Fattibilità giuridica e soglie minime di soddisfazione al vaglio del Tribunale

16 Dicembre 2015

Con riferimento ai limiti del sindacato del Tribunale sulla proposta concordataria, non è condivisibile l'orientamento di alcuni Tribunali che, per esigenze di certezza e necessità di tutela degli eventuali creditori dissenzienti, reputano sussistere un vizio della causa del concordato in cui sia ipotizzata la soddisfazione dei chirografari in misura inferiore al 5%; l'irrisorietà della percentuale idonea ad escludere la causa concordataria deve essere apprezzata infatti in concreto, e non in astratto, sulla base della peculiarità dello specifico regolamento negoziale e dell'assetto di interessi effettivamente perseguito dalle parti. (Nel caso di specie l'assenza di migliori prospettive in ambito fallimentare ed il fatto che la classe per cui era previsto il pagamento al 4% fosse costituita da istituti di credito garantiti aliunde, ha portato il Tribunale ad escludere il deficit causale).
Massima

Con riferimento ai limiti del sindacato del Tribunale sulla proposta concordataria, non è condivisibile l'orientamento di alcuni Tribunali che, per esigenze di certezza e necessità di tutela degli eventuali creditori dissenzienti, reputano sussistere un vizio della causa del concordato in cui sia ipotizzata la soddisfazione dei chirografari in misura inferiore al 5%; l'irrisorietà della percentuale idonea ad escludere la causa concordataria deve essere apprezzata infatti in concreto, e non in astratto, sulla base della peculiarità dello specifico regolamento negoziale e dell'assetto di interessi effettivamente perseguito dalle parti. (Nel caso di specie l'assenza di migliori prospettive in ambito fallimentare ed il fatto che la classe per cui era previsto il pagamento al 4% fosse costituita da istituti di credito garantiti aliunde, ha portato il Tribunale ad escludere il deficit causale).

Il caso

Il provvedimento di omologa in commento riguarda un concordato preventivo in continuità aziendale in cui il debitore ha fissato una percentuale vincolante per il pagamento dei creditori chirografari (4% nella proposta concordataria, valutata nel minore 2,4% dal Commissario Giudiziale).
Il decreto dei Giudici di Lecco prende posizione su alcuni aspetti critici della procedura concordataria con particolare riferimento ai limiti del sindacato di fattibilità riservato al Tribunale e alla percentuale minima da garantire ai creditori chirografari.
Si precisa che la decisione in commento è stata emessa prima dell'ultima riforma di cui al d.l. n. 83/2015.

Le questioni giuridiche

Il legislatore, prima del d.l. n. 83/2015, aveva “liberalizzato” (ovvero “privatizzato”) le soluzioni stragiudiziali delle crisi di impresa intervenendo, seppure in modo non sempre organico, sulla normativa del concordato preventivo con l'obiettivo di facilitare il raggiungimento del consenso dei creditori (si vedano in tal senso la possibilità di distinguere classi di creditori, l'abolizione della soglia minima del 40%, la sottoponibilità alla falcidia concorsuale in determinate condizioni dei crediti privilegiati, la transazione fiscale, il silenzio-assenso, la tendenziale “acausalità” del nuovo concordato).
La fattibilità - Le innovazioni legislative degli ultimi anni hanno in particolare alimentato il dibattito sulla natura pubblicistica o privatistica di tale procedura concorsuale (dibattito per la verità mai sopito: cfr. Vaselli, Voce “Concordato preventivo”, in Enciclopedia del diritto, VIII, Milano, 1961; Vitiello, Voce “Procedure concorsuali – concordato preventivo”, in Il diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, 2007, 30 e seguenti).
Terreno fertile per lo “scontro” è da sempre la discussione sui limiti del controllo del Tribunale sulla realizzabilità concreta del piano e sulla convenienza effettiva della proposta concordataria.
Secondo l'approccio “pubblicistico”, al Tribunale è demandato non solo un controllo di legittimità, ma anche di merito. In giurisprudenza si segnalano ex multis i significativi arresti di Cassazione 15/09/2011, n. 18864 e Cassazione 16/09/2011, n. 18987.
Secondo la dottrina tali pronunce si contrappongono “all'approccio riduzionistico” che riserverebbe il giudizio di fattibilità esclusivamente ai creditori (si veda Tedoldi, Il sindacato giudiziale sulla fattibilità del piano e l'art. 173 L.F. nel concordato preventivo: ovvero la Cassazione e il “cigno nero”, n. 270/2011, su ilcaso.it).
Il complesso delle norme che disciplinano la procedura concordataria dimostrerebbe infatti che la fattibilità non è solo presupposto della convenienza della proposta valutabile dai creditori, ma anche condizione di ammissibilità del concordato giudicabile dal tribunale sia in sede di ammissione (art. 161 e 162 l. fall.), sia in sede di omologa (art. 180 l. fall. sulla base delle indicazioni del commissario giudiziale), sia in qualunque momento qualora dovesse accertarne il venire meno.
Opposta è la posizione di chi afferma che il Tribunale nel corso della procedura esercita un controllo di mera legalità volto a verificare il rispetto delle regole del procedimento.
Secondo tale impostazione il giudizio del Tribunale non deve scendere nel merito della proposta e del piano poiché tali aspetti sono già valutati dal professionista incaricato dal debitore (così Cassazione 14/02/2011, n. 3586). Il Tribunale deve invece svolgere una funzione di garanzia, per assicurare la regolarità del procedimento e valutare la correttezza dei criteri di formazione delle classi affinché il voto espresso dai creditori sia consapevole ed in assenza di conflitti di interesse.
Al riguardo la dottrina ha parlato di “arretramento” dei poteri del giudice, coniando l'espressione “processo di disintermediazione giudiziaria continua” (si legga in tal senso V. Roppo, Profili strutturali e funzionali dei contratti di “salvataggio” (o di ristrutturazione dei debiti di impresa) in Riv. Dir. Priv., 2007, 284 e L.A. Bottai, Il processo di disintermediazione giudiziaria continua, in Fall. 2011, 810).
Le Sezioni Unite nel 2013 hanno riservato al Tribunale solo il sindacato sulla fattibilità giuridica. La Suprema Corte ha in tale ambito distinto tra due livelli di giudizio (Cassazione 30/04/2014, n. 9541).
Il primo livello riguarda il controllo della completezza e regolarità della documentazione prodotta dal debitore e allegata alla proposta concordataria affinché sia idonea a rappresentare in modo esaustivo la situazione economica del debitore.
Il ricorso del debitore deve contenere tutti i documenti di cui all'art. 161 l. fall., il piano deve chiarire le modalità e i termini di adempimento, mentre la relazione del professionista incaricato deve attestare la veridicità dei dati e la fattibilità del business plan.
Il Tribunale deve controllare il rispetto delle norme imperative, nonché il regolare svolgimento della procedura secondo le disposizioni della legge fallimentare.
Occorrerà altresì rilevare eventuali ipotesi di manifesta inammissibilità giuridica della proposta concordataria ove questa violi principi cardine della materia concorsuale (come ad esempio l'alterazione delle cause di prelazione, la previsione di nessun pagamento per i creditori - o inferiore al limite del nuovo ultimo comma dell'art. 160 l. fall., la non indicazione dell'utilità specifica di cui alla nuova lettera e) dell'art. 161 l. fall., oppure ancora la falcidia di crediti privilegiati senza i presupposti di cui all'art. 160, comma 2 l. fall., ecc.).
In questa fase il Tribunale verifica dunque la liceità e attuabilità dell' “architettura giuridica” del programma presentato dal debitore (L.A. Bottai, Il processo di disintermediazione giudiziaria continua, cit, 811-812; si veda anche A. Jorio commento all'art. 160 l. fall. in Aa. Vv., La legge fallimentare dopo la riforma, Giappichelli, Torino, 2010, 246; in senso analogo Cass. 23/06/2011, n. 13818).
La “causa concreta” - Il secondo livello di indagine, sempre limitato alla cosiddetta "fattibilità giuridica", ma più approfondito, verte invece sulla “causa concreta” del concordato.
In ossequio alle tesi “privatistiche” sopra brevemente ricordate, il concordato preventivo, come un contratto di diritto privato, annovererebbe tra i requisiti essenziali la "causa", consistente nella funzione economico-sociale che contraddistingue una determinata tipologia contrattuale.
Secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite, la causa concreta del concordato preventivo è "il superamento della situazione di crisi dell'imprenditore" con il "riconoscimento in favore dei creditori di una sia pur minimale consistenza del credito da essi vantato in tempi realizzazione ragionevolmente contenuti".
Il Tribunale in tale fase deve dunque "testare" la proposta e il piano per verificare se esistono le condizioni giuridiche che consentano di raggiungere i risultati indicati.
In altre parole si tratta di un giudizio prognostico sulle possibilità giuridiche di realizzazione della proposta concordataria.
Ad esempio sarebbero non fattibili proposte concordatarie che prevedano la cessione di beni soggetti a vincoli e gravami oppure la cessione di beni di soggetti terzi (in tal senso proprio Cassazione Sez. Unite 1521/2013).
Il Tribunale dovrà dunque evidenziare tutti quegli elementi da cui "prima facie" è possibile desumere non solo la possibilità di non raggiungere gli obiettivi del piano, ma proprio l'inidoneità assoluta della proposta a soddisfare in qualche misura i crediti rappresentati (così Galletti, Il sindacato del giudice nel concordato preventivo un anno dopo: prove tecniche di actio finium regundorum?, in IlFallimentarista.it).
Ove dovessero emergere tali circostanze, il Tribunale non potrà che rilevare la mancanza della causa concreta del concordato preventivo (citare Tribunale Firenze, 27/07/2012, Tribunale di Rovigo, 3/12/2013).
La sanzione tuttavia non sarà “sostanziale”, come la nullità del contratto privo di elemento essenziale (ex art. 1418 c.c.), bensì “processuale” con una pronuncia di inammissibilità e l'arresto immediato della procedura.
In questo senso dunque si dice che il controllo del Tribunale non opera sul merito: i giudici non entrano nello specifico della percentuale offerta ai creditori, ma accertano l'esistenza di eventuali elementi ostativi che determinano “una impossibilità oltremodo qualificata di conseguire non già e non solo gli obiettivi del piano, bensì qualsiasi soddisfacimento apprezzabile dei creditori chirografari” (così Galletti, Il sindacato, cit.).
Dalla definizione di causa concreta fornita dalla Suprema Corte risulta determinante anche la valutazione dei tempi di realizzazione della proposta che devono essere “ragionevolmente brevi” (secondo il Tribunale di Modena tre anni per i concordati liquidatori e 5 anni per quelli in continuità, vedi decreto 3/09/2014).
Si tratta di un aspetto da non sottovalutare e che può incidere sul giudizio di fattibilità rimesso al Tribunale.
Ad esempio il Tribunale di Prato (decreto 30/04/2014 in IlFallimentarista.it) nel corso di una procedura concordataria sottoposta all'esame della sezione fallimentare ha sottolineato che l'eccessiva estensione dell'orizzonte temporale del piano può impedire un serio giudizio prognostico circa l'effettiva realizzabilità dei flussi di cassa sufficienti a coprire il fabbisogno della procedura (si veda in tal senso Rovati, Il sindacato del Tribunale sulla fattibilità del piano: la rilevanza dei tempi di adempimento del piano, in IlFallimentarista.it). Infatti il Tribunale ha concluso spiegando che “non può essere rimesso alla decisione della maggioranza dei creditori, con pregiudizio dei dissenzienti, il rischio di fattibilità di un piano i cui margini di opinabilità e di errore siano talmente ampi da inficiarne la ragionevole tenuta e probabilità di successo”.
Sempre in tale fase di giudizio il Tribunale esamina nel dettaglio la relazione ex art. 161, comma 3 l. fall., valutando: la razionalità, coerenza e completezza delle argomentazioni svolte e delle motivazioni addotte dal professionista attestatore; i criteri e gli strumenti utilizzati dallo stesso per attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il possesso per l'attestatore dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3 l. fall.
Il Tribunale , senza sconfinare nel merito della proposta, può certamente contestare i metodi seguiti dall'attestatore e di conseguenza la congruenza e idoneità delle attestazioni rese (in tal senso Tribunale di Busto Arsizio, 29/05/2013 e Corte d'Appello di Milano 25/10/2013 in IlFallimentarista.it con nota di Farolfi, La verifica in ordine alla fattibilità giuridica ed alla causa concreta del concordato da parte del Tribunale).
Il giudizio su tali aspetti è quindi imprescindibile e l'eventuale non fattibilità giuridica può essere rilevata d'ufficio in ogni stato e grado in quanto condizione di ammissibilità del concordato preventivo stesso (così Cassazione 29/01/2015, n. 1726).
Il diverso e parallelo aspetto relativo alla fattibilità “economica” del piano è invece sottratto all'esame del Tribunale.
Ciò significa che la realizzabilità concreta, la valutazione prognostica in ordine al soddisfacimento dei creditori nelle percentuali offerte dal debitore e la convenienza della soluzione concordataria prospettata rispetto al fallimento sono considerazioni rimesse esclusivamente ai creditori; il carattere predittivo della relazione ex art. 161, comma 3 l. fall. impedisce al Tribunale di affermare in simili casi l'assoluta inidoneità del piano a soddisfare i creditori nei termini previsti (così spiega Del Linz, Il controllo del tribunale sulla fattibilità del piano di concordato preventivo con cessione dei beni e modalità di liquidazione, in IlFallimentarista.it).
L'importante dunque è che i creditori siano adeguatamente e debitamente informati circa le condizioni del debitore e le intenzioni dello stesso come descritte nel piano in modo da esprimere un consenso (o dissenso) informato al momento della votazione.
In definitivo il controllo del Tribunale in questo senso deve essere inteso a verificare che proposta e piano siano idonei a colmare (quanto più possibile) le assimmetrie informative tra debitore e creditori.
La percentuale minima - Sempre sul giudizio di fattibilità giuridica – nella parte relativa alla verifica della sussistenza della causa concreta – si innesta la valutazione della percentuale minima assicurata nella proposta concordataria ai creditori chirografari.
Al riguardo si è registrato un orientamento giurisprudenziale secondo il quale l'assoluta inidoneità della proposta a soddisfare in qualunque misura i creditori è equiparabile a ipotesi in cui il piano concordatario preveda percentuali di soddisfazione irrisorie.
In altre parole, alcuni tribunali hanno portato alle estreme conseguenze tale ragionamento arrivando a stabilire percentuali minime al di sotto delle quali il concordato è inammissibile poiché non idoneo a realizzare la causa concreta di cui sopra.
In questi termini si è recentemente pronunciato il Tribunale di Bergamo (decreto 4/12/2014 in IlFallimentarista.it) ad avviso del quale una proposta di concordato che preveda una soddisfazione dei chirografi in misura inferiore al 3% del credito vantato dagli stessi è giudicata ex se inammissibile in quanto non in grado di realizzare della causa del concordato stesso.
Negli stessi termini si era pronunciato il Tribunale di Modena (decreto 3/09/2014 su Rivista dei Dottori Commercialisti, 4/2014, 751 con nota di Cassese, Percentuale di soddisfo dei creditori chirografari nella procedura di concordato preventivo) fissando il limite a 5%.
La soluzione prospettata dalle decisioni citate avrebbe come scopo quello di garantire certezza e stabilità, poiché il debitore sin dall'inizio saprebbe di dover strutturare un proposta in grado di superare l'“asticella” fissata dal Tribunale. Ciò consentirebbe di conseguenza di sottrarre all'“arbitrio” di una valutazione del Collegio resa volta per volta la statuizione sull'irrisorietà o meno della percentuale offerta.
D'altro canto non si può fare a meno di notare che l'imposizione di un simile limite non era previsto nella legge fallimentare – almeno prima della riforma di agosto 2015 sui cui infra – con il rischio di generare disparità tra i diversi Tribunali (basti pensare al fatto che il Tribunale di Bergamo aveva optato per il 3 %, mentre Modena per il 5 %).

La soluzione

Nel provvedimento in commento i Giudici di Lecco prendono posizione sulle questioni sopra esposte.
Quanto ai limiti del sindacato del Tribunale, il decreto segue i dettami delle Sezioni Unite espressamente ricordando che “al Tribunale è precluso il sindacato sulla fattibilità (economica – n.d.r.) attribuito dal legislatore alla maggioranza dei creditori”.
Quanto all'accertamento della “causa concreta”, il decreto prende le distanze dall'orientamento sopra illustrato e si pone in continuità con la diversa tendenza a non fissare a priori una percentuale minima da offrire ai creditori.
Secondo il Collegio “la causa concordataria deve essere apprezzata in concreto, sulla base della peculiarità dello specifico regolamento negoziale e dell'assetto di interessi effettivamente perseguito dalle parti”.
Il Tribunale di Lecco non esclude che percentuali irrisorie possano comportare l'inammissibilità, ma ritiene non corretto stabilire a priori una soglia minima da imporre per qualsiasi concordato.
In altre parole deve essere rimessa al Tribunale di volta in volta la possibilità di verificare se la soglia proposta sia davvero a tal punto esigua da ritenere non sussistente il requisito della causa concreta del concordato stesso.
Nel caso di specie il “deficit causale” è stato escluso dai Giudici considerando che in ambito fallimentare non ci sarebbero state prospettive migliori e che la classe destinataria del 4 % era costituita da istituti di credito già garantiti aliunde (la differenza rilevata dal Commissario Giudiziale riguardava invece la fattibilità economica rimessa alla valutazione esclusiva dei creditori come sopra accennato).
In termini analoghi si è espresso il Tribunale di La Spezia (n. 9672 del 19/09/2013) precisando che “in relazione alla percentuale modesta di soddisfacimento attribuita alla propria classe di creditori (1%) non si ritiene che, a fronte di una mancanza di alternativa migliore in sede fallimentare, possa determinare il venir meno della causa tipica del concordato, che è quella di garantire, seppure in maniera minimale come nel caso di specie, una percentuale di soddisfacimento dei creditori”.
Così pure il Tribunale di Palermo con provvedimento 4/06/2014 ha stabilito che “la modesta percentuale di soddisfacimento proposta per i creditori chirografari e privilegiati in tutto o in parte incapienti (3%), tenuto conto che, per un verso il patrimonio di ogni singola società ed impresa viene interamente destinato al soddisfacimento dei rispettivi creditori privilegiati nei limiti di capienza dei beni oggetto della garanzia, rispettandosi quindi l'ordine legale delle cause di prelazione riferite ad ogni impresa del gruppo e, per altro verso, che i creditori chirografari e privilegiati in tutto o in parte incapienti, nell'alternativa ipotesi fallimentare, non riceverebbero alcun soddisfacimento, appare legittima”.
La procedura in esame viene peraltro qualificata dai Giudici di Lecco come concordato in continuità aziendale specificando che “la proposta concordataria assume i connotati del vero e proprio impegno vincolante al pagamento a favore dei creditori delle percentuali indicate entro il termine stabilito”.

Conclusioni

Le modifiche del d.l. n. 83/2015. Sul tema delle soglie minime da garantire ai creditori chirografari le modifiche di agosto 2015 per certi aspetti hanno rappresentato una sorta di ritorno al “passato” (secondo un classico orientamento “a pendolo” del legislatore).
Infatti l'art. 161, lett. e) stabilisce oggi in primo luogo che “la proposta deve indicare l'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”.
Si è giustamente osservato (F. Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n. 83/2015, in Il Civilista, 2015; Rolfi, Il concordato preventivo liquidatorio, Convegno S.I.S.CO., Milano 28/11/2015) che tale norma contiene un principio generale valido per qualsiasi tipo di concordato.
Ciò significa che il debitore deve necessariamente, qualunque sia il concordato che intende predisporre, specificare cosa viene offerto ai creditori e a tale indicazione si obbliga.
Il debitore potrebbe anche offrire “utilità” diversa dal denaro (ad esempio partecipazioni sociali, datio in solutum di beni, ecc.), ma tale offerta, nelle misure e tempistiche precisate nella proposta, diviene vincolante.
Ciò dovrebbe in ultima analisi consentire il definitivo superamento della tesi per cui nel concordato liquidatorio con cessione dei beni il debitore non sarebbe tenuto a percentuali vincolanti (contra Tribunale di Pistoia, 29/10/2015 in IlFallimentarista.it con commento critico di Ravina, Concordato preventivo: prime applicazioni delle nuove disposizioni di cui al d.l. 83/2015).
Se dovesse mancare l'indicazione della “utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile” la proposta dovrebbe essere giudicata inammissibile, mentre, se nella fase di esecuzione non si riuscisse a raggiungere gli obiettivi fissati i creditori potranno valutare eventualmente ipotesi di risoluzione.
L'art. 160, ultimo comma, l. fall. invece contiene una previsione specifica ulteriore per il concordato liquidatorio nell'ambito del quale la proposta non deve semplicemente indicare la “utilità specifica”, ma “deve assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell'ammontare dei crediti chirografari”.
Il legislatore solo per questa tipologia di concordato ha dunque imposto una soglia minima di soddisfazione che costituisce requisito di ammissibilità della procedura stessa e che quindi, secondo le considerazioni sopra svolte, concorre a determinare la causa concreta del concordato liquidatorio soggetta al vaglio del Tribunale.
Ciò significa che oggi il Tribunale dovrà considerare inammissibili proposte di concordati liquidatori senza l'impegno vincolante a pagare almeno il 20% dei crediti chirografari.
Simile disposizione non si applica invece ai concordati in continuità, per i quali vale solo la regola generale dell'art. 161, lett. e), l. fall. e la soglia minima – nella diversa misura del 30 % – non costituisce requisito di ammissibilità (ma è utile solo per evitare la possibilità di proposte concorrenti ex art. 163-bis c.p.c.).
Da questo punto di vista la decisione del Tribunale di Lecco “reggerebbe” anche alla luce delle riforme dell'estate 2015, dato che il concordato in questione è stato qualificato come in continuità e il debitore ha offerto con impegno vincolante il pagamento di una determinata percentuale (giudicata non irrisoria) dei crediti chirografari.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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