Recesso del socio e rimborso del finanziamento soci
28 Marzo 2025
Massima L'assunzione di una delibera di messa in liquidazione non scioglie il rapporto di società, ma si limita a far maturare, per i soci, una aspettativa al pagamento dei propri crediti, tra i quali quello ai finanziamenti erogati, solo se e nella misura in cui l'organo liquidatore proceda effettivamente alla liquidazione. Il recesso esercitato dal socio di una S.r.l. in conseguenza di una delibera sottoposta a condizione risolutiva, non è efficace laddove si verifichi la condizione risolutiva che comporta l'inefficacia ex tunc della delibera assembleare legittimante il recesso. In tal caso, non trova applicazione l'art. 2437-bis, comma 3, c.c., poiché la delibera originaria, essendo divenuta inefficace per verificazione della condizione risolutiva, non può essere revocata. Salvo patto contrario tra creditore e debitore, lo scioglimento del rapporto sociale rende esigibile il rimborso del finanziamento socio, sempre che la società debitrice non ritenga di invocare la regola della postergazione, sussistendone i presupposti di legge. Il caso La sentenza pronunziata dal Tribunale di Firenze deriva dall'azione promossa da un (ex) socio di una S.r.l., che ha citato in giudizio quest'ultima per domandare il rimborso di un finanziamento soci (oltre interessi) da lui erogato nella sua qualità di socio, sostenendone l'esigibilità dalla data di messa in liquidazione della S.r.l. o, in subordine, dalla successiva data di ricezione da parte della società della sua comunicazione di recesso fondata sulla revoca della liquidazione, o, in subordine ancora, dalla data di rinuncia da parte del socio alla sottoscrizione e liberazione del capitale, integralmente eroso dalle perdite. Nel dettaglio, la S.r.l. aveva inizialmente deliberato la liquidazione (anno 2014), e poi successivamente la revoca della stessa (anno 2015), sottoponendo però tale ultima decisione a una condizione risolutiva (consistente nel mancato recesso di un certo numero di soci con un esborso da liquidazione di quote non superiore a un certo ammontare). Verificatasi la condizione risolutiva, la delibera di revoca della liquidazione del 2015 aveva così perso efficacia ex tunc, restando la S.r.l. in liquidazione. Quindi, due anni dopo, la S.r.l. aveva nuovamente deliberato la revoca della liquidazione, sottoponendo la delibera ad una duplice condizione sospensiva (entrambe poi avveratasi nei mesi successivi, determinandosi quindi l'efficacia della revoca della liquidazione) e deliberando contestualmente anche una operazione di ricostituzione del capitale sociale eroso dalle perdite, cui l'attore non aveva aderito. La decisione dei giudici, pur implicando diverse questioni di rilievo, non ha comportato particolare difficoltà poiché, in corso di causa, la società ha corrisposto all'attore la somma, sostanzialmente nell'ammontare richiesto, senza negare il debito e nemmeno invocando la regola della postergazione. Non è però stato possibile dichiarare la cessazione della materia del contendere in quanto l'attore richiedeva il pagamento degli interessi «dal dì del dovuto», rispetto a cui si sono concentrate le analisi del Tribunale che, nei fatti, non ha aderito alla tesi attorea. Le questioni Il primo aspetto degno di nota nella sentenza in esame riguarda l'esigibilità del finanziamento socio dopo l'uscita dalla compagine sociale. Il tema, per la verità, è solo accennato nella sentenza, «posto che, in questa causa, la convenuta [la società n.d.r.] ha esplicitamente dichiarato di non voler invocare alcuna postergazione del credito dell'ex socio». Si tratta, però, di un aspetto da accennare, su cui si è puntualmente espressa un'interessante pronuncia milanese (Trib. Milano, 23 ottobre 2017, n. 10638). Il principio che dovrebbe guidare l'interprete, che sembra desumersi anche nella sentenza in commento, è il seguente: essendo l'art. 2467 c.c. una norma imperativa l'uscita dalla compagine sociale del socio finanziatore non può comportare un'automatica esclusione della disciplina sulla postergazione. Al contrario, la giurisprudenza ritiene che anche al momento della perdita della qualifica di socio dopo l'erogazione del finanziamento debbano essere verificati, prima di pattuire un rimborso, i presupposti della postergazione. Se sussistenti, società ed (ex) socio non possono definire un rimborso secondo la libera disponibilità delle parti, trattandosi di un finanziamento che nella sua genesi era un finanziamento socio a tutti gli effetti. Al proposito, dalla lettura della sentenza si desume – particolare interessante – la presenza nello statuto della società convenuta di una clausola contenente un termine quinquennale per il rimborso di finanziamenti dei soci una volta risolto il rapporto sociale, per qualsiasi motivo. Come a voler prevedere una regola organizzativa che, in ogni caso, contemplasse l'inesigibilità di finanziamenti erogati da (ex) soci immediatamente dopo la loro fuoriuscita dalla compagine. Secondo aspetto su cui si concentrano i giudici fiorentini riguarda stabilire il momento di effettiva uscita dell'attore dalla società. Sul punto, la sentenza è didascalica nell'evidenziare come (a) la mera delibera di messa in liquidazione non scioglie il rapporto sociale; (b) l'eventuale inefficacia – per verificazione della condizione risolutiva – della delibera legittimante il recesso rende a sua volta la comunicazione di recesso inefficace, essendo basta su di un presupposto che è venuto meno ex tunc (nel caso di specie l'avverarsi della condizione risolutiva aveva privato «ab origine di efficacia tanto la delibera di revoca della liquidazione quanto le dichiarazioni di recesso giustificate dalla sua adozione»); in tal modo, quindi, i giudici hanno bloccato in origine ogni disquisizione, appena accennata nella sentenza, sull'annoso tema dell'efficacia del recesso del socio (di cui si vedano infra alcuni accenni); (c) la mancata sottoscrizione di un aumento di capitale in sede di delibera di ricostituzione di capitale integralmente eroso per perdite determina lo scioglimento del rapporto sociale, fermo restando che se tale delibera di ricapitalizzazione è sottoposta a condizioni sospensive, lo scioglimento del rapporto si determina al momento della definitiva efficacia della delibera (per verificazione o mancata verificazione di condizioni sospensive). Terzo aspetto di interesse della sentenza - che richiama sul punto un caso analogo (Trib. Firenze, 12 dicembre 2023, causa 14348/2020), sentenza in cui i giudici avevano peraltro statuito l'inapplicabilità dell'art. 2467 c.c., in via analogica, alla società cooperativa a responsabilità limitata – riguarda la distinzione tra gli interessi moratori da quelli corrispettivi, determinando un decorso diverso tra gli stessi. Quelli di mora, infatti, decorrono necessariamente solo dopo il decorso del termine dilatorio pattizio per il rimborso dei finanziamenti soci previsto dallo statuto (5 anni nel caso che ci riguarda) mentre gli interessi corrispettivi sono fatti decorrere dalla data di scioglimento del rapporto sociale, di fatto non giustificandosi più l'assenza di interessi visto il venir meno della qualifica di socio. Osservazioni Il tema dell'efficacia del recesso dalla società è questione a lungo dibattuta in dottrina e giurisprudenza. Considerato l'oggetto della decisione, appare utile ripercorrerlo in estrema sintesi. Si scontrano al riguardo (a) la tesi dell'efficacia immediata secondo cui il momento dello scioglimento del vincolo societario si verifica alla ricezione da parte della società della dichiarazione di recesso, atto unilaterale e recettizio e (b) la tesi dell'efficacia differita al momento della liquidazione della partecipazione sociale, che si basa sulla dizione di recesso come fattispecie a formazione progressiva, che richiede quindi la verificazione dell'ultimo atto della fattispecie complessa (i.e. la liquidazione della partecipazione) per potersi dire avverata. Esistono, poi, tesi “intermedie”, tra cui quella secondo cui il recesso ha efficacia solo con il decorso del termine riconosciuto alla società per revocare la delibera che ha legittimato il diritto di recesso, oltre che circostanze di natura pattizia che modifichino la fattispecie. Ad esempio, l'Orientamento del Comitato dei Notai del Triveneto n. I.H.16 ritiene legittima una dichiarazione di recesso che sia risolutivamente condizionata all'ottenimento di certa valutazione minima. La tesi sub (a) è, per la verità, quella ormai più accreditata (cfr. anche Orientamenti del Comitato dei Notai del Triveneto n. I.H.5) con la precisazione che tale dichiarazione deve intendersi risolutivamente condizionata ex lege alla revoca della delibera legittimante il recesso o alla messa in liquidazione volontaria della società. Nel caso che si commenta la condizione risolutiva era stata anche apposta alla stessa delibera legittimante il recesso. Trattasi di una tecnicalità non infrequente usata dalle società su delibere legittimanti il recesso, per evitare di incappare nel rischio di dover far fronte ad un esborso eccessivo per le casse sociali a fronte di numerose richieste di recesso. In caso si superi un certo numero di richieste di recesso – o un certo ammontare da corrispondere ai soci receduti – il verificarsi della condizione determina la risoluzione della delibera, con conseguente inefficace ex tunc anche di eventuali dichiarazioni di recesso già esercitate. Pertanto, il socio receduto, stando alla tesi dell'efficacia immediata, dopo ave cessato di essere socio per effetto della ricezione della sua dichiarazione è automaticamente reintegrato nella compagine sociale, in conseguenza dell'effetto risolutorio della delibera legittimante il recesso. Conclusioni La sentenza in esame, per quanto sintetica, include una pluralità di spunti in merito a diversi temi di diritto societario: l'efficacia dell'esercizio del recesso, il rimborso del finanziamento socio dopo l'uscita dalla compagine sociale, la perdita della qualifica di socio per integrale perdita del capitale. Non da ultimo, l'operatività della condizione risolutiva apposta sulle delibere assembleari. Condizione che, se verificatasi, in coerenza con il disposto dell'art. 1360, primo comma, c.c., retroagisce sino alla data della delibera, privando di ogni effetto la delibera e tutti gli atti giuridici effettuati aventi a fondamento tale delibera. |