Lavoro
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Requisiti e ammissibilità di un secondo licenziamento per fatti successivi

13 Febbraio 2025

L’ordinanza della Suprema Corte conferma l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il datore di lavoro può legittimamente intimare un secondo licenziamento al medesimo lavoratore, purché questo sia fondato su una causa o motivo diverso e autonomo rispetto al primo.

Massima

Qualora il datore di lavoro abbia intimato il licenziamento al lavoratore, è ammissibile una successiva comunicazione di recesso dal medesimo rapporto di lavoro da parte del datore medesimo, purché il nuovo licenziamento si fondi su un motivo diverso sopravvenuto o, comunque, non conosciuto in precedenza dal datore, e la sua efficacia resti condizionata all'eventuale declaratoria di illegittimità del primo.

Il caso

Il caso trae le mosse dall’impugnazione di due distinti licenziamenti disciplinari intimati dalla società datrice di lavoro a un lavoratore con mansioni di autista di autobus.

Il primo licenziamento era stato adottato in esito ad un procedimento disciplinare attivato con  contestazione di sistematiche interruzioni non autorizzate del servizio di linea per fermate dell'autista al bar e per avere egli fumato e usato il telefono cellulare durante la guida, con pericolo per la sicurezza dei viaggiatori. Il secondo provvedimento espulsivo era stato irrogato a conclusione di differente procedura disciplinare avente ad oggetto la contestazione di episodio durante il quale il lavoratore aveva inveito in pubblico contro i vertici aziendali, rivolgendo loro offese e minacce di morte.

Il Tribunale di Enna aveva ritenuto illegittimo il primo licenziamento, applicando la tutela risarcitoria, e dichiarato inefficace il secondo.

La Corte d'Appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza di primo grado, riteneva che le condotte a base del primo licenziamento avessero effettivo rilievo disciplinare, ma fossero suscettibili solo di sanzioni conservative, così da determinare l'illegittimità del licenziamento con applicazione della tutela reintegratoria (sulla base dell’orientamento giurisprudenziale che ritiene applicabile la sanzione reintegratoria in caso di sproporzionatezza della sanzione in regime ordinario ante Jobs Act). Sempre secondo la Corte di merito, il secondo recesso datoriale era stato legittimamente irrogato, ricorrendo gli estremi della giusta causa di licenziamento, integrando i fatti contestati atto di grave insubordinazione.

Avverso tale sentenza il lavoratore proponeva ricorso per cassazione, lamentando, tra i motivi (violazione degli artt. 2 della Legge 604/66 e 18 della l. 300/1970), che il secondo licenziamento dovesse essere giudicato invalido, in quanto fondato su motivi già noti alla data di intimazione del primo licenziamento.

La questione

Si tratta di valutare la validità ed efficacia di un secondo licenziamento disciplinare che venga adottato all’esito di un autonomo procedimento disciplinare condotto parallelamente ad altra procedura disciplinare conclusasi ugualmente con provvedimento espulsivo.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo condivisibili le conclusioni del giudice di merito che, nel caso di specie, aveva accertato come i fatti oggetto della seconda contestazione fossero cronologicamente successivi rispetto a quelli oggetto della prima contestazione e da essi sganciati; essi, anzi, risultavano proprio collegati alla ricezione da parte del lavoratore di comunicazioni relative alla prima procedura disciplinare. Dalla sequenza degli atti disciplinari, dunque, la Corte ha escluso che il secondo licenziamento costituisse una reiterazione indebita del primo provvedimento (c.d. contestazione a catena), evidenziando come i fatti contestati fossero temporalmente successivi e oggetto di una nuova valutazione datoriale.

La Suprema Corte, richiama, in particolare, l’orientamento di legittimità secondo cui, ove il datore di lavoro abbia intimato al lavoratore un licenziamento individuale, è ammissibile una successiva comunicazione di recesso dal rapporto da parte del datore medesimo, purché il nuovo licenziamento si fondi su una ragione o motivo diverso sopravvenuto o, comunque, non conosciuto in precedenza dal datore, e la sua efficacia resti condizionata all'eventuale declaratoria di illegittimità del primo.

Tanto premesso, il Collegio ha, infine, confermato la valutazione di gravità della seconda condotta contestata, consistente nelle minacce di morte rivolte ai superiori dal dipendente, tale da giustificare la sanzione espulsiva.

Osservazioni

La decisione in commento conferma l'indirizzo giurisprudenziale circa l'autonoma validità ed efficacia di un licenziamento che sia stato adottato successivamente ad analoga precedente iniziativa, laddove fondato su ragioni distinte e sopravvenute. Si tratta di indirizzo consolidato riassunto nella seguente massima: “ove il datore di lavoro abbia intimato al lavoratore un licenziamento individuale, è ammissibile una successiva comunicazione di recesso dal rapporto da parte del datore medesimo, purché il nuovo licenziamento si fondi su una ragione o motivo diverso sopravvenuto o, comunque, non conosciuto in precedenza dal datore, e la sua efficacia resti condizionata all'eventuale declaratoria di illegittimità del primo (Cass. 106/2013; Cass. n. 19089/2018).

La giurisprudenza italiana ha affrontato in diverse occasioni la questione dell'ammissibilità di un secondo licenziamento intimato dallo stesso datore di lavoro nei confronti di un lavoratore già destinatario di un precedente provvedimento di recesso. In linea generale, è stato stabilito che il datore di lavoro può legittimamente intimare un secondo licenziamento, purché questo sia fondato su una causa o motivo diverso e autonomo rispetto al primo (Cass. 2865/2012), anche in pendenza di un giudizio avente ad oggetto un precedente recesso (Cass. 2274/2024).

Ovviamente il secondo licenziamento potrà avere rilevanza solo nel caso in cui il primo venga dichiarato invalido o inefficace (Cass. 17247/2016). Pertanto, entrambi gli atti di recesso sono astrattamente idonei a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro, ma il secondo produrrà effetti solo se il primo licenziamento non risulti valido.

La Corte ha escluso che il secondo licenziamento costituisse una reiterazione indebita del primo provvedimento, evidenziando come i fatti contestati fossero temporalmente successivi e oggetto di una nuova valutazione datoriale.

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