Responsabilità per cose in custodia e danno per lesione del diritto alla salute
Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2025, n. 5791
La natura del pregiudizio non patrimoniale, ontologicamente differente da quello subito dall'immobile di asserita proprietà, ne esige una espressa e puntuale allegazione. Nel caso specifico la sentenza di primo grado aveva disposto in favore della odierna ricorrente soltanto il risarcimento del danno ascrivibile al costo per il ripristino del cespite, sicché la domanda risarcitoria per il danno alla salute (ove pure per ipotesi dispiegata in prime cure) avrebbe dovuto costituire motivo di appello incidentale. Tizia invece – come narrato in ricorso – lo proponeva unicamente per ottenere la condanna di Caio alla “sistemazione definitiva dei difetti per cui è causa, onde evitare il verificarsi di nuove infiltrazioni”. In definitiva, il ricorso non chiarisce quando e come sia stata formulata l'istanza di ristoro del danno per lesione del diritto alla salute.
Caso “Diciotti”: profili civilistici legati alla prova del danno-conseguenza
Cass. civ. sez. un., 6 marzo 2025, n. 5992
Le Sezioni Unite hanno accolto il ricorso in relazione alla rilevata insussistenza di prova di un danno-conseguenza: nel caso del danno non patrimoniale da lesione dei diritti inviolabili della persona quel che rileva ai fini risarcitori non è la lesione in sé del diritto, ma le conseguenze pregiudizievoli che ne derivano, nella «doppia dimensione del danno relazionale/proiezione esterna dell'essere, e del danno morale/interiorizzazione intimistica della sofferenza» (Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2018, n. 901), ma tale prova può essere offerta anche a mezzo di presunzioni gravi, precise e concordanti; in particolare, in ipotesi, come nel caso di specie, di restrizione della libertà personale, il carattere presuntivo della prova ha un valore particolarmente forte.
Ciò tanto più ove si consideri la dimensione eminentemente soggettiva e interiore del pregiudizio che si tratta di risarcire (danno morale), all'esistenza del quale non corrisponde sempre una fenomenologia suscettibile di percezione immediata e, quindi, di conoscenza ad opera delle parti contrapposte al danneggiato. In tali casi ad un puntuale onere di allegazione non corrisponde, pertanto, un onere probatorio parimenti ampio. Tale “presunzione molto forte” può consistere, anche per il danno non patrimoniale, in massime di comune esperienza, basate su leggi naturali, statistiche, di scienza o di esperienza, comunemente accettate in un determinato contesto storico-ambientale, la cui utilizzazione nel ragionamento probatorio, e la cui conseguente applicazione, risultano doverose per il giudice, ravvisandosi, in difetto, illogicità della motivazione.
Per le Sezioni Unite non solo non si ravvisano ostacoli sistematici al ricorso al ragionamento probatorio fondato sulla massima di esperienza specie nella materia del danno non patrimoniale, e segnatamente in tema di danno morale, ma tale strumento di giudizio consente di evitare che la parte si veda costretta, nell'impossibilità di provare il pregiudizio dell'essere, ovvero della condizione di afflizione fisica e psicologica in cui si è venuta a trovare in seguito alla lesione subita, «ad articolare estenuanti capitoli di prova relativi al significativo mutamento di stati d'animo interiori da cui possa inferirsi la dimostrazione del pregiudizio patito».
Il risarcimento del danno parentale viene riconosciuto anche al compagno della madre “padre putativo” della bimba deceduta
Cass. civ., sez. III, 6 marzo 2025, n. 5984
«Il vincolo di sangue non è un elemento imprescindibile ai fini del riconoscimento del danno da lesione del rapporto parentale, dovendo esso essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, indipendentemente dalla circostanza che il rapporto sia intrattenuto con un parente di sangue o con un soggetto che non sia legato da un vincolo di consanguineità naturale, ma che ha con il danneggiato analoga relazione di affetto, di consuetudine di vita e di abitudini, e che infonda nel danneggiato quel sentimento di protezione e di sicurezza insito nel rapporto padre figlio (Cass. civ., sez. III, 15 novembre 2023, n. 31867)».
Nel caso specifico uno dei motivi di ricorso da parte dell'Ufficio Centrale Italiano aveva ad oggetto la liquidazione del danno da perdita di rapporto parentale disposta in favore del compagno della madre per la morte della figlia di quest'ultima in assenza di convivenza e della prova della effettiva assunzione da parte dell'istante del «ruolo morale e materiale di genitore». Il motivo è stato dichiarato inammissibile dai Supremi Giudici che hanno sottolineato come la Corte territoriale avesse reso una motivazione ragionevole e giuridicamente coerente affermando come sia le deposizioni testimoniali sia l'indagine medico legale fossero convergenti nel confermare il ruolo di “padre vicario” tenuto dal compagno della madre nei confronti della piccola sostituendosi al genitore biologico «del tutto eclissatosi dalla breve esistenza della figlia… venendo a subire, per la morte della bambina, un danno da perdita del rapporto parentale».
Risarcimento danni da ingiuria e accertamenti in sede civile dell'illiceità del fatto
Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2025, n. 6379
«In tema di azione di risarcimento danni da ingiuria, la sentenza di assoluzione “perché il fatto non costituisce più reato” pronunciata in appello a seguito dell'abrogazione della norma incriminatrice ex d.lgs. n. 7 del 2016, non ha per effetto la completa eliminazione dell'illiceità del fatto, la quale va, pertanto, accertata dal giudice civile con pienezza di cognizione e sulla base di un'adeguata valutazione, quantomeno indiziaria, delle acquisizioni fattuali e probatorie già compiute innanzi al giudice del dibattimento penale, onde evitare un'indebita dispersione delle stesse» (Cass. 34621/2023).
Nel caso di specie (il giudizio penale si concluse con una sentenza passata in giudicato, fatto qualificato come ingiuria, imputato assolto per depenalizzazione) la Cassazione dà continuità al principio perché se un fatto non è più rilevante penalmente, occorre comunque valutare se possa esserlo dal punto di vista della responsabilità civile: «il giudice civile ha il potere di una autonoma e distinta valutazione dei fatti ai fini del giudizio sulla responsabilità del convenuto. Ed è ciò che la Corte di Appello ha fatto». Il ricorso prospettante violazione dell'art. 2909 c.c. viene respinto. La tesi del ricorrente era la seguente: la sentenza penale qualificando il fatto come ingiuria accertava implicitamente la sussistenza del fatto e tale accertamento passato in giudicato avrebbe dovuto vincolare il giudice civile che invece aveva proceduto a «un esame autonomo della vicenda, ai fini civilistici, escludendo la illiceità del fatto stesso».
Danno non patrimoniale: quando il figlio ha diritto al risarcimento per la perdita della possibilità di avere dei fratelli?
Cass. civ. sez. III, 11 marzo 2025, n. 6517
La Cassazione sottolinea innanzitutto come «la fattispecie di un rapporto parentale già instaurato e quello di un tale rapporto futuro ed eventuale non siano paragonabili», in quanto la seconda ipotesi attiene al danno da perdita di chance, ovvero di un'apprezzabile e non prettamente aleatoria “possibilità” del rapporto parentale, «viceversa soggetto per natura a mutevoli accadimenti e intendimenti»; in secondo luogo, deve sussistere l'allegazione non solo del progetto di famiglia più numerosa, ma anche del «connesso tipo di pregiudizio di cui si chiede il ristoro, rispetto allo specifico soggetto familiare che lo domanda».
Inoltre «non viene in gioco, anche ai fini dell'emersione del “danno-conseguenza”, il numero dei fratelli o delle sorelle, come se la mancanza di una pluralità di questi significhi strutturalmente un pregiudizio» e infine il pregiudizio, perché sia risarcibile, «deve concernere la relazione parentale effettivamente risultata attesa e quindi persa nella singolare concretezza della vicenda di vita, ossia nel richiamato contesto specifico di famiglia nonché nella connessa dimensione individuale da illuminare in relazione a quello e alla plausibile evoluzione psicologica, per quanto si palesi ricostruibile al momento dell'accertamento». Nel caso di specie in cui il ricorso viene rigettato, i ricorrenti (che lamentavano violazione degli artt. 2043, 2059, 1226, 2727 c.c. e artt. 2, 3, 29, 30, 31 Cost., avendo per costoro errato la Corte d'appello nel non considerare che la sopravvenuta incapacità di procreare aveva comportato «la perdita del futuro rapporto con un fratello o una sorella, sicuro quanto ineguagliabile sostegno personale»), non hanno effettuato le specifiche allegazioni richieste, che avrebbero potuto implicare «valutazioni fattuali e presuntive, in chiave probabilistica, e che avrebbero dovuto costituire il precisato perimetro della discussione davanti al giudice di appello, prima che del confronto con le censure da specificare davanti a questa Corte».
Infortunio del minore: quale azione devono esperire i genitori per il risarcimento del danno?
Cass. civ., sez. III, 11 marzo 2025, n. 6496
La domanda dei genitori era basata sulla responsabilità ex art. 2048 c.c., in particolare degli insegnanti e addetti all'asilo comunale dove avvenne l'incidente «per non avere adeguatamente vigilato sui bambini loro affidati…». La Cassazione sottolinea come il contratto di assicurazione tra Comune e assicuratrice era una polizza cumulativa per conto di chi spetta, ai sensi dell'art. 1891 c.c., ossia in favore dei bambini frequentanti l'asilo; l'indennizzo quindi, per gli eventi assicurati tra cui quello avvenuto nel caso di specie, poteva essere chiesto direttamente nei confronti dell'assicurazione dai genitori dei bambini.
I giudici di appello hanno ritenuto ammissibile l'azione risarcitoria (art. 2048 c.c.) direttamente da parte dei genitori della minore nei confronti dell'impresa assicuratrice, senza che questa modalità di azione in giudizio fosse prevista da contratto, né dalla legge. Ipotesi di azione risarcitoria diretta sono previste dagli artt. 141 e 144, d.lgs. n. 209/2005 (c.d. cod. ass.). Come evidenziato dai Supremi Giudici, nella giurisprudenza della Corte vi è un precedente da ritenersi favorevole all'azione diretta fuori dalle ipotesi previste «con potenziale attinenza al caso di specie (trattasi di Cass. civ., sez. VI, 20 dicembre 2017, n. 30653). Tuttavia, nella detta fattispecie […] quella esperita dal danneggiato nei confronti della compagnia d'assicurazione era l'azione volta al riconoscimento dell'indennizzo e non l'azione risarcitoria». I primi tre motivi tutti vertenti sulla qualificazione del contratto di assicurazione e sui diritti e le azioni che dallo stesso o dalla legge derivano, sono accolti dai Supremi Giudici.
Responsabilità di padroni e committenti e danno ai membri della famiglia nucleare originaria
Cass. civ., sez. III, 11 marzo 2025, n. 6500
La Cassazione affronta il tema relativo alla liquidazione del danno in favore dei fratelli di una persona deceduta sul lavoro in punto di non necessità di prova quantomeno con riferimento al danno morale e necessità di prova del solo danno dinamico relazionale a carico del danneggiato, dando continuità all'orientamento di Cass. n. 5769 del 4 marzo 2024.
«La morte di una persona causata da un illecito fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c. una conseguente sofferenza morale in capo, oltre che ai membri della famiglia nucleare “successiva” (coniuge e figli della vittima), anche ai membri della famiglia “originaria” (genitori e fratelli), a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero né che fossero distanti (circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del quantum debeatur); in tali casi grava sul convenuto l'onere di provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo (Cass. 15 febbraio 2018, n. 3767; Cass. 15 luglio 2022, n. 22397; v. anche Cass. 30 agosto 2022, n. 25541 e, già, Cass. 16 marzo 2012, n. 4253). Nel caso di specie, la Cassazione aderisce alla giurisprudenza richiamata e nell'accogliere il ricorso presentato dai congiunti del danneggiato (deceduto sul lavoro) evidenzia che il rilievo della Corte di merito secondo cui il pregiudizio da perdita del rapporto parentale avrebbe dovuto essere provato da chi ne chiedeva il risarcimento, è erroneo in diritto, perché la circostanza che questo pregiudizio integrasse un danno-conseguenza, non intaccava la presunzione iuris tantum della sua sussistenza, in base alla quale gravava sul danneggiante (datore di lavoro) l'onere di fornire la prova contraria.
Infortunio sul lavoro ed onere della prova
Cass. civ., sez. lav., 20 marzo 2025, n. 7436
La Cassazione rigetta il ricorso di un dipendente che si occupava della pulizia di un istituto scolastico in quanto inammissibile perché avente ad oggetto una valutazione di merito e per mancato assolvimento dell'onere della prova. Evidenziano i Giudici come nel caso specifico la Corte territoriale avesse ritenuto, sulla base di una valutazione di merito non ripetibile in sede di legittimità e, comunque, non contestata con la necessaria specificità la dinamica dell'infortunio, la descrizione del ricorrente imprecisa e lacunosa: in particolare, la mancata prospettazione delle caratteristiche dell'infortunio occorso, quanto al decorso cronologico e causale degli accadimenti - con precipuo riguardo alla postura del lavoratore al momento dell'infortunio, alla tipologia delle superfici che stava pulendo, alle modalità con cui aveva impugnato lo sgrassatore, al fatto che la fuoriuscita del liquido fosse dipeso da una sua disattenzione o meno. Il ricorrente con il suo motivo di ricorso chiedeva alla Suprema Corte di sostituirsi al giudice del merito nell'accertare le circostanze di causa e rivalutare le risultanze istruttorie senza, però, colmare neppure nel ricorso per Cassazione le lacune in tema di allegazioni e istruttoria evidenziate da entrambe le Corti di merito.