I primi dubbi della Suprema Corte: profili di incostituzionalità
La sentenza n. 34909/2024
Con la pronuncia n. 34909 del 30 dicembre 2024, la Suprema Corte ha affrontato il caso di un contribuente cui la Guardia di Finanza aveva contestato di aver investito capitali in Svizzera tra il 2004 e il 2009 senza provvedere alla relativa dichiarazione. Conseguentemente alla contestazione della Guardia di Finanza, l'Agenzia delle Entrate aveva emesso avvisi di accertamento per redditi da capitale non dichiarati in relazione agli interessi percepiti per oltre duecentomila euro su fondi detenuti all'estero, da assoggettare a imposta sostitutiva del 27%.
Nei gradi di merito il contribuente aveva ottenuto pronunce parzialmente favorevoli, essendo stata ritenuta l'efficacia della procedura di scudo fiscale da questi promossa, nei limiti degli importi dichiarati.
Nel successivo giudizio di legittimità, la Corte di cassazione ha respinto sei dei sette motivi di ricorso presentati dal contribuente accogliendo, per quanto qui di interesse, il sesto motivo con cui è stata invocata l'applicazione del principio del favor rei in materia di sanzioni tributarie amministrative, in considerazione dell'intercorsa diminuzione dell'entità delle sanzioni previste per la fattispecie di dichiarazione infedele a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 158/2015 e della L. n. 208/2015.
In tal senso, da una parte il Collegio ha puntualizzato che, se è vero che il D.Lgs. n. 158/2015 non ha previsto una riduzione generalizzata delle sanzioni, è tuttavia innegabile che abbia introdotto a regime talune disposizioni più favorevoli per il contribuente. Tale ius superveniens, pertanto, dovrebbe trovare applicazione nei giudizi ancora in essere, come reiteratamente stabilito dalla giurisprudenza di legittimità.
Tuttavia, ha sostenuto la Corte, “è compito innanzitutto del giudice del merito pronunziarsi sul se debba applicarsi al contribuente una disciplina sanzionatoria più favorevole”: ragion per cui la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Giudice d'appello per un nuovo giudizio.
Ma non solo. Il Collegio ha altresì statuito nel senso per cui il giudice di merito, “verificato quale sia la corretta sanzione applicabile”, sarà tenuto a valutare altresì la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 del D. Lgs. n. 87/2024, sollevata dal ricorrente in sede di memoria (nello stesso senso e con identica motivazione Cass. 5 febbraio 2025, n. 2950).
Si tratta, se così è lecito esprimersi, di un riconoscimento de facto (ma con rinvio al giudice del merito per un vaglio effettivo) della rilevanza della questione di legittimità costituzionale della norma in esame. La Corte non si dilunga sul punto, limitandosi a una motivazione in parte qua alquanto cursoria, ma è evidente come la stessa sia stata sfiorata dal dubbio circa la sussistenza di un contrasto tra l'art. 5 del D. Lgs. n. 87/2024 e il principio del favor rei sancito dall'art. 3, co. 3, del D. Lgs. n. 472/1997. L'art. 5, infatti, sembrerebbe rappresentare un'anomalia, introducendo nel sistema una disparità di trattamento fra contribuenti sulla scorta del dato della decorrenza della violazione, viceversa senza tener conto della gravità e della natura della condotta sanzionata.
La sentenza n. 1274/2025
Se con la sentenza ora esaminata la Suprema Corte ha di fatto dato via libera a un'interpretazione dell'art. 5 quale norma potenzialmente in conflitto con il principio cardine del favor rei sanzionatorio, con la pronuncia (di poco successiva) n. 1274 del 19 gennaio 2025 ha, di converso, chiuso le porte a eventuali scenari di illegittimità costituzionale della norma in esame soffermandosi sul tema, diversamente dalla statuizione sopra considerata, con ampia motivazione.
La sentenza ha ad oggetto il caso di una società di capitali sottoposta ad accertamento fiscale per indebite detrazioni IVA operate in relazione a fatture ricevute da alcune agenzie di viaggio.
Per quanto qui di interesse, la ricorrente ha invocato l'applicazione della meno afflittiva sanzione prevista dall'art. 5 del D. Lgs. n. 87/2024, sostenendo che la norma violava il principio della retroattività della lex mitior.
Tuttavia, la Corte ha rigettato la richiesta, con conferma dell'irrogazione delle sanzioni nella misura prevista dalla normativa vigente al momento della commissione della violazione, statuendo nel senso che l'irrogazione della sanzione più favorevole deve intendersi preclusa da un'espressa previsione normativa.
Ma, soprattutto, il Collegio ha inteso rimarcare la legittimità costituzionale delle limitazioni alla retroattività del principio della lex mitior introdotte dalla novella, ritenendo la deroga al principio della retroattività pienamente giustificata dalla necessità di garantire un efficace bilanciamento con altri diritti di rango costituzionale o eurounitario, a cominciare dal fatto che la revisione al ribasso della misura delle sanzioni non può che influire sulle previsioni relative alle entrate statali, quindi su molteplici profili e finalità propri dell'azione pubblica: “Basti considerare – secondo il ragionamento dei Giudici – che un intervento di tale portata, e la previsione di sanzioni più leggere, con conseguente riduzione di risorse già preventivate, al di là delle esigenze di rispetto dei principi di equilibrio di bilancio e di sostenibilità del debito pubblico, ex art. 97 Cost., riversa direttamente i suoi effetti sul raggiungimento di prestazioni standard in materia di rango costituzionale altrettanto sensibili, quali le prestazioni sanitarie (art. 32 Cost.), scolastiche (art. 34 Cost.), di sicurezza pubblica, ecc.”.
Nel far ciò, la Suprema Corte ha richiamato i precedenti giurisprudenziali (Corte costituzionale, sentenze n. 63 del 21 marzo 2019 e n. 68 del 16 aprile 2021) con cui il Giudice delle leggi ha ammesso la possibilità di introdurre deroghe al principio del favor rei al fine di tutelare interessi di pari rango costituzionale, nonché la recente sentenza C-107/23 del 24 luglio 2023 con cui la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha stabilito che gli Stati membri possono introdurre limitazioni legali all'efficacia retroattiva della lex mitior laddove ciò si renda necessario al fine di tutelare obiettivi di interesse generale, tra i quali rientra pacificamente l'equilibrio di bilancio.
In casi consimili, pertanto, sorge l'esigenza di effettuare una comparazione tra diritti aventi pari rango, al cui esito “la lex mitior può risultare recessiva, giustificandosene dunque la deroga”.