Revoca del concordato preventivo e rapporto con il fallimento

Valentina Armaroli
29 Marzo 2016

In caso di proposta di concordato preventivo presentata nell'ambito di un procedimento prefallimentare, il contraddittorio tra creditore istante e debitore deve ritenersi già correttamente instaurato in tale sede, essendo necessaria e sufficiente ai fini del sub-procedimento di revoca della procedura concordataria e dell'eventuale dichiarazione di fallimento, la sola convocazione del rappresentante legale della società.
Massima

In caso di proposta di concordato preventivo presentata nell'ambito di un procedimento prefallimentare, il contraddittorio tra creditore istante e debitore deve ritenersi già correttamente instaurato in tale sede, essendo necessaria e sufficiente ai fini del sub-procedimento di revoca della procedura concordataria e dell'eventuale dichiarazione di fallimento, la sola convocazione del rappresentante legale della società.

Il caso

La controversia sottoposta al vaglio dei Giudici di legittimità riguarda il caso di un'istanza di fallimento promossa nei confronti di una società in accomandita semplice, poi trasformatasi in società a responsabilità limitata nel corso dell'istruttoria prefallimentare, la quale ha successivamente presentato domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo.
Il Tribunale di Vicenza ha inizialmente ammesso la società al concordato per poi revocare tale procedura ai sensi dell'art. 173 l. fall. e dichiarare contestualmente il fallimento sia della società che dell'ex socio accomandatario. Dall'ordinanza si apprende che avverso tale sentenza il socio ha proposto reclamo, poi respinto, alla Corte d'Appello di Venezia, deducendo la lesione del proprio diritto di difesa in quanto, sebbene sia comparso in sede prefallimentare quale legale rappresentante della s.a.s., non ha ricevuto una nuova convocazione in sede di procedimento di revoca del concordato della s.r.l.
Contro questa decisione propone ricorso per cassazione il socio, deducendo violazione o falsa applicazione degli artt. 15 e 173 l. fall. nonché dell'art. 24 Cost. in quanto sarebbe stato leso il suo diritto di difesa.

La questione

Il caso portato all'attenzione dei Giudici di legittimità pone il problema della violazione delle norme che disciplinano la revoca del concordato nonché della violazione del diritto di difesa dell'ex socio illimitatamente responsabile.
Al problema la Corte fornisce una soluzione articolata in una serie di sintetiche affermazioni: 1) l'articolo 173 l. fall. non è stato violato in quanto è stata disposta la comunicazione al rappresentante legale della società dell'udienza di comparizione ai fini della revoca del concordato (e anche dell'eventuale dichiarazione di fallimento); 2) quanto alla convocazione e alla comparizione dell'ex socio illimitatamente responsabile, la stessa è stata disposta e ha avuto luogo già in sede prefallimentare; 3) con riferimento all'ipotesi di proposta di concordato preventivo, presentata nel corso di un procedimento prefallimentare, il contradditorio tra creditore istante e il debitore si è già instaurato in sede prefallimentare e quindi è necessaria e sufficiente una convocazione ai soli fini del sub-procedimento di revoca; 4) non può ritenersi che non sia possibile la dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile dopo la cessazione della responsabilità illimitata, perché, come già rilevato dalla Corte d'Appello di Venezia, l'art. 147 l. fall. prevede espressamente tale possibilità anche per l'ipotesi di trasformazione della società che determini tale cessazione.

Le soluzioni giuridiche

La revoca del concordato. In primo luogo, la decisione della Corte di Cassazione si basa su un principio già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha sostenuto che il subprocedimento di revoca del concordato preventivo ai sensi dell'art. 173 l. fall. si apre nell'ambito di una procedura nella quale il debitore ha già formalizzato il rapporto processuale innanzi al tribunale. Quando si apre la procedura di concordato, infatti, il debitore già sa che potrebbe aprirsi, qualora ne ricorrano i relativi presupposti, il subprocedimento di revoca, che potrebbe addirittura sfociare nella dichiarazione di fallimento se un creditore o il pubblico ministero dovessero presentare la relativa istanza. Pertanto, il diritto di difesa deve intendersi esercitato già nell'ambito del rapporto processuale tra debitore e tribunale instauratosi prima in fase prefallimentare e successivamente dopo l'ammissione del concordato preventivo.
In particolare, sebbene la prima parte del secondo comma dell'art. 173 l. fall. statuisca che il procedimento di revoca si svolge nelle forme di cui all'articolo 15 l. fall., deve ritenersi che tale riferimento debba essere applicato solo in quanto compatibile, poiché nel concordato, da un lato, manca un ricorso del creditore in calce al quale possa essere steso il decreto di convocazione e, dall'altro lato, il creditore e il pubblico ministero possono presentare l'istanza di fallimento direttamente all'udienza fissata per la revoca dell'ammissione al concordato preventivo. In quest'ultimo caso potrebbe essere eventualmente concesso un termine a difesa, alla stregua di quello previsto ex art. 15, comma 4, l. fall. qualora il debitore lo richieda.
La decisione della Suprema Corte appare condivisibile. In occasione della revoca del concordato si prosegue in buona sostanza l'udienza prefallimentare alla quale il socio accomandatario è stato invitato a comparire e nel corso della quale ha potuto esercitare il proprio diritto di difesa. In effetti, si può anche dire che, in simili casi, la revoca del concordato altro non faccia che rimuovere un elemento ostativo rispetto al continuum dell'udienza prefallimentare, che, altrimenti, sarebbe proseguita senza soluzione di continuità.
Si consideri anche che il fallimento dichiarato a seguito dell'udienza ex art. 173 l. fall. non viene dichiarato quale mera conseguenza della revoca del concordato, ma in relazione a fatti e circostanze occorsi nella fase antecedente l'istanza di fallimento e nel periodo in cui il socio accomandatario era illimitatamente responsabile. Qualcuno potrebbe sostenere che, appunto, tale responsabilità illimitata possa giustificare un termine a difesa per il socio. Tale ragionamento tuttavia rischierebbe di snaturare la ‘ratio' per cui il legislatore prevede l'automatica fallibilità (pur se limitata temporalmente a seguito dell'eventuale trasformazione) del socio accomandatario, la quale – in base ad un principio statuito dalla Suprema Corte – va letta nell'imputazione dell'insolvenza a titolo di responsabilità oggettiva sulla base dell'accettazione del rischio di impresa.
Il fallimento dell'ex socio illimitatamente responsabile. Sulla dichiarazione del fallimento dell'ex socio illimitatamente responsabile i Giudici di legittimità si limitano a confermare quanto già esplicitato dall'art. 147 l. fall., vale a dire la possibilità di dichiarare fallito anche il socio che ha perso la qualifica di socio illimitatamente responsabile entro un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata in caso di trasformazione, fusione o scissione, se sono state rese note le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati.
Il legislatore fallimentare ha pertanto recepito la decisione della Corte Costituzionale n. 319/2000 che aveva dichiarato l'illegittimità del previgente art. 147 l. fall. nella parte in cui prevedeva che il fallimento dei soci a responsabilità illimitata di società fallita potesse essere dichiarato dopo il decorso di un anno dal momento in cui avevano perso la responsabilità illimitata, uniformando in tal modo la disciplina del socio illimitatamente responsabile con quella dettata per l'imprenditore individuale o collettivo dagli artt. 10 e 11 l. fall., i quali statuiscono tale limite temporale in un anno dalla cessazione dell'impresa o dalla morte dell'imprenditore. Oltre al citato presupposto temporale, deve altresì parimenti sussistere un presupposto oggettivo, come risulta dalla seconda parte del secondo comma dell'art. 147 l. fall., il quale statuisce che l'insolvenza della società deve essere stata determinata dalla sussistenza di debiti già esistenti al momento in cui si è verificata la cessazione della responsabilità illimitata.

Osservazioni

L'ordinanza in esame offre un interessante spunto di riflessione in merito ad un tema fortemente dibattuto in dottrina e giurisprudenza, vale a dire il rapporto tra concordato preventivo e fallimento.
Di recente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 993/2015, hanno riaffermato alcuni principi tra cui in particolare la prevalenza del concordato preventivo sul fallimento per la sua “connotazione funzionale”. Pur non sussistendo tra le due procedure un rapporto di pregiudizialità di carattere tecnico-giuridico, alla luce del fatto che sono diversi i presupposti per la dichiarazione di fallimento e per l'ammissione al concordato (nel primo caso deve essere accertato dal Tribunale lo stato di insolvenza del debitore mentre nel secondo caso è sufficiente che il debitore si trovi in uno stato di crisi), è altresì pacifico che sia ontologicamente diversa la funzione che il legislatore fallimentare ha voluto affidare ai due istituti in esame, i quali pertanto non possono convivere dal punto di vista “funzionale“.
Scopo del concordato preventivo, infatti, è proprio quello di prevenire il fallimento attraverso un accordo del debitore con la maggioranza dei suoi creditori. Per questo motivo, sebbene sia stato eliminato l'inciso del primo comma dell'art. 160 l. fall. (“fino a che il suo fallimento non è dichiarato”), i Giudici di legittimità hanno ritenuto che il fallimento non possa essere dichiarato finché non sia stata esaminata la domanda concordataria e la procedura minore si sia conclusa con esito negativo (domanda ritenuta inammissibile ex art. 162 l. fall., revoca del concordato ex art. 173 l. fall., mancata approvazione del concordato ex art. 179 l. fall. e respingimento del concordato all'esito del giudizio di omologa ex art. 180 l. fall.).
Inoltre, la Suprema Corte statuisce che, non sussistendo un rapporto di pregiudizialità tra le due procedure, in presenza di una domanda di concordato potrà essere in ogni caso presentata un'istanza di fallimento e non si ritiene quindi giustificabile una sospensione di uno dei procedimenti (è possibile infatti ai sensi dell'art. 161, comma 10, l. fall. rigettare l'istanza di fallimento pur essendo pendente la procedura minore). L'effetto della domanda di concordato tuttavia sarà quello, come anticipato sopra, di impedire la pronuncia sul fallimento prima della chiusura negativa del concordato.
La sentenza in esame ha chiarito altresì il rapporto processuale tra fallimento e concordato. Si tratterebbe di un rapporto di continenza, per cui qualora i due procedimenti siano pendenti di fronte allo stesso giudice dovrebbero essere riuniti ai sensi dell'art. 273 c.p.c., mentre se fossero pendenti innanzi a giudici diversi troverebbe applicazione l'art. 39 c.p.c.

Guida all'approfondimento

In giurisprudenza: Cass. SS.UU. 15 maggio 2015, n. 9935; Cass. 31 gennaio 2014, n. 2130. Sulla fallibilità del socio illimitatamente irresponsabile: Corte Cost. n. 319/2000; Corte Cost. n. 66/1999 in Giur. it. 19999, 989 con nota di Cottino; Cass. 4 febbraio 2009, n. 2711 in Giust. Civ. Mass. 2009, 2, 173.
In dottrina Lamanna, Retromarcia sul principio di prevenzione/prevalenza del concordato preventivo: come non detto, il principio ancora esiste, in ilFallimentarista.it; cfr. anche Spadaro, Sequenza di proposte di concordato preventivo del debitore e diritto al contradditorio nel procedimento di ammissione, in Fall. 4/2015. Sulla fallibilità del socio illimitatamente responsabile, tra gli altri: Nigro, in Comm. Jorio, 2173.
Le norme che disciplinano le tematiche trattate sono l'art. 173 l. fall., l'art. 15 l. fall. e l'art. 147 l. fall.

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