Crisi d'impresa
IlFallimentarista

Inammissibile l’accesso di una società in liquidazione alla procedura di concordato semplificato

13 Febbraio 2025

Viene annotata una pronuncia del Tribunale di Roma pronunciatasi su un tema di notevole interesse: l’applicabilità dell’istituto del concordato semplificato alle imprese in liquidazione, le quali non abbiano alcuna prospettiva di ripresa delle attività.

Massima

L'art. 25-sexies c.c.i.i., letto in combinato disposto con l'art. 12, comma 1, c.c.i.i., non prevede la possibilità di accedere al concordato semplificato per le imprese in liquidazione, e ancor prima alla composizione negoziata della crisi, in quanto lo stato di liquidazione della società costituisce motivo ostativo per l'accesso alla procedura qualora non sia prospettabile il risanamento dell'impresa mediante una ripresa dell'attività imprenditoriale.

Il caso

La vicenda, da cui la pronuncia del Tribunale di Roma trae origine, riguarda il caso di una società, nello specifico una s.r.l. in liquidazione dall'anno 2020 e precedentemente attiva per diversi anni nel settore della progettazione e costruzione per conto di terzi di quadri elettrici da utilizzarsi su macchinari e di impianti industriali, che ha introdotto ricorso ex art. 25-sexies c.c.i.i. dopo aver esperito infruttuosamente la procedura di composizione negoziata della crisi.

La società ricorrente, nel ricorso proposto, riprendendo quanto illustrato dall'esperto designato nella relazione finale a conclusione della fase delle trattative inerenti alla procedura di composizione negoziata della crisi, sottolineava che il mancato raggiungimento dell'accordo era da rinvenirsi in due motivi:

  • il mancato inserimento della transazione fiscale e previdenziale all'interno della composizione negoziata della crisi di impresa, nonostante le diverse proposte di legge;
  • la mancata volontà dell'Agenzia delle Entrate di percorrere il percorso di risanamento illustrato.

Esponeva quindi i valori dell'attivo e del passivo e formulava la proposta di concordato semplificato ai creditori corredata da un piano.

Il collegio romano, tuttavia, ha negato l'accesso alla procedura dichiarando inammissibile il ricorso per l'apertura del concordato semplificato.

Questioni giuridiche

La pronuncia in commento rappresenta un orientamento costante su un tema di notevole interesse: l’applicabilità dell’istituto del concordato semplificato alle imprese in liquidazione, le quali non abbiano alcuna prospettiva di ripresa delle attività. L’accesso al concordato semplificato, dunque, sarebbe sì consentito alle imprese in liquidazione, ma solo qualora vi sia una reale prospettiva di risanamento della impresa.

La soluzione giuridica

Il tribunale specifica, invero, le norme applicabili al caso di specie chiarendo il contenuto dei requisiti previsti dal legislatore per accedere alla procedura di concordato semplificato ex art. 25-sexies c.c.i.i.

Preliminarmente i giudici romani si soffermano sulla introduzione della procedura di concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio ricordando che a tale procedura non si può accedere in via autonoma, ma solo all'esito della composizione negoziata che, nel caso di specie, non era andata a buon fine.

Tuttavia, tale requisito non è bastevole per la proposizione di accesso alla procedura; occorrono, infatti, ulteriori condizioni previste dall'art. 25-sexies c.c.i.i., e precisamente:

  • che le trattative si siano svolte nel rispetto dei principi di correttezza e buonafede;
  • che le trattative si siano concluse con un esito negativo;
  • che le soluzioni individuate ai sensi dell'art. 23, commi 1 e 2, lett. b), non siano praticabili.

Orbene, sul punto, occorre chiarire che il tribunale ha precisato, altresì, che sebbene tali circostanze siano state richiamate nella relazione finale dell'esperto, tuttavia il medesimo tribunale non è vincolato a tale parere, potendosi discostare nella valutazione circa la sussistenza o meno dei presupposti per l'accesso al concordato semplificato.

Nel decreto, infatti, si legge che:

  •  il requisito della conduzione delle trattative secondo correttezza e buona fede esige che vi sia stata una effettiva interlocuzione con i creditori interessati dal tentativo di risanamento (quindi non necessariamente con tutti i creditori dell'impresa, ma almeno quelli le cui posizioni sono coinvolte dalla ristrutturazione del debito) e che a tali creditori sia stato sottoposto un ragionevole (nel senso di non implausibile sul piano economico e non irrealizzabile su quello giuridico) piano di risanamento, illustrato anche nei suoi profili di eventuale vantaggiosità rispetto all'alternativa liquidatoria;
  • il piano di risanamento deve aver avuto esito negativo senza colpa del debitore ma per una libera scelta di uno o più creditori che, pur se posti nella condizione di poter aderire, abbiano deciso di non farlo;
  • il piano di risanamento possa tradursi non in un qualunque schema di risoluzione della crisi dell'impresa, bensì in una delle soluzioni previste dall'art. 23, commi 1 e 2, lett. b) e cioè: 1) un contratto con uno o più creditori idoneo ad assicurare la continuità aziendale per almeno un biennio; 2) una convenzione di moratoria ex art. 62 c.c.i.i.; 3) un accordo di risanamento sottoscritto anche dall'esperto avente gli effetti del piano attestato ex art. 166; 4) un accordo di ristrutturazione dei debiti ex artt. 57,60 e 61 c.c.i.i.

Nel caso di specie, va sottolineato che la società ricorrente era una società in liquidazione a far data dall'anno 2020, e dunque, in linea di principio, essa già non avrebbe avuto i requisiti per accedere alla composizione negoziata mancando il requisito della continuità.

A maggior ragione non avrebbe potuto dunque accedere alla procedura di concordato semplificato, avendo prospettato alcuna volontà di ripresa delle attività, unica eccezione, infatti, che avrebbe reso ammissibile la procedura.

Ma nel caso della ricorrente non era possibile ritenere che potesse essere “ragionevolmente perseguibile il risanamento della impresa” come prescrive l'art. 12, comma 1, c.c.i.i., atteso che, semplicemente, non era più in essere un'attività di impresa da risanare.

Osservazioni

In termini generali, le norme relative al “Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio” risultano inserite nella Parte Prima, Titolo II, Capo II, artt. 25-sexiese 25-septiesdel codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14.

La domanda può essere presentata solo da chi in precedenza ha tentato, senza successo, la via della composizione negoziata della crisi. Pertanto, trattandosi di uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza cui si accede, non in via autonoma, ma previo tentativo di composizione negoziata della crisi, è necessario che l'impresa versi quantomeno in uno stato di insolvenza reversibile: devono permanere concrete prospettive di risanamento, rimanendo frustrato, in caso contrario, il disposto dell'art. 12, co. 1, che impone, appunto, che la composizione negoziata della crisi possa essere iniziata solo quanto «risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa».

La chiave di lettura, dunque, è la seguente: qualora una impresa si trovi in liquidazione da anni, o comunque, versi in uno stato di insolvenza irreversibile, che non consenta la ripresa dell'attività imprenditoriale, non è possibile accedere al concordato semplificato mancando il medesimo presupposto che osta all'accesso alla composizione negoziata della crisi. L'unica eccezione, pertanto, sarebbe rinvenibile nel caso in cui l'impresa, pur in liquidazione, presenti ragionevoli prospettive di risanamento.

Conclusioni

Va considerato che, nel caso di specie, lo stato di liquidazione della ricorrente è risultato ostativo per l'accesso alla procedura non essendovi alcuna prospettiva di ripresa dell'attività imprenditoriale, e ancor prima sarebbe stato ostativo per l'accesso alla composizione negoziata, tant'è che lo stesso tribunale ha sostenuto di aver considerato tale ipotesi già in sede di provvedimento di diniego della conferma delle misure protettive richieste. Inoltre, i principi di buona fede e correttezza nelle trattative non sono stati applicati, era stato proposto all'Agenzia delle Entrate uno stralcio del debito fiscale irrealizzabile sul piano giuridico per mancato richiamo della disciplina sulla transazione fiscale nella composizione negoziata e infine non risultava presentata ai creditori una delle soluzioni ex art. 23, commi 1 e 2, lett. b), c.c.i.i.

Per tali motivi il tribunale ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Tale pronuncia si pone in linea con una decisione del tribunale di Bergamo del 15 febbraio 2022, che, con riferimento ad una richiesta di accesso al concordato semplificato da parte di una impresa in liquidazione da dieci anni, ha stabilito che: «L'art. 2 del d.l. n. 118/2021 è chiaro nel riservare il procedimento di composizione negoziata alle ipotesi in cui risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa, per cui si palesa un ossimoro l'accesso al procedimento da parte da una società in liquidazione, peraltro da ormai dieci anni, senza che neppure sia dedotta (oltre che documentata) la sussistenza dei presupposti per la revoca della causa di scioglimento e dello stato di liquidazione».

Anche il tribunale di Torino, con provvedimento del 4 gennaio 2024, ha affrontato la questione della verifica della ritualità e ammissibilità del concordato semplificato stabilendo che il tribunale è tenuto ad esaminare due aspetti cruciali: le prospettive di risanamento e la correttezza e la buona fede nelle trattative.

Quanto al primo, è essenziale che l'esperto abbia identificato chiaramente le prospettive di risanamento all'inizio del processo, evitando l'abuso di questa procedura.

Quanto alla seconda, invece, è fondamentale che le trattative si svolgano con correttezza e buona fede poiché non è prevista la votazione dei creditori In ogni caso questo requisito trova la sua importanza nella corretta interlocuzione con il ceto creditorio durante la composizione negoziata.

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