Tributario

Sanzioni tributarie e favor rei, profili di incostituzionalità della legge di riforma?

Francesco Naio
09 Aprile 2025

La Corte di Cassazione si interroga sulla sussistenza di profili di incostituzionalità della riforma dell’apparato sanzionatorio tributario in ordine all’espressa esclusione della valenza dello ius superveniens con riferimento al principio del favor rei e la conseguente applicazione delle disposizioni sanzionatorie più favorevoli al contribuente.

La revisione dell'assetto sanzionatorio tributario

Con l'adozione del D. Lgs. 14 giugno 2024, n. 87, rientrante nella più ampia cornice della riforma fiscale, l'esecutivo si è proposto l'ambizioso fine di una revisione globale del sistema sanzionatorio tributario, sia sotto il profilo amministrativo che sotto quello penale.

Se l'intento del governo abbia avuto o meno esito fausto, è valutazione che esula dal presente contributo. Viceversa, in questa sede occorrerà focalizzare l'attenzione sulle finalità perseguite dalla riforma in ordine al riassetto del sistema sanzionatorio, sintetizzate nell'art. 20 della L. 9 agosto 2023, n. 111 (Legge delega).

La norma, infatti, enuclea princìpi e criteri direttivi per la revisione del sistema sanzionatorio tributario in materia di imposte sui redditi, IVA ed altri tributi erariali indiretti, nonché dei tributi degli Enti territoriali, incidendo direttamente e in modo significativo sul portato normativo dei Decreti Legislativi n. 74/2000, n. 471/1997 e n. 472/1997.

L'obiettivo dichiarato dell'art. 20 consiste nel perfezionare l'integrazione tra i sistemi sanzionatori amministrativo e penale, provvedendo all'eliminazione di sovrapposizioni che potrebbero violare il principio del ne bis in idem, nonché alla riduzione effettiva del peso delle sanzioni, con particolare attenzione alle imposte sui redditi e all'IRAP.

Se l'intento della riforma è certo lodevole, non è altrettanto scontato formulare analogo giudizio circa gli effetti concreti della novella. In tal senso si è sviluppato un dibattito intorno a temi particolarmente sensibili, a cominciare dal già richiamato principio del ne bis in idem fino al recente approdo al tema delle limitazioni previste dall'art. 5 del D.Lgs. n. 87/2024 alla retroattività del principio del favor rei nelle sanzioni tributarie.

Secondo il richiamato art. 5 del D.Lgs. n. 87/2024, infatti, talune norme (tra cui proprio gli artt. 2, 3 e 4, che prevedono un'attenuazione della misura delle sanzioni tributarie amministrative) sono applicabili esclusivamente alle violazioni commesse a decorrere dal 1° settembre 2024, così delineando, pertanto, profili di irretroattività della lex mitior.

Da ciò discende, con ogni evidenza, una potenziale violazione del principio, di matrice penalistica, del favor rei, che notoriamente trova espressione, in ambito tributario, nel terzo comma dell'art. 3 del D.Lgs. n. 472/1997, a norma del quale “[s]e la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo”.

L'introduzione, in ambito sanzionatorio amministrativo, del principio del favor rei determinò un vero e proprio cambio di paradigma rispetto a quello retto dalla precedente regola dell'ultrattività della norma sanzionatoria, originariamente disciplinata dall'art. 20 della L. 7 gennaio 1929, n. 4, secondo cui “[l]e disposizioni penali delle leggi finanziarie e quelle che prevedono ogni altra violazione di dette leggi si applicano ai fatti commessi quando tali disposizioni erano in vigore, ancorché le disposizioni medesime siano abrogate o modificate al tempo della loro applicazione”.

La novella del 2024, pertanto, parrebbe porsi in contrasto con la regola della retroattività della disposizione sanzionatoria più mite, naturale effetto del principio del favor rei.

Per tale ragione, sul profilato contrasto con la regola de qua si sono soffermate le sentenze n. 34909/2024, n. 2950/2025 e n. 1274/2025, con cui la Corte di cassazione ha inteso affrontare, con esiti divergenti, il tema della legittimità costituzionale della norma in oggetto.

I primi dubbi della Suprema Corte: profili di incostituzionalità

La sentenza n. 34909/2024

Con la pronuncia n. 34909 del 30 dicembre 2024, la Suprema Corte ha affrontato il caso di un contribuente cui la Guardia di Finanza aveva contestato di aver investito capitali in Svizzera tra il 2004 e il 2009 senza provvedere alla relativa dichiarazione. Conseguentemente alla contestazione della Guardia di Finanza, l'Agenzia delle Entrate aveva emesso avvisi di accertamento per redditi da capitale non dichiarati in relazione agli interessi percepiti per oltre duecentomila euro su fondi detenuti all'estero, da assoggettare a imposta sostitutiva del 27%.

Nei gradi di merito il contribuente aveva ottenuto pronunce parzialmente favorevoli, essendo stata ritenuta l'efficacia della procedura di scudo fiscale da questi promossa, nei limiti degli importi dichiarati.

Nel successivo giudizio di legittimità, la Corte di cassazione ha respinto sei dei sette motivi di ricorso presentati dal contribuente accogliendo, per quanto qui di interesse, il sesto motivo con cui è stata invocata l'applicazione del principio del favor rei in materia di sanzioni tributarie amministrative, in considerazione dell'intercorsa diminuzione dell'entità delle sanzioni previste per la fattispecie di dichiarazione infedele a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 158/2015 e della L. n. 208/2015.

In tal senso, da una parte il Collegio ha puntualizzato che, se è vero che il D.Lgs. n. 158/2015 non ha previsto una riduzione generalizzata delle sanzioni, è tuttavia innegabile che abbia introdotto a regime talune disposizioni più favorevoli per il contribuente. Tale ius superveniens, pertanto, dovrebbe trovare applicazione nei giudizi ancora in essere, come reiteratamente stabilito dalla giurisprudenza di legittimità.

Tuttavia, ha sostenuto la Corte, “è compito innanzitutto del giudice del merito pronunziarsi sul se debba applicarsi al contribuente una disciplina sanzionatoria più favorevole”: ragion per cui la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Giudice d'appello per un nuovo giudizio.

Ma non solo. Il Collegio ha altresì statuito nel senso per cui il giudice di merito, “verificato quale sia la corretta sanzione applicabile”, sarà tenuto a valutare altresì la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 del D. Lgs. n. 87/2024, sollevata dal ricorrente in sede di memoria (nello stesso senso e con identica motivazione Cass. 5 febbraio 2025, n. 2950).

Si tratta, se così è lecito esprimersi, di un riconoscimento de facto (ma con rinvio al giudice del merito per un vaglio effettivo) della rilevanza della questione di legittimità costituzionale della norma in esame. La Corte non si dilunga sul punto, limitandosi a una motivazione in parte qua alquanto cursoria, ma è evidente come la stessa sia stata sfiorata dal dubbio circa la sussistenza di un contrasto tra l'art. 5 del D. Lgs. n. 87/2024 e il principio del favor rei sancito dall'art. 3, co. 3, del D. Lgs. n. 472/1997. L'art. 5, infatti, sembrerebbe rappresentare un'anomalia, introducendo nel sistema una disparità di trattamento fra contribuenti sulla scorta del dato della decorrenza della violazione, viceversa senza tener conto della gravità e della natura della condotta sanzionata.

La sentenza n. 1274/2025

Se con la sentenza ora esaminata la Suprema Corte ha di fatto dato via libera a un'interpretazione dell'art. 5 quale norma potenzialmente in conflitto con il principio cardine del favor rei sanzionatorio, con la pronuncia (di poco successiva) n. 1274 del 19 gennaio 2025 ha, di converso, chiuso le porte a eventuali scenari di illegittimità costituzionale della norma in esame soffermandosi sul tema, diversamente dalla statuizione sopra considerata, con ampia motivazione.

La sentenza ha ad oggetto il caso di una società di capitali sottoposta ad accertamento fiscale per indebite detrazioni IVA operate in relazione a fatture ricevute da alcune agenzie di viaggio.

Per quanto qui di interesse, la ricorrente ha invocato l'applicazione della meno afflittiva sanzione prevista dall'art. 5 del D. Lgs. n. 87/2024, sostenendo che la norma violava il principio della retroattività della lex mitior.

Tuttavia, la Corte ha rigettato la richiesta, con conferma dell'irrogazione delle sanzioni nella misura prevista dalla normativa vigente al momento della commissione della violazione, statuendo nel senso che l'irrogazione della sanzione più favorevole deve intendersi preclusa da un'espressa previsione normativa.

Ma, soprattutto, il Collegio ha inteso rimarcare la legittimità costituzionale delle limitazioni alla retroattività del principio della lex mitior introdotte dalla novella, ritenendo la deroga al principio della retroattività pienamente giustificata dalla necessità di garantire un efficace bilanciamento con altri diritti di rango costituzionale o eurounitario, a cominciare dal fatto che la revisione al ribasso della misura delle sanzioni non può che influire sulle previsioni relative alle entrate statali, quindi su molteplici profili e finalità propri dell'azione pubblica: “Basti considerare – secondo il ragionamento dei Giudici – che un intervento di tale portata, e la previsione di sanzioni più leggere, con conseguente riduzione di risorse già preventivate, al di là delle esigenze di rispetto dei principi di equilibrio di bilancio e di sostenibilità del debito pubblico, ex art. 97 Cost., riversa direttamente i suoi effetti sul raggiungimento di prestazioni standard in materia di rango costituzionale altrettanto sensibili, quali le prestazioni sanitarie (art. 32 Cost.), scolastiche (art. 34 Cost.), di sicurezza pubblica, ecc.”.

Nel far ciò, la Suprema Corte ha richiamato i precedenti giurisprudenziali (Corte costituzionale, sentenze n. 63 del 21 marzo 2019 e n. 68 del 16 aprile 2021) con cui il Giudice delle leggi ha ammesso la possibilità di introdurre deroghe al principio del favor rei al fine di tutelare interessi di pari rango costituzionale, nonché la recente sentenza C-107/23 del 24 luglio 2023 con cui la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha stabilito che gli Stati membri possono introdurre limitazioni legali all'efficacia retroattiva della lex mitior laddove ciò si renda necessario al fine di tutelare obiettivi di interesse generale, tra i quali rientra pacificamente l'equilibrio di bilancio.

In casi consimili, pertanto, sorge l'esigenza di effettuare una comparazione tra diritti aventi pari rango, al cui esito “la lex mitior può risultare recessiva, giustificandosene dunque la deroga”.

In conclusione

Dalle pronunce esaminate appare con chiarezza come, ad oggi, non sia ravvisabile una posizione univoca della Corte di cassazione in tema di favor rei sanzionatorio, sebbene allo stato dell'arte la bilancia penda, con tutta evidenza, verso soluzioni di apertura alla derogabilità della retroattività della legge più favorevole, non foss'altro che per lo sforzo interpretativo effettuato con la sentenza n. 1274/2025 e invero del tutto assente nelle pronunce n. 34909/2024 e n. 2950/2025.

La sentenza del 19 gennaio scorso, in particolare, evidenzia la necessità di individuare un punto di equilibrio tra il principio del favor rei e ulteriori e differenti esigenze costituzionali e di interesse pubblico. Da un lato, la Corte conferma l'importanza di applicare la disposizione più favorevole al reo al fine di garantire un trattamento il più possibile equo e giusto; dall'altro, sottolinea la necessità di procedere a un ponderato contemperamento di tale principio con altri diritti e obiettivi di pari rango costituzionale, quali (nel caso di specie) la sostenibilità del debito pubblico e l'equilibrio di bilancio.

Qualora la linea inaugurata dalla pronuncia n. 1274/2025 venisse seguita da altre sentenze di legittimità, dando origine a un vero e proprio orientamento, sarebbe dunque auspicabile che eventuali future riforme tenessero conto delle relative implicazioni giuridiche, provvedendo a un'adeguata armonizzazione “a monte” del principio del favor rei con ulteriori esigenze e diritti costituzionalmente presidiati, al fine precipuo di scongiurare il pericolo di comprimere eccessivamente i diritti dei contribuenti nell'ottica del bilanciamento tra interessi e di dare, di fatto, la stura a disparità di trattamento.

Medio tempore e in ogni caso, si resta in attesa del responso dei giudici di merito investiti dalle pronunce n. 34909/2024 e n. 2950/2025 in ordine alla fondatezza delle rispettive questioni di legittimità costituzionale.

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