Avviso di accertamento verso il fallimento consegnato al debitore in bonis

15 Marzo 2016

La norma sulla presa in consegna da parte del curatore della documentazione aziendale del fallito consente di presumere, fino a prova contraria, che il processo verbale di constatazione consegnato al debitore in bonis sia conosciuto dal curatore medesimo, cosicché l'avviso di accertamento notificato al curatore e motivato per rinvio al suddetto p.v.c. è legittimo fintanto che il curatore non dimostri di non aver potuto prendere in consegna il p.v.c. in questione.
Massima

La norma sulla presa in consegna da parte del curatore della documentazione aziendale del fallito consente di presumere, fino a prova contraria, che il processo verbale di constatazione consegnato al debitore in bonis sia conosciuto dal curatore medesimo, cosicché l'avviso di accertamento notificato al curatore e motivato per rinvio al suddetto p.v.c. è legittimo fintanto che il curatore non dimostri di non aver potuto prendere in consegna il p.v.c. in questione.

Il caso

Con la decisione in commento la Suprema Corte torna su una questione già più volte esaminata ed in ordine alla quale la stessa giurisprudenza di legittimità si era in precedenza divisa: la legittimità o meno di un avviso di accertamento emesso nei confronti di un contribuente fallito motivato per relationem al processo verbale di constatazione (ovvero il documento nel quale i verificatori danno conto delle attività di verifica compiute e dei rilievi che propongono all'Ufficio - unico legittimato ad eseguire l'accertamento - di sollevare) consegnato al contribuente stesso prima della sua dichiarazione di fallimento. Con detta sentenza la Corte tenta di superare il contrasto giurisprudenziale sorto, offrendo una soluzione sulla cui validità è opportuno riflettere.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Come da tempo chiarito dalla giurisprudenza, la correttezza del “procedimento di formazione della pretesa tributaria” è assicurata mediante “il rispetto di una sequenza ordinata secondo una progressione di determinati atti, con le relative notificazioni, destinati, con diversa e specifica funzione, a farla emergere e a portarla nella sfera di conoscenza dei destinatari, allo scopo, soprattutto, di rendere possibile per questi ultimi un efficace esercizio del diritto di difesa” (così, Cass. s.u. 25 luglio 2007, n. 16412, richiamata, tra le più recenti, da Cass. 31 ottobre 2014, n. 23217; Cass. 20 febbraio 2014, n. 4113).
In tale contesto è lecito domandarsi che cosa accada quando, prima che tale ordinata sequenza giunga a compimento, il soggetto passivo del tributo (destinatario dell'atto finale del procedimento) sia dichiarato fallito.
In proposito la Cassazione ha chiarito che “sono opponibili alla curatela (salva la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 2704 c.c. nella specie non contestati) gli atti formati nei confronti della fallita, mentre dopo la dichiarazione di fallimento gli ulteriori atti del procedimento tributario debbono indicare quale destinataria l'impresa in procedura e quale legale rappresentante della stessa il curatore” (così, Cass. 1 giugno 2007, n. 12893).
In sostanza, la dichiarazione di fallimento del contribuente non comporta il venir meno dell'efficacia, anche verso la procedura fallimentare, degli atti precedentemente emessi e notificati; in tale eventualità, dunque, la “sequenza procedimentale finalizzata alla formazione della pretesa tributaria” può proseguire nei confronti della procedura fallimentare, riprendendo dal punto in cui era giunta prima del fallimento, secondo le modalità indicate dalla Suprema Corte.
Un altro aspetto ormai sufficientemente chiarito nell'ambito del procedimento di accertamento tributario è costituito dai limiti entro i quali l'atto impositivo può essere motivato per rinvio al contenuto di altri atti.
Ai sensi dell'art. 7, comma 1, L. 27 luglio 2000, n. 212, se nella motivazione dell'atto impositivo si fa riferimento ad un altro atto, quest'ultimo deve essere allegato all'atto che lo richiama, salvo che (come chiariscono le norme dettate con riguardo alle singoli imposte, tra cui l'art. 42, comma 2, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in materia di imposte dirette; l'art. 56, comma 5, D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, in materia di IVA; l'art. 52, comma 2-bis, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, in materia di imposta di registro) non ne riproduca il contenuto essenziale.
Ebbene, secondo la giurisprudenza, l'obbligo di allegazione (o di riproduzione del contenuto essenziale) non sussiste nel caso in cui il contribuente abbia già avuto integrale e legale conoscenza dell'atto richiamato (ad esempio perché già stato oggetto di precedente notificazione), poiché “un'interpretazione puramente formalistica si porrebbe in contrasto con il criterio ermeneutico che impone di dare alle norme procedurali una lettura che, nell'interesse generale, faccia bensì salva la funzione di garanzia loro propria, limitando al massimo le cause d'invalidità o d'inammissibilità chiaramente irragionevoli” (così, tra le più recenti, Cass. 14 gennaio 2015, n. 407).
L'evoluzione della giurisprudenza. I principi sopra richiamati costituiscono la cornice entro cui si colloca la pronuncia in commento, che, come detto, esamina il caso di un accertamento notificato al curatore fallimentare, ma motivato mediante esclusivo rinvio al contenuto di un p.v.c. precedentemente consegnato al contribuente ancora in bonis.
In mancanza della dichiarazione di fallimento, sulla legittimità di un siffatto accertamento non sarebbero sorti dubbi, atteso che la consegna del p.v.c. al contribuente sottoposto a verifica è idonea ad assicurare allo stesso integrale e legale conoscenza di tale atto.
Tale certezza viene però meno allorquando tra la consegna del p.v.c. e la notifica dell'avviso di accertamento sia intervenuta dichiarazione di fallimento. Sul punto anzi, come detto in apertura, è sorto un acceso contrasto di posizioni nella stessa giurisprudenza di legittimità.
In un primo momento la Suprema Corte ha affermato l'irrilevanza della consegna del p.v.c. al contribuente in bonis, “posto che è da escludersi che tra fallito e curatore sia configurabile un rapporto di immedesimazione o di rappresentanza così da desumersi con certezza che il p.v.c. consegnato all'uno sia conosciuto anche dall'altro” e che “la consegna al curatore dei documenti contabili della società non è circostanza rilevante ai fini della dimostrazione della conoscenza, da parte del suddetto curatore, del contenuto del p.v.c.” (così, Cass. 4 aprile 2008, n. 8778). Un avviso di accertamento così motivato doveva, pertanto, ritenersi illegittimo.
Successivamente la Corte mutava il proprio orientamento, rilevando che “il curatore può facilmente avere conoscenza del verbale - facendo esso parte della documentazione amministrativa dell'impresa - o chiedere all'Amministrazione finanziaria di prenderne visione ed estrarne copia, nel caso in cui esso non sia reperibile (Cass. 2806/2010) […] anche tenendo conto di come la dichiarazione del fallimento non comporti il venir meno dell'impresa, ma solo la perdita della legittimazione sostanziale e processuale da parte del suo titolare, con il conseguente subentro del curatore nella posizione delle stesso” (così, Cass. 7 novembre 2012, n. 19240).
Il “pendolo” della giurisprudenza tornava poi sull'impostazione originaria con l'ordinanza n. 7493 del 2014 nella quale, in espresso dissenso dal contrario orientamento, la Suprema Corte affermava: “Se il subentro nella legittimazione processuale e sostanziale comporta - indubbiamente - che siano opponibili alla curatela gli atti formati nei confronti della società in bonis […] tutt'altra questione è quella concernente la necessaria allegazione all'avviso di accertamento notificato alla curatela del verbale di constatazione notificato al contribuente in bonis, vicenda che attiene non già alla questione della opponibilità degli atti, ma bensì a quella della realizzazione della funzione tipica della motivazione dell'avviso di accertamento”; sulla base di tale premessa, secondo la Corte, “Occorre perciò senz'altro convenire con gli argomenti valorizzati da Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8778 del 04/04/2008 ed in specie con quello che evidenzia che “la consegna al curatore dei documenti contabili della società non è circostanza rilevante ai fini della dimostrazione della conoscenza, da parte del suddetto curatore, del contenuto del p.v.c., come è da ritenersi assolutamente irrilevante in tal senso altresì la circostanza che tale verbale sia stato consegnato al fallito” (così, Cass. 31 marzo 2014, n. 7493).
In tale pronuncia il percorso argomentativo della Corte si fa più sottile. Il profilo riguardante l'opponibilità del p.v.c. (o di qualunque altro atto presupposto notificato al contribuente in bonis) alla procedura fallimentare viene scisso da quello attinente il rispetto dell'onere motivazionale gravante in capo all'Amministrazione Finanziaria. Così, da un lato, è vero che gli atti notificati al contribuente in bonis restano opponibili al fallimento, con l'effetto che il procedimento può proseguire dal punto in cui era giunto prima dell'apertura del fallimento stesso; dall'altro lato, però, è necessario che l'avviso di accertamento ponga il curatore (ovvero il soggetto che, dopo la dichiarazione di fallimento, è dotato della legittimazione sostanziale e processuale a rappresentare il contribuente e, dunque, a tutelarne le ragioni) in grado di conoscere il fondamento della pretesa impositiva avanzata dall'Erario. Atteso che la consegna del p.v.c. al solo contribuente ancora in bonis non asseconda tale necessità (non sempre, almeno), un siffatto avviso di accertamento non può ritenersi idoneamente motivato.
La soluzione offerta dalla sentenza in commento. Quello appena tracciato è il contesto in cui si colloca la sentenza in commento. Tale sentenza si segnala per l'approccio critico al problema, che induce la Corte a respingere, in quanto eccessivamente “perentorie”, entrambe le impostazioni seguite nei precedenti arresti.
Da un lato, la Suprema Corte, pur dichiarando espressamente di non voler entrare nell'annoso dibattito circa l'esatta qualificazione giuridica della posizione del curatore fallimentare, ribadisce l'alterità del curatore rispetto al fallito, da cui discende l'impossibilità di applicare la regola secondo cui la precedente notificazione del p.v.c. escluderebbe ex se l'obbligo di allegarlo o di riprodurne il contenuto nell'avviso di accertamento: nella fattispecie in esame, infatti, la legale conoscenza del p.v.c. si realizza in capo ad un soggetto (il fallito) diverso da colui che è legittimato ad agire in giudizio per contrastare la pretesa impositiva (e, dunque, che deve essere messo in condizione di conoscere il fondamento giuridico e fattuale di tale pretesa), cosicché il principio in esame non potrebbe trovare applicazione generalizzata.
D'altro canto, però, è giudicata eccessiva anche l'opposta tesi della assoluta irrilevanza della presa in consegna da parte del curatore, ex art. 88, comma 1, l. fall., della documentazione contabile ed aziendale del fallito.
Proprio l'esistenza di tale norma induce il Supremo Collegio ad affermare che: se non è predicabile, di per sé ed in astratto, una presunzione assoluta di ricevimento e, quindi, di conoscenza da parte del curatore del processo verbale di constatazione notificato al fallito quand'era in bonis, lo è, invece, in virtù della disciplina richiamata, una presunzione, iuris tantum, che il verbale in questione, rientrando nella documentazione pertinente all'impresa, ed essendo stato regolarmente notificato al fallito in bonis, sia stato preso in consegna dal curatore”.
In sostanza, secondo la Cassazione, è lecito presumere fino a prova contraria che il p.v.c. notificato al contribuente quando ancora era in bonis sia stato da questi consegnato al curatore dopo la dichiarazione di fallimento, cosicché il curatore ne abbia avuto conoscenza. Fintanto che tale prova contraria non venga fornita (dal curatore), quindi, l'avviso di accertamento motivato per rinvio al precedente p.v.c. consegnato al contribuente in bonis deve ritenersi legittimo.

Osservazioni

Come già detto, la sentenza in esame si segnala per il tentativo di individuare una soluzione alla questione controversia più “meditata” rispetto alle troppo “perentorie” posizioni assunte nelle precedenti pronunce.
In tal senso sembra corretta la valorizzazione dell'art. 88, comma 1, l. fall., che prevede la presa in consegna della documentazione aziendale da parte del curatore. In effetti, l'affermazione della assoluta irrilevanza di tale presa in consegna, contenuta in alcune delle precedenti decisioni, appariva apodittica e tutt'altro che condivisibile.
Anche il percorso argomentativo seguito dalla Cassazione nell'ultimo arresto presenta, però, dei punti critici.
In particolare, la Cassazione afferma l'esistenza di una presunzione iuris tantum di avvenuta presa in consegna (e quindi di conoscenza) del p.v.c. da parte del curatore, ribadendo che incombe su quest'ultimo l'onere di provare il contrario. In altri termini, la Suprema Corte addossa al curatore l'onere di provare di non aver potuto prendere conoscenza del p.v.c. al quale l'avviso di accertamento rinvia, per non averlo rinvenuto tra la documentazione aziendale presa in consegna dal fallito (o per non aver potuto prendere affatto in consegna, dal fallito, alcuna documentazione).
Come noto, però, la prova di un fatto negativo si risolve spesso in una probatio diabolica di difficile (se non impossibile) assolvimento.
Nella fattispecie concreta la Corte supera il problema affermando che “Questa presunzione, nel caso in esame, non è superata dalla contestazione del curatore, il quale, per un verso, non ha sostenuto di non aver preso in consegna, in tutto o in parte, la documentazione amministrativa dell'impresa e, per altro verso, ha mostrato di aver avuto cognizione di almeno una parte del processo verbale in questione”.
Tralasciando il caso di specie (in cui sembra che lo stesso curatore abbia fornito prova di avere avuto conoscenza, almeno in parte, del contenuto del p.v.c.), è però evidente che, nei casi in cui il p.v.c. non sia effettivamente rinvenuto tra la documentazione aziendale presa in consegna, il curatore non potrebbe che limitarsi alla mera affermazione di tale circostanza negativa, essendogli assai difficile fornirne la prova.
A fronte di tale affermazione (e sempre tralasciando ipotetici casi eccezionali, come quello in cui l'Amministrazione Finanziaria disponesse della prova dell'avvenuta consegna del p.v.c. dal fallito al curatore), peraltro, l'Amministrazione Finanziaria potrebbe provare soltanto di aver notificato il p.v.c. al contribuente quando questo era ancora in bonis, ma non anche che il p.v.c. sia stato da questi diligentemente conservato e consegnato al curatore in seguito alla dichiarazione di fallimento.
In sostanza, da una parte il curatore non potrebbe provare l'affermazione di non aver potuto prendere in consegna il p.v.c. e, dall'altra, l'Amministrazione non potrebbe dimostrare la falsità di tale eventuale affermazione.
Così stando le cose, l'alternativa è evidente: o si riconosce che, a fronte di un avviso di accertamento motivato per relationem, il curatore possa limitarsi alla mera affermazione della mancata presa in consegna del p.v.c. dal fallito ed ottenerne per questo l'annullamento, stante l'impossibilità per l'Amministrazione di provare il contrario (il che equivale, nei fatti, a dire che l'avviso di accertamento non può essere motivato in tale maniera), oppure si riconosce che la notificazione del p.v.c. prima del fallimento, in uno con la norma sulla presa in consegna della documentazione aziendale da parte del curatore, sono idonee ad integrare una presunzione legale di conoscenza del contenuto del p.v.c. in capo al curatore, presunzione contro cui quest'ultimo non è in grado di fornire prova contraria.
Non sfuggirà, però, che una presunzione contro cui non si può dare prova contraria è una presunzione assoluta, ovvero proprio il tipo di presunzione che la Cassazione ha espressamente escluso si possa individuare nel caso di specie, motivando sulla base della alterità tra fallito e curatore fallimentare.
In definitiva, pur avendo tentato di seguire un approccio “meno perentorio” alla problematica in oggetto, sembra che nemmeno in questa occasione la Suprema Corte sia stata in grado di fornire una definitiva soluzione al problema stesso. Si può forse ipotizzare che tale definitiva soluzione sarebbe stata possibile soltanto affrontando “l'annoso dibattito sull'esatta qualificazione giuridica della posizione del curatore fallimentare”, almeno per quanto riguarda la posizione del curatore fallimentare nell'ambito del procedimento di formazione della pretesa impositiva; ovvero facendo ciò che la Corte ha ritenuto (alla luce di quanto sin qui rilevato, probabilmente a torto) non necessario fare.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per la giurisprudenza precedente alla sentenza in commento, cfr., P. Turis, Fallimento del contribuente e motivazione per relationem degli atti notificati dall'Amministrazione finanziaria, commento a Cass.. 14 maggio 2010, n. 11784, in Fisco, 2010, 3971; M. Spadaro, La motivazione per relationem dell'avviso di accertamento notificato al curatore fallimentare, commento a Cass. 31 marzo 2014, n. 7493, in Fallimento, 2015, 74.
Per un commento all'art. 7, comma 1, L. 27 luglio 2000, n. 212 e, in generale, alle norme in materia di motivazione per relationem degli atti impositivi, cfr., M. Beghin, commento all'art. 7 della l. n. 212 del 2000, in Commentario breve alle leggi tributarie - tomo I - Diritto costituzionale tributario e Statuto del contribuente, a cura di G. Falsitta, Padova, 2011, 515 ss.; G. Marongiu, Lo statuto dei diritti del contribuente, Torino, 2008, 165 ss.; P. Rossi, L'atto di accertamento, in Diritto tributario, a cura di A. Fantozzi, Torino, 2012, 727 ss., da cui altri rinvii.

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