La revoca del mandato non è ragione idonea a disconoscere il compenso maturato dall’avvocato

La Redazione
19 Febbraio 2025

La Cassazione chiarisce alcuni punti relativi al compenso spettante all’avvocato in ragione dell’attività svolta prima della revoca del mandato per negligenza professionale

Un avvocato reclamava ex art. 26 l. fall. il decreto del giudice delegato al fallimento che aveva liquidato al professionista 18.921 euro per l'attività di difesa e rappresentanza della curatela in quattro procedimenti (di opposizione allo stato passivo), a fronte dei 70.000 e oltre richiesti dal professionista in applicazione dei criteri tariffari medi ex DM n. 55/2014 (o, in alternativa, 37.637 euro secondo i valori minimi). Il Tribunale rigettava il reclamo in considerazione del fatto che, in alcuni procedimenti, doveva escludersi dal computo finale la fase istruttoria; e che anche nei restanti non era stato provato lo svolgimento della fase di trattazione/istruzione e lo scostamento dai parametri medi era giustificato dalla negligente condotta serbata dal legale nell'esecuzione dell'incarico professionale, mentre l'esclusione della fase decisionale trovava fondamento nella pendenza dei giudizi, seppur oggetto di transazione, e nella revoca del mandato conferito al ricorrente. L'avvocato ricorreva in Cassazione.

La SC ha chiarito che l'art. 4, comma 5, D.M. n. 55/2014 prevede un compenso unitario per la fase di trattazione, che comprende anche l'eventuale attività istruttoria. Questo compenso deve essere riconosciuto all'avvocato anche a prescindere dall'effettivo svolgimento, nel corso del grado del singolo giudizio di merito, di attività a contenuto istruttorio, essendo sufficiente la semplice trattazione della causa (si vedano, tra le tante, Cass. civ., sez. II, 27 marzo 2023, n. 8561 e Cass. civ., sez. VI, 18 febbraio 2019, n. 4698). Nel caso di specie, il ricorrente richiamava nel ricorso i verbali di udienza, le note di trattazione scritta e il verbale di nomina di CTU, indicando la sede in cui erano stati prodotti; la Cassazione ha affermato che si trattasse indubbiamente di documenti rappresentativi di fatti potenzialmente decisivi ai fini del riconoscimento al professionista del compenso per l'attività di trattazione che il Tribunale, quanto meno per i giudizi di opposizione riuniti, aveva omesso di esaminare, ritenendo in maniera generica non provato lo svolgimento di tale fase processuale. Inoltre, ha sottolineato la Corte, l'art. 4, comma 6, DM n. 55/2014, applicabile ratione temporis, stabilisce che «Nell'ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, la liquidazione del compenso è di regola aumentato fino a un quarto rispetto a quello altrimenti liquidabile per la fase decisionale, fermo quanto maturato per l'attività precedentemente svolta». Nel caso di specie, dopo la riunione dei giudizi era stato raggiunto un accordo transattivo: in particolare, i giudizi erano ancora pendenti ma in fase conclusiva, rimanendo soltanto da dare esecuzione all'accordo già concluso. Pertanto, il Tribunale ha errato nel non riconoscere al ricorrente, neppure in parte, il compenso ai sensi dell'art. 6, D.M. n. 55/2014, spettante al legale per la conclusione della transazione, per la ragione che i giudizi erano ancora pendenti in attesa della corretta regolamentazione delle modalità di chiusura del giudizio di opposizione allo stato passivo e che al reclamante era stato revocato il mandato. La revoca del mandato professionale non è, di per sé, ragione idonea a disconoscere il compenso maturato dal professionista per l'attività svolta ma, al più, ove disposta per condotte inadempienti dell'avvocato, può giustificare il ricorso allo strumento di autotutela dell'eccezione di inadempimento.

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