Crisi d'impresa
IlFallimentarista

Ristrutturazione trasversale e valore di liquidazione: questioni interpretative affrontate dal Tribunale di Ferrara

25 Marzo 2025

Gli Autori commentano una ricca pronuncia resa dal Tribunale di Ferrara in tema di applicazione del cram down al concordato preventivo in continuità e requisiti per l'omologazione mediante cross-class cram down. Viene inoltre affrontato il tema della corretta stima del valore di liquidazione con riferimento alla possibilità, o meno, di vendere in blocco o atomisticamente i beni aziendali

Massima

Il Tribunale di Ferrara dichiara di aderire alla  tesi restrittiva, che dubita dell'applicabilità del  cram down ex art. 88 c.c.i.i. , nel testo vigente fino al Correttivo del 2024, alle ipotesi di omologa del concordato in continuità aziendale. «La questione – afferma il Tribunale - è stata risolta dall'ultimo correttivo che, come accennato, ha introdotto tale possibilità, prevedendola espressamente e confermando, proprio per la ritenuta necessità di una novella, la sua assenza nel contesto normativo precedente» (per una soluzione diametralmente opposta, si veda App. Bari, 4 dicembre 2024).

Il caso

Il Tribunale di Ferrara pronunciava in data 20 novembre 2024 la sentenza di omologazione di un concordato preventivo a seguito di istanza per l'omologazione “forzosa” ex art. 112, comma 2, c.c.i.i. e susseguente opposizione formulata da un creditore ex art. 48, comma 2, c.c.i.i., con la quale era stata eccepita la mancanza delle condizioni di cui all'art. 112, commi 2 e 3, c.c.i.i.

La Società debitrice aveva prima depositato ricorso ex art. 44 c.c.i.i. e, nei termini prescritti dal Tribunale, presentato domanda ex art. 40 c.c.i.i. per ottenere l'apertura della procedura di concordato preventivo in continuità aziendale.

Questi, in sintesi, il piano di risanamento (in seguito “piano”) e la proposta di concordato (in seguito “proposta”).

Il piano è fondato su un orizzonte temporale quinquennale nel corso del quale il debitore prevede di generare dei flussi di cassa, di cui una parte andranno a soddisfacimento dei creditori concorsuali. Nello specifico, la proposta prevede l'utilizzo del valore di liquidazione ai fini del pagamento i) integrale dei creditori prededucibili, ii) integrale dei creditori con privilegio speciale (IVA di rivalsa ex art. 2758, comma 2, c.c.), iii) integrale dei creditori con privilegio generale mobiliare ex art. 2751-bis e iv) nella misura del 27,31% dell'originario valore dei crediti con privilegio ante primo grado ex art. 9, comma 5, d.lgs. n. 123/1998. Il valore eccedente quello di liquidazione, invece, viene utilizzato nei limiti ed alle condizioni stabilite dall'art. 84, comma 6, c.c.i.i., pur con la deroga riferibile al pagamento dei creditori qualificati come “strategici” per la continuità aziendale, per i quali il debitore è stato autorizzato, ai sensi dell'art. 100 c.c.i.i., al pagamento nella misura dal 40,31% fino a zero.

La proposta, pur avendo ricevuto il consenso del 64,35% dei creditori aventi diritto di voto, è risultata approvata da 6 classi su 12 e siccome non ha ricevuto l'unanimità dei consensi ex art. 109, comma 2, c.c.i.i., il debitore ha formulato istanza per ottenere l'omologazione ai sensi dell'art. 112, comma 2, c.c.i.i. (c.d. “ristrutturazione trasversale” o “cross-class cram down”), sull'assunto che le classi consenzienti rappresenterebbero classi particolarmente rappresentative (in particolare, l'Erario e gli istituti bancari) e che, per quelle dissenzienti, è previsto comunque un trattamento non deteriore, bensì migliorativo, rispetto all'alternativa liquidatoria.

Con memoria ex art. 48, comma 2, c.c.i.i. un creditore ha presentato opposizione, con la quale ha chiesto il rigetto della domanda di omologazione, eccependo altresì il difetto di convenienza della proposta rispetto all'alternativa liquidatoria e domandando quindi di disporre una C.T.U. avente ad oggetto la stima del complesso aziendale, comprensiva dell'apprezzamento dell'eventuale maggior valore economico realizzabile dalla cessione dell'azienda in esercizio.

Le questioni giuridiche - Le soluzioni del Tribunale

L'applicabilità del cram down tributario e contributivo nel concordato in continuità aziendale (prima dell'ultimo Decreto correttivo)

A seguito delle modifiche apportate al c.c.i.i. dal d.lgs. n. 83/2022 (noto come Decreto Insolvency), è risultata assai controversa la possibilità di applicazione del meccanismo del cram down fiscale e contributivo alle ipotesi di omologazione del concordato preventivo in continuità aziendale. In particolare, il contrasto interpretativo sorto concerne(va) l'effetto che l'omologazione forzosa della transazione fiscale e contributiva finiva per generare sull'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 112, comma 2, c.c.i.i.. Invero, poiché la ristrutturazione trasversale rende vincolante la proposta concordataria anche nei confronti delle classi di creditori dissenzienti, al ricorrere di determinate condizioni, è sorta la questione relativa alla possibilità di combinare o meno il cross-class cram-down con il cram down erariale e previdenziale di cui all'art. 88, comma 2-bis, c.c.i.i.

La possibilità di attuare il cram down fiscale nel concordato preventivo in continuità è stata esclusa dapprima dal Tribunale di Lucca con provvedimento del 18 luglio 2024, in quanto i) l'art. 88, comma 1, c.c.i.i. inizia(va) con la locuzione «Fermo restando quanto previsto, per il concordato in continuità aziendale, dall'articolo 112, comma 2» e (ii) il comma 2-bis della norma in esame richiamava testualmente solo il primo comma dell'art. 109 c.c.i.i., il quale dispone in merito al concordato liquidatorio, senza alcun rinvio né al comma quinto, relativo al concordato in continuità, né al comma secondo dell'art. 112 c.c.i.i., che regola la ristrutturazione trasversale. Alla medesima conclusione era giunta la Corte d'Appello di Firenze con pronuncia del 31 ottobre 2023, seppure evidenziando ulteriori e differenti motivazioni. La tesi è stata poi sposata dal Tribunale di Ancona con sentenza 29 aprile 2024 e dal Tribunale di Roma con sentenza 10 luglio 2024, il quale, tra gli altri, ha evidenziato che l'art. 88, comma 2-bis, c.c.i.i. richiama espressamente «le percentuali di cui all'art. 109, comma 1», il quale regola le sole maggioranze del concordato liquidatorio, mentre nel concordato in continuità trovano applicazione le diverse regole di cui all'art. 109, comma 5, c.c.i.i.

La tesi, invece, favorevole all'applicazione dell'istituto del cram down erariale al concordato preventivo in continuità è stata affermata  dal Tribunale di Napoli con sentenza del 24 aprile 2024, ritenendo che la locuzione di apertura del comma 1 dell'art. 88 c.c.i.i. debba leggersi nel senso che tale ultima norma si aggiunge, ove ve ne siano la necessità e le condizioni, all'art. 88, comma 2-bis, c.c.i.i. completandone le relative prescrizioni e non va invece ad escludere l'applicazione della stessa al concordato in continuità aziendale.

Sul punto, il Tribunale di Ferrara ha ritenuto preferibile la tesi che dubita dell'applicabilità del cram down erariale alle ipotesi di omologa del concordato preventivo in continuità aziendale, quantomeno prima delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 136/2024. Quest'ultimo ha risolto in senso positivo la questione interpretativa concernente la possibilità di omologazione forzosa della transazione fiscale e contributiva nel concordato in continuità, attraverso una modifica dell'art. 88 c.c.i.i. e, più specificatamente, i) abrogando il comma 2-bis e ii) disciplinando l'omologazione forzosa in due distinti commi. Il comma 3 è dedicato esclusivamente al concordato liquidatorio e stabilisce, in sostanziale continuità rispetto al previgente comma 2-bis, che in tale ambito il tribunale omologa il concordato anche in mancanza di adesione delle agenzie fiscali e degli enti previdenziali, quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle soglie di cui all'art. 109, comma 1, c.c.i.i.  e il soddisfacimento di detti creditori è conveniente rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale. Il comma 4, invece, è ora esclusivamente dedicato al concordato in continuità e stabilisce che il tribunale omologa il concordato anche in mancanza di adesione delle agenzie fiscali e degli enti previdenziali, se il soddisfacimento di detti creditori risulta non deteriore rispetto all'alternativa liquidatoria. In tale ipotesi (i.e. non deteriorità della proposta), «il tribunale omologa se tale adesione [del Fisco e degli enti] è determinante ai fini del raggiungimento della maggioranza delle classi prevista dall'articolo 112, comma 2, lettera d), oppure se la stessa maggioranza è raggiunta escludendo dal computo le classi dei creditori di cui al comma 1 [quella dei creditori pubblici]. In ogni caso, ai fini della condizione prevista dall'articolo 112, comma 2, lettera d), numeri 1 e 2, l'adesione dei creditori pubblici deve essere espressa».

Il Tribunale di Ferrara ritiene che nel caso di specie venga in considerazione il previgente testo dell'art. 88 c.c.i.i., tenuto conto che le modifiche apportate dall'ultimo decreto correttivo trovano applicazione alle procedure pendenti alla data della sua entrata in vigore e a quelle instaurate o aperte successivamente, ad esclusione, per quanto rileva in questa sede, delle norme con cui è stato modificato l'art. 88 c.c.i.i. Pertanto, ha concluso il Tribunale ritenendo che, nella disciplina precedente all'ultimo Correttivo, pur essendo la transazione fiscale certamente applicabile a tutti i concordati, l'istituto del cram down fiscale e previdenziale era utilizzabile unicamente all'interno del concordato liquidatorio. Ne discende che, nel caso di specie, il voto negativo della classe costituita dagli enti previdenziali impedisce il raggiungimento della maggioranza delle classi, non potendo ricorrersi al cram down previdenziale.

La sussistenza dei requisiti per la ristrutturazione trasversale – art. 112, comma 2, c.c.i.i.

Poiché la Proposta non ha ricevuto l'unanimità dei consensi ex art. 109, comma 2, c.c.i.i., il debitore ha formulato istanza per ottenere l'omologazione ai sensi dell'art. 112, comma 2, sull'assunto che le classi consenzienti rappresenterebbero classi particolarmente rappresentative (in particolare, l'Erario e gli istituti bancari) e che, per quelle dissenzienti, è previsto comunque un trattamento non deteriore, bensì migliorativo, rispetto all'alternativa liquidatoria. In particolare, la società instante richiama una relazione dell'Ufficio del Massimario della Suprema Corte, per cui l'omologazione sarebbe possibile «in mancanza di voto unanime di tutte le classi, quando fra quelle consenzienti si contino classi particolarmente rappresentative e per quelle dissenzienti sia previsto un trattamento non deteriore rispetto all'alternativa liquidatoria». Il Tribunale ha ritenuto eccessivamente semplificatorio l'assunto del debitore, tenuto conto della necessaria verifica dei presupposti specificatamente individuati dall'art. 112, comma 2, c.c.i.i.

Requisito di cui all'art. 112, comma 2, lett. a), c.c.i.i.

Il Tribunale ha ritenuto sussistente il requisito di cui all'art. 112, comma 2, lett. a), c.c.i.i., avendo il debitore rispettato l'ordine delle cause legittime di prelazione sul valore di liquidazione stimato ai sensi dell'art. 87, comma 1, lett. c), c.c.i.i. Sul punto, il creditore opponente ha eccepito il mancato rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione sull'assunto per cui il proprio credito, assistito da privilegio ex art. 9, comma 5, d.lgs. n. 123/98, debba essere pagato in via anteriore rispetto al credito IVA di rivalsa ex art. 2758, comma 2, c.c., tenuto conto che nel concorso tra crediti privilegiati si pone in posizione ante primo grado in ragione del disposto di cui all'art. 2777, comma 3, c.c.

Il Tribunale non ha condiviso la prospettazione dell'opponente, ritenendo quindi sussistente il requisito in esame, poiché il privilegio del creditore opponente riveste natura generale ed è sotto tale profilo che si applica la previsione dell'art. 2777, comma 3, c.c., implicando la preferenza per le sole spese di giustizia ed i crediti privilegiati indicati all'art. 2751-bis c.c. Pertanto, poiché nel caso di specie non è stata contestata la sussistenza dei beni del cessionario, la particolare connessione esistente tra il credito e il bene su cui si esercita la prelazione implica che debba ritenersi corretta la distribuzione del valore di liquidazione prevista nel piano.

Si evidenzia al riguardo come, qualora fosse accolta la tesi che attribuisce al privilegio ex art. 9, comma 5, d.lgs. n. 123/1998 natura di privilegio mobiliare generale, l'art. 224 c.c.i.i. è chiaro nello statuire che i crediti assistiti da privilegio generale hanno diritto di prelazione sul prezzo ricavato dalla liquidazione del patrimonio mobiliare, sul quale concorrono in un'unica graduatoria con i crediti garantiti da privilegio speciale mobiliare, secondo il grado previsto dalla legge. Ne discende che il creditore privilegiato mobiliare di grado poziore, a prescindere dal se abbia un privilegio generale o speciale, va soddisfatto sempre prima di un creditore di grado inferiore e, conseguentemente, la distribuzione del valore di liquidazione debba essere effettuata in base a tale graduatoria. Invero, il pagamento dei crediti assistiti da privilegio generale avviene attingendo non solo dal ricavato realizzato con la vendita dei beni non gravati da privilegio speciale, ma da tutta la massa mobiliare.

Requisito di cui all'art. 112, comma 2, lett. b) c.c.i.i.

Il Tribunale ritiene sussista anche il requisito di cui all'art. 112, comma 2, lett. b), c.c.i.i., avendo il debitore distribuito il valore eccedente quello di liquidazione in modo che i creditori delle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno paritetico rispetto alle classi dello stesso grado e più vantaggioso di quello delle classi di grado inferiore.

Di rilievo, in particolare, la precisazione fornita dai giudici secondo la quale, attraverso un‘interpretazione ritenuta conforme al diritto unionale, non assume rilievo il soddisfacimento non paritetico proposto alla classe dei creditori chirografari qualificati come “strategici”, ai quali è offerta una percentuale di soddisfacimento migliore rispetto a quella prospettata agli altri creditori chirografari. In particolare, il Tribunale ha evidenziato che quand'anche si volesse ritenere il concetto di “grado” a cui fa riferimento la norma in esame riferibile anche ai creditori di rango chirografario, deve osservarsi che tali classi sono (nel caso di specie lo sono tutti i chirografari) identificabili come creditori “non interessati”, concetto a cui fa espresso riferimento l'art. 11 della Direttiva Insolvency: trattandosi di classi rispetto alle quali la proposta attribuisce un trattamento migliore di quello che riceverebbero applicando la regola della priorità assoluta su tutto l'attivo concordatario, non verrebbero direttamente incise dal Piano, rendendo così superflua, in un'ottica di interpretazione conforme al diritto unionale, la valutazione in ordine al carattere paritetico del trattamento.

Sul punto, è intervenuta la Corte d'Appello di Milano con sentenza del 8 novembre 2024, evidenziando come la valutazione che il tribunale deve effettuare ai sensi dell'art. 112, comma 2, lett. b), c.c.i.i.  funzionale ad omologare un concordato in continuità aziendale è quella di fare in modo che sia rispettata la parità di trattamento tra i creditori del medesimo rango, quindi anche tra creditori chirografari, potendo dirsi violato tale principio qualora la proposta preveda un trattamento deteriore per una classe di creditori chirografari rispetto a quanto offerto alle altre classi di pari rango. Anche il Tribunale di Busto Arsizio è intervenuto con sentenza 8 maggio 2024, statuendo che, nel caso di dissenso ad opera di una classe di creditori chirografari, l'omologazione sarà subordinata alla verifica che tale classe sia trattata in misura pari alle altre classi chirografarie (rectius: alla classe chirografaria destinataria del trattamento migliore) e in misura superiore rispetto alle classi di creditori postergati e dei soci. Ad avviso dei giudici, pertanto, non pare sostenibile, sulla base della Direttiva Insolvency, che solo la classe di creditori privilegiati dissenziente debba essere trattata meglio delle classi privilegiate di grado successivo o di rango chirografario, e che invece la classe di creditori chirografari dissenziente possa essere trattata peggio di altre classi chirografarie o persino di classi di creditori postergati. Appare condivisibile per gli scriventi tale prospettazione, anche in considerazione del fatto che il concordato preventivo in continuità è suscettibile di omologa solo in presenza delle condizioni delineate nel comma secondo dell'art. 112 c.c.i.i., tra cui anche quella di non discriminazione prevista dalla lett. b); se, invece, la proposta concordataria riceve l'assenso di tutti i creditori, il giudizio di omologazione è circoscritto alle verifiche di cui al comma 1 della medesima disposizione.

Requisito di cui all'art. 112, comma 2, lett. c), c.c.i.i.

Il Tribunale ritiene sussista anche il requisito di cui all'art. 112, comma 2, lett. c), c.c.i.i., posto che nessun creditore riceve più dell'importo del proprio credito.

Requisito di cui all'art. 112, comma 2, lett. d), c.c.i.i.

Il Tribunale, infine, ritiene sussista anche il requisito di cui all'art. 112, comma 2, lett. d), c.c.i.i., posto che esiste una classe favorevole alla proposta, rappresentata dal creditore Agenzia delle Entrate titolare di un credito privilegiato ex artt. 2753-2778, n. 18 e 19, c.c. integralmente degradato a chirografo per incapienza del valore di liquidazione ex art. 84, comma 5, c.c.i.i. ed in una situazione “in the money”. Nell'ipotesi di distribuzione anche del valore eccedente quello di liquidazione secondo la APR, tale classe riceverebbe un trattamento superiore, ma ha deciso di votare a favore della proposta concordataria (usando le parole del Tribunale “di scommettere”).

Sul punto, Il Tribunale di Milano si è espresso con sentenza del 2 maggio 2024, statuendo che la previsione normativa di cui all'art. 112, comma 2, lett. b), c.c.i.i., consente la ristrutturazione trasversale se la proposta risulti approvata da una maggioranza di classi contenente, al suo interno, una classe titolare di diritti di prelazione, la quale non può essere costituita da creditori privilegiati degradati. Ciò in quanto questa categoria di creditori va ex lege equiparata per la parte residua di credito ai chirografari, a mente della previsione di cui all'art. 84, comma 5, e dell'art. 109, comma 4, c.c.i.i. Invero, tali disposizioni chiariscono che l'assimilazione della parte incapiente del credito prelatizio ai crediti chirografari esplica i suoi effetti sia ai fini del voto, sia relativamente al trattamento in senso sostanziale del credito. Non può, pertanto, configurarsi una parificazione del creditore privilegiato degradato al creditore privilegiato tout court, dovendo al contrario essere a tutti gli effetti considerato chirografario.

La sussistenza dei requisiti per la ristrutturazione trasversale – Il difetto di convenienza della proposta di cui all'art. 112, comma 3, c.c.i.i.

Il creditore opponente nella propria memoria ex art. 48, comma 2, c.c.i.i. ha altresì eccepito il difetto di convenienza, invocando il terzo comma dell'art. 112 c.c.i.i., sull'assunto, in particolare, della non corretta stima del complesso aziendale in punto di eventuale maggior valore economico ritraibile dalla cessione dell'azienda in esercizio. Invero, ad avviso dell'opponente, il debitore si sarebbe limitato «a quantificare il valore ritraibile dalla vendita atomistica dei beni che compongono l'azienda della società debitrice», anziché procedere alla valutazione nell'ottica della cessione dell'azienda in funzionamento nella liquidazione giudiziale dopo un periodo di esercizio provvisorio.

Il Tribunale non ha condiviso la prospettazione assunta dal creditore opponente, poiché il valore di liquidazione ritrae lo stato dell'azienda e dei suoi cespiti al momento del ricorso per l'apertura della procedura concordataria e, pertanto, gli accadimenti successivi a tale data sono irrilevanti. Nel caso di specie, si legge nel provvedimento che, quando la società debitrice ha fatto accesso allo strumento di regolazione della crisi non era nelle condizioni di esprimere alcun flusso di continuità se liquidata in quel momento e, conseguentemente, avrebbe potuto essere ceduta solo in via atomistica e ad un prezzo di liquidazione coattiva. In aggiunta, si legge che «Va poi evidenziato che soltanto dopo la concessione del termine ex art. 44 comma 1 lettera a) e l'autorizzazione del Tribunale alla apertura di un conto corrente presso … assistito da linea di credito prededucibile ex art. 99 CCII (funzionale a porre in lavorazione gli ordini confermati da alcuni clienti) è risultato infatti possibile ripristinare parzialmente l'operatività produttiva». Sul punto, pertanto, pare che la situazione del debitore al momento della domanda con riserva ex art. 44 c.c.i.i. differisca da quella in cui si è trovato al momento del deposito della domanda di concordato ex art. 40 c.c.i.i. Come noto, l'art. 87, comma 1, lett. c), c.c.i.i. specifica che il valore di liquidazione debba essere determinato «alla data della domanda di concordato». Nel caso di specie, potrebbe apparire che al momento della domanda con riserva non vi fossero le condizioni per ipotizzare una cessione unitaria dell'azienda, mentre alla data della domanda di concordato tale ipotesi pare potersi astrattamente configurare. Tuttavia, è molto chiara la posizione assunta dall'attestatore, condivisa anche dal commissario giudiziale, secondo cui l'assenza del supporto finanziario garantito nella procedura concordataria attraverso le linee autoliquidanti già autorizzate determinerebbe un impedimento di fatto nel proseguimento dell'attività aziendale nel tempo necessario per procedere con la cessione competitiva dell'azienda nel contesto della liquidazione giudiziale.

Il Tribunale si è quindi soffermato su come l'ultimo decreto correttivo abbia eliminato ogni richiamo al “valore di mercato” (ora si parla genericamente di “valore”), ovvero abbia introdotto riferimenti al valore di liquidazione in ordine i) alla valutazione in ordine al trattamento dei crediti tributari e contributivi ex art. 88 c.c.i.i., ii) all'autorizzazione al pagamento di crediti pregressi ex art. 100 c.c.i.i., iii) al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione ex art. 64-bis e iv) al piano di ristrutturazione del consumatore ex art. 67, comma 4, c.c.i.i..

Sul punto è necessario un breve excursus sulle scelte lessicali operate dal legislatore delegato sia nella prima versione del c.c.i.i. entrata in vigore, sia nell'emanato correttivo. Infatti, accanto a norme del c.c.i.i. che prendevano in considerazione il valore di liquidazione, ve ne erano altre che, invece, si riferivano al valore di mercato, ovvero norme che richiamavano espressamente lo scenario della liquidazione giudiziale e altre che, invece, si riferivano genericamente alla liquidazione dei beni e diritti. Pertanto, quantomeno prima dell'intervento dell'ultimo Decreto correttivo, in funzione delle diverse terminologie adottate dal legislatore si rendeva necessario appurare se lo scenario di riferimento ai fini della stima del valore di liquidazione fosse sempre l'apertura della liquidazione giudiziale ovvero uno scenario di libero mercato, in quanto per aversi un “valore di liquidazione” occorre preliminarmente individuare lo scenario (di liquidazione) nell'ambito del quale effettuare le diverse simulazioni relative agli attivi patrimoniali dell'impresa. Peraltro, l'art. 160, comma 2, l. fall., e l'originaria versione dell'art. 84, comma 5, c.c.i.i. prevedevano che il parametro ai fini dell'accertamento della capienza del privilegio fosse “il valore di mercato” attribuibile al bene o diritto gravati. Nell'attuale formulazione dell'art. 84, co. 5, c.c.i.i., non oggetto di modifica con il Correttivo, manca, invece, ogni riferimento al “valore di mercato”, il quale era stato mantenuto in alcune norme del c.c.i.i.(artt. 67,75,88,100,173 e 240 c.c.i.i.).  A seguito della recente novella legislativa, il riferimento al “valore di mercato” è rimasto unicamente agli artt. 75 e 173, mentre all' art. 100 è rimasto un generico riferimento al “ricavato della liquidazione del bene”. Tale scelta di progressivo abbandono del riferimento al “valore di mercato” in tutti i casi in cui si ponga una questione di confronto con l'alternativa liquidatoria porta a ritenere non sovrapponibile il concetto di valore cui un cespite viene venduto nel mercato coattivo con quello di valore al quale può essere venduto nel libero mercato (Trib. Verona 12.12.2024). Pertanto, ad oggi deve ritenersi indubbio che l'espressione contenuta nell'art. 84, comma 5, c.c.i.i. richieda che la valutazione sulla capienza del privilegio sia svolta avendo come riferimento esclusivamente il valore ritraibile dalle vendite in uno scenario liquidatorio-coattivo, quale quelle che si svolgono nella liquidazione giudiziale.

In conformità al Correttivo, il Tribunale di Ferrara ha ritenuto non sovrapponibile il concetto di valore a cui un cespite viene venduto nel mercato coattivo con quello “di mercato”, ossia negoziato sotto normali condizioni di mercato: il valore di mercato, infatti, scaturisce da un'operazione nella quale l'autonomia e la libertà contrattuale delle parti svolgono un ruolo determinante, che viene invece a mancare in uno scenario liquidatorio coattivo, quale di tutta evidenza quello della liquidazione giudiziale, dove il contesto competitivo e il contenuto orizzonte temporale della liquidazione comportano una vendita a valori di certo scontati. Tale argomentazione assume ancora maggiore valenza se l'oggetto della vendita è di natura complessa quale può essere un'azienda, che trae valore dal suo funzionamento. Nel caso di specie, la prospettiva di una ripresa dell'attività economica, che si era poi sviluppata nella procedura concordataria grazie anche al supporto finanziario di taluni istituti, non era postulabile nella liquidazione giudiziale, con ovvie conseguenze in tema di stima del valore di liquidazione dell'azienda, tale da far ritenere soddisfatta in tale scenario la condizione di cui all'art. 214, primo comma, c.c.i.i., ossia la maggior soddisfazione dalla vendita atomistica dei beni anziché dell'intero complesso aziendale.

Alla luce di quanto esposto, il Tribunale ha quindi disposto l'omologa del concordato, ritenendo altresì superflua la richiesta di stima del complesso aziendale ex art. 112, comma 3, c.c.i.i. domandata dal creditore opponente.

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