Con una certa frequenza molti curatori ricevono intimazioni dalle Agenzie delle Entrate per il pagamento di imposte di imprese fallite a causa di irregolarità risultanti dal controllo automatizzato della dichiarazione modello I.V.A.
Nelle stesse comunicazioni si fa altresì riferimento all'ipotesi di reato di cui all'art. 10-ter d.Lgs. n. 74/2000, norma in base alla quale l'Ufficio (ovvero il responsabile del procedimento firmatario della comunicazione) sarebbe tenuto a procedere alla denuncia alla Procura della Repubblica per gli omessi versamenti contestati.
Trattandosi in genere di debiti d'imposta maturati prima della sentenza di fallimento, i professionisti destinatari delle intimazioni provano un grave disagio, ritenendole palesemente prive di fondamento se non addirittura vessatorie.
I motivi – in breve - sono i seguenti:
• anzitutto l'Agenzia delle Entrate è informata della dichiarazione di fallimento con apposita comunicazione ex art. 35 d.p.r. n. 633/1972, e mostra comunque di essere a conoscenza dell'esistenza della procedura in quanto le comunicazioni in oggetto sono indirizzate appunto ad un destinatario che è il curatore del fallimento;
• l'Agenzia delle Entrate, poi, spesso risulta già avere insinuato al passivo del fallimento - per mezzo del concessionario della riscossione - propri crediti di natura tributaria e contributiva; da ciò consegue che i funzionari non possono dichiarare o sostenere di non essere a conoscenza dell'intervenuta dichiarazione di fallimento.
Ebbene, il curatore, nell'esercizio delle sue funzioni:
• è pubblico ufficiale ai sensi dell'art. 30 l. fall.;
• non rappresenta il fallito e, in caso di società, non è quindi l'amministratore formale della società fallita, anche perchè l'organo amministrativo permane virtualmente in carica anche durante il fallimento;
• ai sensi dell'art. 31 l. fall. il curatore ha solo l'amministrazione del patrimonio fallimentare con lo scopo previsto dall'art. 38 l. fall. di realizzare il programma di liquidazione dell'attivo ai fini del successivo riparto.
Più in generale, il quadro delle norme di carattere tributario, integrate dalle norme speciali fallimentari, prevede che:
• il curatore fallimentare, ai sensi del combinato disposto dell'art. 74-bis del d.p.r. n. 633/1972 e del d.p.r. n. 322/1998, presenta la dichiarazione I.V.A. per la parte dell'anno precedente alla dichiarazione di fallimento, e ciò con la dichiarata finalità di permettere all' Ufficio di effettuare l'insinuazione al passivo del fallimento ai sensi dell'art. 87 del d.p.r. n. 602/1973;
• la legge fallimentare, all'art. 52, detta le regole del concorso dei creditori antecedenti alla dichiarazione di fallimento, creditori di cui fa parte anche l'Amministrazione Finanziaria, alla quale, se del caso, spettano solo i privilegi previsti dalla legge, e non altri tipi di preferenza.
Dal quadro delle norme citate si rileva quindi che:
• il fallimento non può pagare gli importi richiesti a chi non sia stato ammesso al passivo nelle forme di cui agli artt. 92 e ss. l. fall.;
• il curatore, quale organo di giustizia, non può essere imputato del reato di cui all'art. 10-ter del d.lgs. n. 74/2000 perchè, pur avendo inoltrato come previsto dalla legge la dichiarazione I.V.A. con omissioni di versamento precedenti alla dichiarazione di fallimento (imputabili come tali al fallito), non può per disposizione della legge fallimentare operare versamenti al di fuori dei riparti previsti dall'artt. 110 e ss. della medesima legge;
• il curatore fallimentare non ha la libera disponibilità dei fondi fallimentari, sui quali può operare, ai sensi dell'art. 34 l. fall., solo dietro autorizzazione del Giudice Delegato al fallimento.
Da ciò consegue quindi che il pronome “chiunque” cui fa riferimento il citato art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000 per indicare l'autore del reato non si può riferire certo al curatore fallimentare, il quale soggiace alle norme fallimentari che gli impediscono di effettuare pagamenti al di fuori dal concorso fallimentare.