Concordato fallimentare proposto da un terzo: la tutela del fallito in caso di esubero di attivo

12 Gennaio 2012

La proposta di concordato presentata da un terzo nell'ambito di una procedura fallimentare cd. capiente, può configurare un'ipotesi di abuso del diritto ed è quindi inammissibile quando, assicurando il pagamento integrale di tutti i creditori, si risolve in una lesione del diritto del fallito a rientrare nella disponibilità della parte di patrimonio la cui liquidazione in sede fallimentare non sarebbe stata necessaria per il soddisfacimento di tutti i creditori.

La proposta di concordato presentata da un terzo nell'ambito di una procedura fallimentare cd. capiente, può configurare un'ipotesi di abuso del diritto ed è quindi inammissibile quando, assicurando il pagamento integrale di tutti i creditori, si risolve in una lesione del diritto del fallito a rientrare nella disponibilità della parte di patrimonio la cui liquidazione in sede fallimentare non sarebbe stata necessaria per il soddisfacimento di tutti i creditori.

La disciplina del concordato fallimentare consente ora, ed è come noto una novità rispetto al regime previgente, la presentazione di una proposta anche da parte di un soggetto diverso dal fallito.
Il favor del legislatore per le proposte provenienti dai terzi si esprime in vario modo, in primis con l'esclusione del terzo dalle limitazioni temporali previste per la proposta del fallito e con la previsione della possibilità di acquistare le azioni di massa e di introdurre le cd. clausole limitative della responsabilità (art. 124, ultimo comma, l. fall.).
Nei fallimenti caratterizzati da un significativo esubero dell'attivo da liquidare rispetto al passivo può verificarsi il caso di un terzo che offre subito la somma necessaria per il pagamento di tutti i creditori contro l'acquisizione di un attivo di valore ampiamente superiore alla somma messa a disposizione della procedura, così realizzando una lesione del diritto del fallito a rientrare nella disponibilità di quella parte dell'attivo che, in caso di prosecuzione del fallimento, non sarebbe necessario liquidare per il soddisfacimento dei creditori.
Le strade percorribili per evitare tale lesione patrimoniale sono due.
La prima è quella di ritenere che il parere di convenienza della proposta, che curatore e comitato dei creditori sono chiamati a dare prima che la proposta possa venir comunicata ai creditori aventi diritto al voto, debba in tali ipotesi ricomprendere anche la valutazione dell'interesse del fallito.
Supporta una soluzione di questo tipo il principio generale secondo cui nel fallimento anche l'interesse del fallito è meritevole di considerazione da parte degli organi della procedura: il fallito deve essere sentito, ove lo chieda, nel corso della verifica dei crediti e deve poter interloquire in sede di approvazione del rendiconto della gestione, proprio perché ha un qualificato interesse alla correttezza dell'accertamento del passivo e all'efficacia della gestione della fase di realizzazione e liquidazione dell'attivo da parte della curatela. Così ragionando, l'omessa valutazione dell'interesse del fallito potrebbe quindi integrare violazione di legge legittimante il reclamo al giudice delegato ex art. 36 l. fall., con conseguente intervento di garanzia dell'organo cui spetta il controllo di legittimità e regolarità della procedura.
La seconda strada, più diretta ed immediata e per tale ragione preferibile, è quella che conduce ad una valutazione della proposta come "lesiva" e quindi tale da farla rientrare nell'area di operatività dell'abuso del diritto.
Tale valutazione, inerendo a profili di legittimità, ben autorizzerebbe il giudice delegato a dichiarare inammissibile la proposta, a prescindere dall'eventuale ravvisata sua convenienza da parte di un curatore e di un comitato esclusivamente concentrati sulla valutazione degli interessi del ceto creditorio all'integrale e più rapido soddisfacimento.

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