Consenso informato, intervento diverso e riparto dell’onere probatorio

13 Marzo 2025

La Cassazione chiarisce la ripartizione dell'onere probatorio a seguito di domanda di risarcimento per lesione del diritto alla salute e, in particolare, del diritto di autodeterminazione, nel caso in cui sia eseguito un trattamento medico diverso da quello che avrebbe preferito il paziente

Massima

Il paziente che domanda il risarcimento del danno da lesione del diritto all'autodeterminazione è tenuto a provare che, ove correttamente informato circa la praticabilità di un intervento chirurgico diverso da quello concretamente effettuato, avrebbe optato per il primo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso che la volontà del paziente di sottoporsi all'intervento chirurgico di riduzione della frattura dell'omero, in luogo del bendaggio immobilizzante che gli era stato, invece, praticato, potesse evincersi dalla mera circostanza che il detto intervento fosse stato successivamente eseguito presso altro nosocomio).

Il caso

Una paziente chiedeva il risarcimento del danno alla salute e da violazione del diritto all’autodeterminazione per essere stata sottoposta ad un trattamento sanitario (bendaggio immobilizzante), differente rispetto all’intervento chirurgico d’idonea riduzione della frattura, con conseguente danno all’articolazione della spalla, al quale si era poi sottoposta.

Il tribunale, con sentenza confermata in appello, aveva rigettato la domanda sul rilievo che il nesso causale non era stato dimostrato dall’attrice, giacché il tipo di frattura, indipendentemente dalla scelta terapeutica seguita, dunque anche in caso d’intervento chirurgico iniziale, avrebbe comportato postumi permanenti.

L’attrice proponeva ricorso in Cassazione, lamentando la circostanza che era stata sottoposta a bendaggio immobilizzante invece della riduzione della frattura, senza previa informazione e consenso in ordine alle alternative terapeutiche esistenti, con erroneo riparto dell’onere probatorio e al contempo mancato utilizzo delle correlate presunzioni, posto che il fatto stesso che la paziente si era poi rivolta ad altro ospedale attestava che, se adeguatamente e tempestivamente resa edotta, avrebbe accettato l’intervento chirurgico.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso sul rilievo che parte ricorrente avrebbe dovuto allegare e provare che avrebbe optato per il diverso intervento chirurgico, non potendosi desumere la volontà del paziente di sottoporsi all'intervento chirurgico di riduzione della frattura dell'omero, in luogo del bendaggio immobilizzante che gli era stato, invece, praticato, dalla mera circostanza che il detto intervento fosse stato successivamente eseguito presso altro nosocomio.

La questione

La questione in esame è la seguente: in tema di consenso informato come si ripartisce l’onere della prova qualora sia eseguito un trattamento medico diverso?

Le soluzioni giuridiche

Il consenso informato è la concretizzazione prevista nel nostro ordinamento giuridico del principio di autodeterminazione nell'ambito di trattamenti e prestazioni sanitarie, principio che stabilisce il necessario consenso, espresso e specifico, da parte dell'avente diritto alla sottoposizione a cure mediche, il quale se in stato di capacità legale e naturale di agire, ben potrebbe opporre un rifiuto all'esecuzione di dette prestazioni.

Affinché il consenso prestato sia valido è necessario che l'assistito venga informato correttamente, chiaramente ed esaustivamente dal medico in ordine alle diverse alternative terapeutiche disponibili, alle difficoltà ed ai rischi dell'operazione e alla natura ed ai possibili esiti della stessa.

Rappresenta ormai ius receptum che la manifestazione del consenso informato alla prestazione sanitaria, costituisce esercizio di un autonomo diritto soggettivo all'autodeterminazione, riferito alla persona fisica la quale, in piena libertà e consapevolezza, sceglie di sottoporsi a terapia farmacologica o ad esami clinici e strumentali o ad interventi o trattamenti anche invasivi, laddove comportino costrizioni o lesioni fisiche ovvero alterazioni di natura psichica, in funzione della cura e della eliminazione di uno stato patologico preesistente o per prevenire una prevedibile patologia od un aggravamento della patologia futura (Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2012, n. 20984; Cass. civ., sez. III, 15 novembre 2013, n. 25764; Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2015, n. 14642), che - se pure connesso - deve essere tuttavia tenuto nettamente distinto - sul piano del contenuto sostanziale - dal diritto alla salute, ossia dal diritto del soggetto alla propria integrità psico-fisica (Corte Cost., 23 dicembre 2008, n. 438: «il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell'art. 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 e 32 Cost., i quali stabiliscono, rispettivamente, che "la libertà personale è inviolabile", e che "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge". La circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 Cost. pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all'autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all'art. 32, secondo comma, della Costituzione»).

L'obbligo del consenso informato costituisce legittimazione e fondamento del trattamento sanitario, senza il quale l'intervento del medico è - al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità - sicuramente illecito, anche quando è nell'interesse del paziente (Cass. civ., sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748).

Pertanto, ai sensi dell'art. 32, comma 2 Cost. (in base al quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge), dell'art. 13 Cost. (che garantisce l'inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica) e dell'art. 33, l. n. 833/1978 (che esclude la possibilità di accertamenti e trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità ex art. 54 c.p.), un tale obbligo è a carico del sanitario, il quale, una volta richiesto dal paziente dell'esecuzione di un determinato trattamento, decide in piena autonomia secondo la lex artis di accogliere la richiesta e di darvi corso.

Nell'eventualità in cui il medico non abbia acquisito dal proprio paziente un valido consenso informato o abbia addirittura omesso di raccoglierlo, qualora venga realizzata l'operazione prevista si ha sempre una lesione del diritto di autodeterminazione dell'individuo, indipendentemente dal fatto che il trattamento sia stato eseguito in maniera tecnicamente ineccepibile (Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 2013, n. 24109), con conseguente diritto al risarcimento del danno patito (Cass. civ., sez. III, 7 novembre 2023, n. 31026: in tema di responsabilità per attività medico-chirurgica, al fine di permettere al paziente l'espressione di un consenso informato al trattamento sanitario, il medico deve fornire informazioni dettagliate in merito alla natura, portata ed estensione dell'intervento, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, che ben possono essere contenute in un modulo prestampato, la cui idoneità, ai fini della completezza ed effettività del consenso, va, invece, esclusa ove il contenuto del modulo sia generico).

Può aversi altresì un danno alla salute quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava l'onere della prova, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all'intervento e di subirne le conseguenze (Cass. civ., sez. III, 30 settembre 2014, n. 20547).

Si è affermato che il paziente non è tenuto a dimostrare che, se fosse stato informato di un intervento più complesso, non avrebbe acconsentito. Al contrario, se il paziente afferma che il suo consenso era limitato a ciò che era stato pianificato e nient'altro, è compito della struttura dimostrare che avrebbe dato il consenso per il secondo intervento più invasivo, non richiesto da un'urgenza. Poiché vi è violazione del diritto all'autodeterminazione, si presume il dissenso del paziente per tutto ciò che vada oltre i trattamenti medico-chirurgici autorizzati, a meno che il diverso intervento più invasivo sia giustificato da un'urgenza (Cass. civ., sez. III, 21 gennaio 2025, n. 1443).

Al diritto indicato corrisponde l'obbligo del medico (di fonte contrattuale o derivante dalla analoga obbligazione ex lege che comporta il cd. "contatto sociale" (Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2847) di fornire informazioni dettagliate, in quanto strettamente strumentale a rendere consapevole il paziente della natura dell'intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative (Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2012, n. 20984Cass. civ., sez. III, 11 dicembre 2013, n. 27751). Con la conseguenza che, in applicazione della regola del riparto dell'onere della prova, viene a gravare sul medico, in caso di contestazione del paziente, la dimostrazione di aver fornito tutte le indicazioni necessarie a compiere la scelta consapevole e dunque di aver correttamente adempiuto all'obbligo informativo preventivo (Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2012, n. 20984; Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2013, n. 19220), mentre, nel caso in cui tale prova non venga fornita e dunque sussista inadempimento colpevole (il cui accertamento è del tutto indipendente dalla corretta esecuzione della terapia somministrata o dell'intervento chirurgico o dall'eventuale danno alla salute ad essi conseguito), occorrerà distinguere ai fini della valutazione della fondatezza della domanda risarcitoria proposta dal paziente, l'ipotesi in cui alla omessa informazione (od al consenso non idoneamente acquisito dal paziente: Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 2008, n. 24791) sia conseguito un danno alla salute che costituisca esito non attendibile dalla prestazione tecnica se correttamente eseguita - e quindi imputabile a colpa professionale -, nel qual caso la mancanza del consenso informato si inserirà nella serie causale produttiva del danno non patrimoniale, dalla ipotesi in cui, invece, il peggioramento della salute corrisponda ad un rischio attendibile e cioè ad un esito infausto prevedibile ex ante nonostante la esatta esecuzione della prestazione tecnica-sanitaria che si rendeva comunque necessaria, nel qual caso, ai fini dell'accertamento del danno, graverà sul paziente l'onere della prova, anche tramite presunzioni, che il danno alla salute è dipeso causalmente dal fatto che, ove compiutamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l'intervento, non potendo altrimenti ricondursi all'inadempimento dell'obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute (Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2847Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2012, n. 20984, secondo cui il rispetto dell'autodeterminazione del paziente - che è ciò che si vuole tutelare, con il conseguente risarcimento del danno per mancato consenso - deve essere valutato in concreto, tenendo presenti le reali possibilità di scelta che si ponevano di fronte al paziente, nel caso in cui fosse stato adeguatamente informato).

Pertanto, l'acquisizione da parte del medico del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da quella dell'intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell'eventuale responsabilità risarcitoria in caso di mancata prestazione da parte del paziente (Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2013, n. 11950); e si tratta, in definitiva, di due diritti distinti (Cass. civ., sez. III, 6 giugno 2014, n. 12830): il consenso informato attenendo al diritto fondamentale della persona all'espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico e quindi alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente, atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (anche quest'ultima non potendo peraltro in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana: art. 32, comma 2, Cost.); il trattamento medico terapeutico ha viceversa riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute (art. 32, comma 1, Cost.).

La diversità tra il diritto alla autodeterminazione nel sottoporsi al trattamento terapeutico ed il diritto alla salute è resa assolutamente palese dalle elementari considerazioni che, pur sussistendo il consenso consapevole, ben può configurarsi responsabilità da lesione della salute se la prestazione terapeutica sia tuttavia inadeguatamente eseguita; e che la lesione del diritto all'autodeterminazione non necessariamente comporta la lesione della salute, come accade quando manchi il consenso ma l'intervento terapeutico sortisca un esito assolutamente positivo.

Osservazioni

Il diritto ad essere correttamente informati al fine di potere esprimere un consenso al trattamento sanitario sulla propria persona va attentamente ricostruito alla stregua dei principi generali (Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972):

  1. la lesione del diritto ad esprimere il c.d. consenso informato da parte del medico si verifica per il sol fatto che egli tenga una condotta che lo porta al compimento sulla persona del paziente di atti medici senza avere acquisito il suo consenso;
  2. il c.d. danno evento cagionato da tale condotta è rappresentato dallo stesso estrinsecarsi dell'intervento sulla persona del paziente senza la previa acquisizione del consenso, cioè, per restare al caso dell'intervento chirurgico, dall'esecuzione senza tale consenso dell'intervento sul corpo del paziente; danno-evento in questione che risulta, dunque, dalla tenuta di una condotta omissiva seguita da una condotta commissiva; 
  3. il danno conseguenza (quello che l'art. 1223 c.c., indica come perdita o mancato guadagno) è, invece, rappresentato dall'effetto pregiudizievole che la mancata acquisizione del consenso e, quindi, il comportamento omissivo del medico, seguito dal comportamento positivo di esecuzione dell'intervento, ha potuto determinare sulla sfera della persona del paziente, considerata nella sua rilevanza di condizione psico-fisica posseduta prima dell'intervento, la quale, se le informazioni fossero state date, l'avrebbe portata a decidere sul se assentire la pratica medica.

Nell'indagine controfattuale che occorre compiere nel caso in cui il diritto di scelta del paziente sia stato pregiudicato dall'omessa informazione imputabile al medico, i giudici di legittimità addossano al paziente l'onere di provare che avrebbe rifiutato il trattamento se adeguatamente informato adducendo una pluralità di ragioni:

  • la prova del nesso causale tra inadempimento e danno spetta al creditore, cioè al paziente;
  • il fatto positivo da provare consiste nel rifiuto che sarebbe stato opposto al medico;
  • trattandosi di una scelta soggettiva del paziente, vale anche qui il criterio di distribuzione dell'onere della prova in funzione della "vicinanza" al fatto da provare;
  • la scelta del paziente di non seguire l'indicazione del medico non corrisponde all'id quod plerumque accidit(Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2010, n. 2847).

Per i giudici di legittimità, quindi, la sola violazione del diritto all'autodeterminazione non accompagnata da un danno alla salute per l'esito fausto dell'intervento può comportare un danno non patrimoniale per il paziente (risarcibile ove ne sia data la prova e superi quella soglia di tollerabilità per come precisato dal giudice della nomofilachia nella sentenza Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972), qualora l'intervento abbia procurato al paziente sofferenze e turbamenti che egli, secondo il suo insindacabile bilanciamento degli interessi in gioco, avrebbe scelto di non accettare se adeguatamente informato.

Nell'indagine controfattuale in cui si devono ricostruire le conseguenze che non sono derivate da un fatto concreto della vita, ma che sarebbero derivate da un fatto puramente ipotetico (qui: da quella che sarebbe stata la corretta e completa informazione dovuta dal medico al paziente) assume particolare rilevanza il ricorso alle presunzioni da parte del paziente, come rileva la sentenza che si considera.

Un primo elemento da tenere presente è quello che riguarda le finalità del trattamento medico, secondo che esse mirino ad un miglioramento estetico della persona ovvero ad eliminare o prevenire un danno alla salute. È presumibile che nel primo caso il paziente, messo di fronte al rischio pur piccolo che il trattamento estetico portasse a risultati del tutto opposti a quelli sperati peggiorando l'estetica, avrebbe scelto di non sottoporsi al trattamento stesso qualora fosse stato adeguatamente informato dal sanitario.

Più complessa si presenta la situazione quando il trattamento medico riguarda la salute del paziente. Sotto questo aspetto conviene distinguere secondo che il trattamento eseguito dal sanitario fosse diretto a conservare la salute del paziente evitando probabili peggioramenti o semplicemente a migliorarla.

Nel caso in cui l'intervento fosse diretto a conservare la salute del paziente evitando l'insorgere di probabili peggioramenti le variabili da considerare ai fini del ricorso alle presunzioni sono quattro, o per meglio dire due coppie.

Invero, da un lato sarà necessario confrontare la percentuale di rischio di un esito infausto dell'intervento con la percentuale di rischio di un danno alla salute in mancanza dell'intervento stesso. Da un altro lato, sarà necessario confrontare la gravità per la salute delle eventuali conseguenze negative dell'intervento con la gravità per la salute delle conseguenze alle quali il paziente sarebbe esposto in mancanza dell'intervento stesso. Dalla combinazione di queste variabili il giudice potrà desumere elementi per il ricorso alle presunzioni. Si faccia il caso in cui un intervento chirurgico al cervello presenti lo 0,50% di rischio di complicanze tali da condurre ad una infermità permanente, mentre in mancanza dell'intervento stesso vi sarebbe il 60% di rischio di una infermità permanente ancora maggiore o perfino della morte: se il paziente non adduce prove per cui egli avrebbe scelto l'alternativa più rischiosa, è da presumere che una persona sensata avrebbe scelto, se adeguatamente informata del rischio del 60%, di sottoporsi all'intervento.

Nel caso in cui l'intervento fosse invece diretto solo a migliorare la salute del paziente (ad esempio: migliorare la funzionalità di qualche organo), è da presumere che il paziente, messo di fronte ad una informazione del sanitario che gli prospetta i rischi dell'intervento, terrebbe di più a conservare lo stato fisico attuale e considererebbe come un optional il miglioramento sperato con l'intervento stesso. In questo caso egli si limiterà a prendere in considerazione solo la percentuale di rischio di complicanze, nonché l'entità dei conseguenti possibili danni alla salute, tralasciando un bilanciamento di essi con gli sperati ma non essenziali miglioramenti.

Perciò il giudice potrà desumere elementi per il ricorso alle presunzioni semplicemente dalla percentuale di rischio e dall'entità delle possibili conseguenze negative per la salute.

In linea di principio non bisogna quindi sovrapporre salute ed autodeterminazione: il danno subito dal paziente per non essere stato informato è autonomo rispetto al danno alla salute, però perché questa autonomia si traduca sul piano risarcitorio è necessario distinguere secondo che l'intervento non consentito fosse indispensabile per la salute del paziente oppure avesse avuto un esito favorevole.

Ritenuto indispensabile l'intervento, si bisogna distinguere seconda che sia stato eseguito correttamente oppure no.

La conseguenza è che deve escludersi un obbligo risarcitorio ove l'intervento necessario per il paziente e difettante del suo consenso informato sia stato eseguito correttamente ed a ritenere il danno assorbito dall'imperizia, nell'altro caso.

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