quindi, ai criteri indicati all'art. 1335 c.c. Sul tema, il c.d. “Decreto Trasparenza” ha legittimato la trasmissione dei contratti di lavoro in formato elettronico, ritenendoli validi ai fini dell'adempimento degli obblighi informativi del datore di lavoro, purché ne sia garantita la tracciabilità. Le soluzioni integrate disponibili possono dunque, con i dovuti accorgimenti, veicolare non solo i contratti di assunzione o le successive modifiche ed integrazioni a questi ultimi: persino la comunicazione di licenziamento può essere trasmessa tramite sportelli cloud o folder organizzativi. Anche in sede di gravame, i Giudici sono concordi nel ritenere che un licenziamento può essere comunicato anche tramite caricamento della relativa comunicazione su portale cloud. Tale conclusione è perfettamente in linea con i principi ribaditi dalla giurisprudenza, la quale, partendo dall'assunto per cui, ai fini della legale conoscenza delle comunicazioni ricettizie è necessario che le stesse entrino nella sfera di conoscibilità del recipiente, il licenziamento può essere comunicato anche tramite messaggio WhatsApp.

A detta della Corte, i fatti contestati e provati appaiono gravi e in grado di ledere irreversibilmente l'elemento fiduciario che sta alla base del rapporto di lavoro e, pertanto, sufficiente a giustificare il licenziamento. Quanto alla proporzionalità del licenziamento rispetto ai fatti contestati: dalle risultanze dell'istruttoria testimoniale e degli ulteriori elementi probatori raccolti in corso di causa risultava che il lavoratore ricorrente non si era fermato in entrambi i sinistri che avevano preceduto il licenziamento e che, pur a fronte di ripetute richieste di informazioni/documenti necessari a ricostruire le vicende, egli ometteva sistematicamente di fornire ai suoi superiori i dettagli dell'accaduto. A tal proposito, la Corte d'Appello richiama i consolidati principi in materia di idoneità di ogni singola condotta, individualmente considerata e pur a fronte di una pluralità di fatti contestati, a giustificare il licenziamento, con conseguente “ribaltamento” dell'onere della prova a carico del lavoratore che sostiene che i fatti, solo se presi in considerazione complessivamente, possono assurgere a gravità tale da dar luogo al provvedimento espulsivo. Inoltre, la Corte concorda con il Tribunale sull'impossibilità di ascrivere la fattispecie oggetto del giudizio a condotta meritevole di una semplice sanzione conservativa ai sensi della disciplina prevista dal CCNL applicato.

Per quanto riguarda i vizi procedurali e le conseguenze ex D.Lgs. 23/2015, la Corte ribalta le conclusioni cui era pervenuto il Tribunale. Mentre in primo grado, infatti, il Giudice aveva ritenuto tardiva la censura del ricorrente sul mancato rispetto del termine di 5 giorni che, ai sensi dell'art.7 dello Statuto dei Lavoratori, deve intercorrere tra le giustificazioni del lavoratore e il provvedimento sanzionatorio, secondo i Giudici di Seconde Cure, invece, la doglianza risulta tempestivamente presentata nel ricorso introduttivo del giudizio. Da ciò, la Corte, in applicazione di quanto disposto dall'art art. 4 d.lgs. n. 23/2015 e tenuto conto anche della durata complessiva del rapporto di lavoro e di tutte le circostanze del caso, riforma la sentenza di primo grado, accertando la violazione procedurale e condannando la Società datrice di lavoro al pagamento, in favore del lavoratore, di una indennità risarcitoria pari a due mensilità dell'ultima retribuzione utile al calcolo del TFR.

In riferimento alla probatio diabolica in tema di risarcibilità dei danni da circolazione stradale, la Società datrice propone appello incidentale per chiedere nuovamente il rimborso delle sanzioni pecuniarie versate in conseguenza dei sinistri stradali commessi dall'ex dipendente, nonché la condanna di quest'ultimo al pagamento delle penali stabilite dal regolamento aziendale. Partendo dall'esito degli accertamenti della Corte, riformando parzialmente la decisione di primo grado, riconoscono alla datrice di lavoro il pagamento di una somma per il rimborso solo di alcune delle penali e delle contravvenzioni oggetto del giudizio, per mancanza di prova certa dell'ascrivibilità di tutte le contravvenzioni al medesimo lavoratore.

Dal provvedimento risulta che la Società abbia prodotto solo in secondo grado i bonifici effettuati in relazione alle fatture emesse, in quanto i pagamenti sembrano essere avvenuti solo successivamente all'introduzione del giudizio di primo grado. Nella sentenza si legge che: “il confronto fra preventivi, fatture e pagamenti effettuati non appare univoco ed omogeneo, risultando diversità nei danni riscontrati e nelle somme esposte”. A tal riguardo ci si domanda se avrebbe potuto la Corte, in applicazione dei poteri officiosi tipici del processo del lavoro, ri-quantificare la somma richiesta dal datore di lavoro in primo grado, tenendo esclusivamente conto delle somme effettivamente pagate in corso d'opera, dopo i primi preventivi. La risposta non è di semplice soluzione poiché, secondo la giurisprudenza in tema di danni da circolazione stradale, trattandosi di esborsi non è ammessa una liquidazione in via equitativa. Inoltre, in tale ambito è bene ricordare che, anche laddove quietanzata, una fattura può essere contestata nel suo importo: il percorso, quindi, per ottenere il risarcimento di tali danni, seppur provati nell'an, è poco agevole per ciò che riguarda la prova della loro quantificazione.

Titoletto esplicativo: Le registrazioni effettuate dalla piattaforma cloud e la tracciabilità garantiti da quest'ultimo rispondono ai criteri indicati all'art. 1335 c.c.

Osservazioni

Oggi, a causa dell'enorme diffusione dei social media e di una elevatissima informatizzazione, è cambiato anche il modo con cui effettuare comunicazioni aziendali. Ciò ha fatto sì che alcune comunicazioni, relative ad esempio ai turni di lavoro o anche ai provvedimenti disciplinari, vengano effettuate tramite l'invio di una semplice e-mail oppure tramite messaggi Whatsapp o altri social network. Ci si domanda a quali condizioni è legittimo il ricorso a modalità di comunicazione “alternative” rispetto a quelle tradizionali. Per rispondere a questa domanda bisogna valutare se: le comunicazioni fatte su un supporto diverso da quello tradizionale, ovvero il cartaceo, siano idonee a garantire la forma scritta del licenziamento, quale elemento essenziale e imprescindibile previsto dall'art. 2 L. 604/66 a pena di nullità; inoltre i mezzi citati consentano al dipendente di venire a conoscenza del licenziamento (quale atto unilaterale recettizio) e al datore di lavoro di dimostrare l'avvenuta ricezione della comunicazione.

Secondo l'art. 2 l. 604/1966 «il datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro. La comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato. Il licenziamento intimato senza l'osservanza delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è inefficace».

Il legislatore, dunque, nulla specifica circa le modalità di comunicazione del licenziamento; a fronte del silenzio legislativo, la giurisprudenza ha ritenuto che si debbano considerare valide tutte quelle modalità che comportino la «trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità e che diano, dunque, certezza del fatto che esso sia venuto a conoscenza del lavoratore e del momento di tale conoscenza, in quanto il licenziamento è un atto unilaterale recettizio che produce i suoi effetti una volta giunto a conoscenza del destinatario» (Cass. 23061/2007).

Poiché il licenziamento è un atto unilaterale recettizio, trova applicazione l'art. 1335 c.c. secondo cui «la proposta, l'accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all'indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell'impossibilità di averne notizia».

Si tratta di una presunzione legale di conoscenza fondata sulla prova che la comunicazione sia entrata nella sfera di conoscibilità del destinatario essendo pervenuta al suo indirizzo, presunzione che può essere superata soltanto fornendo la prova contraria dell'impossibilità del lavoratore di averne notizia senza sua colpa (Cass. 15397/2023). 

Vi sono alcune modalità tradizionalmente considerate idonee a dimostrare l'invio della comunicazione all'indirizzo del lavoratore. Sicuramente la consegna a mani tramite persona incaricata dal datore di lavoro, controfirmata per ricevimento dal lavoratore, è un mezzo che consente al datore di dimostrare l'avvenuta ricezione della comunicazione di licenziamento. Analogamente la raccomandata, il telegramma e la posta elettronica certificata consentono al datore di adempiere e provare sia il rispetto della prescrizione della forma scritta che l'effettivo invio e ricezione della comunicazione indirizzata al lavoratore.

Secondo consolidata giurisprudenza, peraltro, la produzione in giudizio della lettera raccomandata (così come di un telegramma) con la relativa ricevuta di spedizione dall'ufficio postale costituisce – anche in mancanza dell'avviso di ricevimento – prova certa della spedizione e da essa consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell'ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo dell'atto al destinatario e della sua conoscenza a norma dell'art. 1335 c.c. (Cass. 9427/2023; Cass. 11116/2019).

Con un Provvedimento del 2017, la Suprema Corte ha affrontato il caso di un licenziamento intimato tramite e-mail partendo dalla premessa, consolidata in giurisprudenza, che il requisito della comunicazione per iscritto del licenziamento debba ritenersi assolto, in assenza della previsione di modalità specifiche, «con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità», quindi anche con una e-mail. È importante verificare l'operatività della presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c. affinché il datore di lavoro possa avere la certezza della ricezione della comunicazione da parte del lavoratore (Cass. 29753/2017).

Tale certezza può derivare, ad esempio, dalla risposta alla mail da parte del soggetto licenziato o dall'impugnazione del licenziamento stesso che intrinsecamente richiede la conoscenza dell'atto.

Infatti, se scopo della forma scritta è quello di far conoscere al dipendente il licenziamento, quest'ultimo non potrebbe impugnare il provvedimento ricevuto via mail senza inevitabilmente ammettere di averlo ricevuto. In sostanza, la forma scritta, anche se con modalità informatiche, ha raggiunto il suo scopo ed è, dunque, valida.

Nel caso esaminato dalla sentenza su richiamata, invece, la certezza della ricezione della comunicazione è stata desunta dalla circostanza che il dipendente – successivamente alla comunicazione del datore – aveva inviato una serie di mail ai colleghi di lavoro nelle quali raccontava dell'interruzione del suo rapporto di lavoro per volontà datoriale. Pertanto, nel caso affrontato era stato effettivamente raggiunto lo scopo dell'atto scritto di portare a conoscenza del destinatario la volontà del datore di lavoro.

Di recente ha fatto discutere la condotta tenuta da un'azienda che ha licenziato alcuni dipendenti attraverso un semplice messaggio Whatsapp, il cui invio, tra l'altro, è avvenuto durante l'orario lavorativo. Ebbene, ciò che ha fatto particolarmente discutere sono non solo le modalità attraverso cui il licenziamento è avvenuto, ma soprattutto il fatto che lo stesso è avvenuto in tronco, con obbligo immediato di lasciare la sede di lavoro e di restituire tutte le dotazioni in possesso dei singoli dipendenti.

A questo punto si pone un'altra questione, di natura squisitamente giuridica: ovvero se sia legittimo e conforme alla legge procedere al licenziamento di un dipendente attraverso un messaggio Whatsapp, che al giorno d'oggi costituisce indubbiamente una modalità di comunicazione abbastanza diffusa. Secondo quanto affermato tanto dalla legge quanto dalla giurisprudenza, rispetto alle comunicazioni per cui sia richiesta la forma scritta, non rileva affatto lo strumento attraverso cui tali comunicazioni siano state effettuate, ma risulta determinante la prova dell'effettivo ricevimento della comunicazione da parte del destinatario, nonché l'effettiva conoscenza del contenuto della stessa. In questi casi, l'onere probatorio dell'assolvimento di tale obbligo spetta al datore di lavoro che provvede al licenziamento. Qualora il dipendente, infatti, contesti lo stesso provvedimento per le modalità impiegate, asserendo la mancata ricezione dello stesso, è compito del datore di lavoro provare che il dipendente abbia effettivamente ricevuto la comunicazione. Per quanto la norma stabilisce che il licenziamento deve avvenire in forma scritta, la stessa ha una formulazione piuttosto generica. Essa, infatti, non fornisce alcuna precisazione in ordine alla tipologia di forma scritta che dev'essere impiegata, permettendo dunque l'utilizzo di diverse modalità di comunicazione. A sostegno di tale interpretazione si è altresì pronunciata la Suprema Corte di Cassazione, la quale ha dichiarato che “in tema di forma scritta del licenziamento non sussiste a carico del datore di lavoro l'onere di adoperare forme “sacramentali”, ben potendo comunicare la volontà di licenziare in forma diretta purchè chiara”. Ebbene, alla luce di quanto detto, non dovrebbero esserci dubbi circa la legittimità di un licenziamento avvenuto tramite Whatsapp. Si ricorda tuttavia che, qualora il datore di lavoro decida di impiegare questo strumento, sarà compito suo provare l'effettiva ricezione e conoscenza della comunicazione da parte del lavoratore licenziato. Fondamentale al riguardo è quanto affermato dalla giurisprudenza, la quale ha ritenuto non idonea, a fini probatori, né la doppia spunta blu nelle chat Whatsapp, né l'e-mail che conferma il ricevimento da parte del destinatario. La legittimità del licenziamento del dipendente tramite Whatsapp o tramite e-mail, tuttavia, può derivare dal fatto che il destinatario della comunicazione abbia fatto leggere la stessa ai colleghi, oppure abbia chiesto informazioni al proprio legale di fiducia per procedere alla contestazione del provvedimento adottato nei suoi riguardi. Pertanto, se il dipendente non agisce a tutela della propria posizione giuridica in seguito alla ricezione del messaggio WhatsApp, il licenziamento potrebbe essere qualificato come legittimo da parte del giudice.

Anche il licenziamento inviato tramite sms soddisfa il requisito della forma scritta se idoneo a dare certezza circa la provenienza da parte del datore di lavoro/mittente e a garantire l'intellegibilità dei contenuti della comunicazione, caratterizzati da una chiara volontà rescissoria nonostante la modalità informatica. Nei casi esaminati dai giudici di merito l'sms – definito come documento informatico sottoscritto con firma elettronica “leggera” – è stato inteso dai destinatari come l'effettiva comunicazione di un licenziamento proveniente da un'utenza telefonica aziendale, al punto che i dipendenti avevano subito provveduto alla relativa impugnazione stragiudiziale (Trib. Milano sent.  27 novembre 2018; App. Firenze sent. 05 luglio 2016, n. 629).

Come evidenziato dalla giurisprudenza esaminata, affinché sia legittimo il licenziamento comunicato con strumenti non tradizionali è necessario che emerga in maniera inequivoca la volontà datoriale di licenziare, non ci siano dubbi sulla provenienza della comunicazione da parte del datore e il relativo contenuto sia pervenuto a conoscenza del lavoratore.

Le pronunce che sono state esaminate, oltre ad affrontare una questione di particolare attualità, sono di indiscussa rilevanza soprattutto per le imprese di minori dimensioni dove è più frequente l'intimazione del recesso con modalità di comunicazione diverse dalla tradizionale lettera raccomandata.                                                                                                                                                                     

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