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Affettività è un diritto: che sia da monito per tutti gli attori protagonisti chiamati a renderla effettiva

07 Febbraio 2025

La pronuncia della Prima Sezione della Corte di cassazione è stata accolta con grande favore da parte di tutti i primi commentatori avendo rivisto i termini della questione in modo più corretto e centrato.

Massima

Non può ritenersi che la richiesta di poter svolgere colloqui intimi costituisca una mera aspettativa, essendo stato affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 10 del 2024 che tali colloqui costituiscono una legittima espressione del diritto all'affettività e alla coltivazione dei rapporti familiari e, al contrario, possono essere negati solo per “ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell'ordine e della disciplina” ovvero per il comportamento non corretto dello stesso detenuto o per ragioni giudiziarie, in caso di soggetto ancora imputato.

Il caso

Il caso trae origine dal ricorso proposto da un detenuto ristretto presso la Casa di Reclusione di Asti avverso il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza dell'Ufficio di Sorveglianza di Torino con cui si dichiarava inammissibile la sua doglianza di poter svolgere un colloquio intimo con la propria moglie.

La questione

Contro tale ordinanza, il detenuto, tramite il suo difensore, ha avanzato ricorso per cassazione lamentando la violazione di legge il vizio di motivazione. In via preliminare, la difesa ha evidenziato la ricorribilità del provvedimento in Cassazione trattandosi di una declaratoria emessa de plano ai sensi dell'art. 666 comma 2 c.p., e, quindi, senza alcuna forma di trattazione in contradditorio secondo le regole del rito di cui all'art. 35-bis ord. penit.; inoltre, il punto centrale di diritto è costituito dalla qualificazione dell'affettività, oggetto del reclamo, quale mera aspettativa e non diritto soggettivo secondo quanto stabilito dall'innovativa sentenza n. 10 del 2024 della Corte costituzionale. Laddove infatti si avallasse tale interpretazione, tuttavia, contraria ad una sentenza della Corte costituzionale, si giungerebbe ad escludere dal novero delle posizioni tutelabili giurisdizionalmente con il reclamo di cui all'art. 35-bis ord. penit. la sfera degli affetti anche intimi delle persone ristrette, disattendendo completamente quanto affermato dalla Consulta.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Prima Sezione, come del resto era stato auspicato da parte di dottrina e dei primi commentatori di tale ordinanza, il ricorso del detenuto deve essere accolto. Conformemente a precedente giurisprudenza di legittimità, la Prima Sezione sottolinea la ricorribilità delle ordinanze emesse de plano da parte della magistratura di sorveglianza ai sensi dell'art. 666 comma 2 c.p.p. e inoltre contesta la motivazione per la quale il Magistrato di Sorveglianza di Asti si è determinato per l'inammissibilità. L'interpretazione fornita dal Magistrato, in altri termini, non sarebbe corretta. Riprendendo un passaggio della sentenza n. 10 del 2024, infatti, la Cassazione sottolinea che i giudici costituzionali hanno definito l'affettività come «diritto costituzionalmente tutelato, diritto che lo stato di detenzione può comprimere quanto alle modalità di esercizio, ma non totalmente annullare, con una previsione astratta e generalizzata, che non tenga conto delle condizioni individuali del detenuto e delle sue prospettive di risocializzazione, in quanto ciò si tradurrebbe in una lesione della dignità della persona». Alla luce di ciò, risulta naturale concludere che la richiesta di poter svolgere colloqui con la propria moglie in condizioni di intimità, avanzata del detenuto ricorrente non avrebbe dovuto essere considerata una mera aspettativa, essendo stato chiaramente affermato che tali colloqui familiari sono legittima espressione del diritto all'affettività e possono essere negati solo per “ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell'ordine e della disciplina” o per il comportamento non corretto del detenuto o per ragioni giudiziarie, in caso di soggetto ancora imputato. Il reclamo, quindi, non avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile ma, essendo relativo all'esercizio di un diritto che il detenuto riteneva illegittimamente pregiudicato dal comportamento dell'istituto penitenziario di appartenenza, avrebbe dovuto essere valutato dal magistrato di sorveglianza ai sensi dell'art. 35-bis ord. penit.

Osservazioni

La pronuncia della Prima Sezione della Corte di cassazione è stata accolta con grande favore da parte di tutti i primi commentatori avendo rivisto i termini della questione in modo più corretto e centrato. Sostenere infatti che l'affettività non sia un diritto soggettivo non è giuridicamente corretto e non conforme a quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 10 del 2024: un conto è infatti la qualificazione dell'affettività come diritto soggettivo e della sua conseguente tutelabilità in giudizio dinanzi al magistrato di sorveglianza, un conto è la sua operatività nella prassi alla luce delle difficoltà operative per la mancanza di uniformità decisionale e per la carenza di spazi e di strutture adeguate. Non è ammissibile infatti sostenere che l'affettività sia una mera aspettativa e con ciò espungibile dalla sfera di tutela del reclamo di cui all'art. 35-bis ord. penit., perché ciò è stato superato dalla sentenza n. 10 del 2024 della Consulta. Tale conclusione, doverosa per la Cassazione, ha riportato la questione sugli unici binari su cui dovrebbe stare ricordando che non è questione (non più) di mettere in discussione la tutelabilità dell'affettività come diritto soggettivo del detenuto bensì quella di verificare concretamente la sua attuabilità da parte dell'amministrazione penitenziaria e chi è chiamato a monitorare l'andamento della situazione in concreto è proprio la magistratura di sorveglianza.

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