La vendita tramite procedure competitive

Fabio Signorelli
30 Novembre 2015

Nel caso in cui il curatore abbia optato per la vendita con forme negoziali alternative a quelle previste dal codice di procedura civile, la valutazione di legittimità della procedura di vendita è svincolata dalla rigidità delle prescrizioni codicistiche, dovendosi verificare il rispetto dei due unici principi di legge che governano la liquidazione negoziale, vale a dire l'idoneità della pubblicità che deve precedere la vendita e la natura competitiva del procedimento utilizzato per l'individuazione del soggetto acquirente.
Massima

Nel caso in cui il curatore abbia optato per la vendita con forme negoziali alternative a quelle previste dal codice di procedura civile, la valutazione di legittimità della procedura di vendita è svincolata dalla rigidità delle prescrizioni codicistiche, dovendosi verificare il rispetto dei due unici principi di legge che governano la liquidazione negoziale, vale a dire l'idoneità della pubblicità che deve precedere la vendita e la natura competitiva del procedimento utilizzato per l'individuazione del soggetto acquirente.

Il caso

Il giudice delegato al fallimento aveva autorizzato il curatore a perfezionare l'atto di vendita di un ramo aziendale con il soggetto risultato aggiudicatario all'esito della procedura competitiva svolta ai sensi del primo comma dell'art. 107 l. fall. La reclamante, esclusa dall'aggiudicazione, sosteneva la necessità di sospendere la vendita, ai sensi dell'art. 108 l. fall., perché l'aggiudicataria aveva provveduto al pagamento del prezzo con sette giorni di ritardo rispetto al termine stabilito nel bando di gara, chiedendo l'applicazione del primo comma dell'art. 587 c.p.c. che prevede la decadenza dell'aggiudicatario nel caso di mancato versamento del prezzo nel termine stabilito. Il tribunale, in sede di reclamo, dopo aver compiuto una breve ricognizione dei principi giuridici che governano la (nuova) normativa sulle vendite, dichiarava infondate le doglianze della reclamante e, per l'effetto, rigettava il reclamo, con la conseguente condanna alle spese.

La questione

Il provvedimento in commento offre l'opportunità di approfondire la natura giuridica della vendita fallimentare e di valorizzarne gli aspetti più squisitamente pratico-innovativi. E' certamente radicata nella memoria collettiva la ferma convinzione che la legge fallimentare del 1942 avesse mutuato il sistema delle vendite fallimentari dall'esecuzione individuale con la conseguenza che alle predette vendite si applicassero le relative norme del processo di esecuzione del codice di procedura civile in quanto compatibili. La dottrina unanime (R. Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, III, Milano, 1974, 1581 ss.; A. Bonsignori, La liquidazione dell'attivo, in Commentario Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1976, 70 ss.; P. Pajardi, Codice del fallimento, sub art. 105, Milano, 1997 e, da ultimo, ibidem, sub art. 107, Milano, 2013) e la giurisprudenza consolidata (ex multis: Cass. 3 novembre 1981 n. 5784 e, più recentemente, Cass. 10 giugno 2010 n. 14760) ritenevano altresì applicabili alle vendite fallimentari, comprese quelle a trattativa privata, le norme del codice civile relative alla vendita forzata (artt. 2919 e ss. c.c.), , in primis perché tali vendite venivano effettuate contro la volontà del debitore. Per completezza, va detto che se nessun dubbio sussisteva circa la natura di vendita forzata nel caso di vendita di immobili con le formalità dell'asta con o senza incanto in pedissequa applicazione delle norme del codice di rito, alcune incertezze residuavano, invece, nel caso in cui, con riferimento al (vecchio) art. 106 l. fall., il giudice delegato avesse disposto la vendita di beni mobili con il metodo delle offerte private e, dunque, in applicazione di uno schema privatistico per l'attuazione di una vendita forzata (per un approfondimento sul punto specifico cfr. Cass. 6 settembre 2006 n. 19142, in Fall., 2007, 157, con nota critica di G. Federico).
La riforma introdotta con il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 ha portato nella procedura fallimentare di liquidazione dell'attivo una rivoluzione copernicana (M. Sandulli, in AA.VV., La riforma della legge fallimentare, sub art. 106, II, Torino, 2006), con un'innovazione assolutamente in linea con le dichiarate intenzioni di “privatizzazione” del procedimento fallimentare, d'un canto valorizzando (sempre più) il ruolo del curatore/manager e dall'altro disancorando le modalità delle vendite dai formalismi del codice di rito, prospettando, in tal modo, un percorso coerente con le tanto sottolineate esigenze di speditezza del processo fallimentare. L'introduzione delle procedure competitive comporta una sicura apertura al mercato e il recepimento del criterio della competizione, appunto, tra più offerenti, concetto, tuttavia, indeterminato e privo di qualunque riferimento legislativo proprio, che potrà trovare, forse, un suo modello dopo un'adeguata fase di rodaggio.
Per quello che importa in questa sede, va ribadito che anche il sistema delle vendite competitive è, a tutti gli effetti, una vendita forzata con piena applicazione degli artt. 2919 e ss. c.c., posto che tale vendita comporta (al di là del fatto che avvenga contro la volontà del debitore) la realizzazione coattiva del valore economico del bene, nell'ambito di un procedimento legale nel quale i diritti di tutte le parti sono egualmente garantiti (P. Pajardi – A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 601 e ss.); perché è prevista la possibilità che il giudice possa sospendere le operazioni di vendita (art. 108, comma 1, l. fall.) e perché alle vendite consegue un effetto purgativo (art. 108, comma 2, l. fall.). La natura di vendita coattiva va attribuita non solo alle vendite nelle quali il giudice aggiudica e trasferisce il bene, ma anche a quelle che si perfezionano per il tramite del curatore con forme privatistiche, trovando la loro legittimazione, la loro origine qualificante, nel provvedimento autorizzativo del giudice delegato a seguito di controllo e verifica di adeguatezza dell'intera procedura (P. Pajardi, op. cit, sub art. 107, Milano, 2013). Come è stato fatto giustamente osservare, dopo l'intervento correttivo del 2007, la facoltà (residualmente) lasciata al curatore di affidare la vendita al giudice delegato secondo le norme codicistiche, non può che rafforzare la natura di coattività delle vendite concorsuali, posto che sarebbe davvero incongrua la prospettazione, nel silenzio della legge, di un doppio regime (L. Iannicelli, Le vendite fallimentari: aspetti processuali, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore e A. Bassi, coordinato da G. Capo, F. De Santis e B. Meoli, Padova, 2010, vol. III, 391 e ss.).

La soluzione giuridica

Il decreto in rassegna, accertato che anche le vendite competitive sono vendite forzate, ne ha tratto le doverose conseguenze sul piano sistematico ed interpretativo. Ed infatti la “deformalizzazione” delle vendite fallimentari non opera (più) alcun rimando, nemmeno per analogia, alle norme del codice di rito relative alle esecuzioni individuali (se non nel caso, come prima fatto osservare, che il curatore preveda che le vendite dei beni mobili, immobili e mobili registrati vengano effettuate dal giudice delegato secondo le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili: art. 107, comma 2, l. fall.), poiché tale principio di libertà di forma delle vendite fallimentari fissa come unico punto l'ulteriore principio secondo il quale il programma di liquidazione deve prevedere forme di pubblicità tali da garantire la massima informazione e partecipazione/competizione degli interessati. Il necessario contemperamento tra il principio della libertà delle forme e l'esigenza della tutela degli interessi dei creditori è assicurato dall'obbligo di motivazione incombente sul curatore che deve sottoporre le proprie decisioni al sindacato del comitato dei creditori (Trib. Ivrea, 11 ottobre 2012 (decr.), in Fall., 2013, 1472, con nota di C. Esposito).
Nel caso di specie, il lamentato ritardo di (soli) sette giorni nel versamento del prezzo non impinge, per tutta evidenza, in alcun modo sulla validità e ritualità della vendita autorizzata dal giudice delegato, sia perché, principalmente, risultano, come ampiamente ribadito, inapplicabili le regole dell'esecuzione individuale e, in particolare, l'art. 587 c.p.c., sia per valutazioni d'opportunità nell'interesse della massa dei creditori e dei lavoratori dipendenti, i quali, rispettivamente, avevano già acquisito il prezzo della vendita (seppur con sette giorni di ritardo) ed erano stati stabilizzati.
Appare assolutamente ragionevole ritenere (non conoscendo i termini esatti del “bando” relativo all'esperita procedura competitiva davanti al notaio) che, nella contrapposizione fra opposti interessi, il giudice delegato abbia deciso di autorizzare il perfezionamento dell'atto di trasferimento piuttosto che sospendere la vendita per sopraggiunti gravi e giustificati motivi richiesti dall'art. 108 l. fall., che, unici, in punto di diritto, potevano rimettere in discussione la procedura di vendita. La richiesta sospensione delle operazioni di vendita, da esercitarsi previo parere del comitato dei creditori, appare, tuttavia, applicabile soltanto in casi eccezionali, ravvisabili nell'estraneità delle operazioni di liquidazione al programma approvato dal giudice delegato o nell'adozione da parte del curatore di modalità non competitive per la vendita ovvero nell'adozione di modalità competitive non adeguiate al valore e alla consistenza dei beni oggetto della vendita (D. Benzi, Cessione dei crediti e modalità delle vendite, in Fallimento e altre procedure concorsuali, diretto da G. Fauceglia e L. Panzani, Torino, 2009, vol. 2, 1259), con esclusione di quelli riguardanti valutazioni di carattere economico e la migliore possibile collocazione dei beni sul mercato, fattispecie quest'ultima, specificamente disciplinata dalla seconda ipotesi tipica prevista dall'ultima parte dell'art. 108, comma 1, l. fall. (che, con un refuso, fa riferimento al comma 4 dell'art. 107 l. fall., anziché, più correttamente, al comma 5 del predetto art. 107 l. fall.).

Le conclusioni

Il reclamante aveva poche chance fin dall'inizio. Le sue doglianze erano infondate, prima che in fatto, soprattutto in diritto, perché la deformalizzazione delle vendite fallimentari non contempla(va) alcun riferimento alle esecuzioni individuali e, in particolare, all'art. 587 c.p.c., che sanziona l'inadempienza dell'aggiudicatario con la decadenza e la perdita della cauzione, disponendo un nuovo incanto. Sbarrato appariva anche il tentativo di avvalersi della previsione di cui all'art. 108 l. fall. per pretesi gravi e giustificati motivi (ad eccezione di valutazioni economiche che dovevano essere eccepite nel termine di dieci giorni dal deposito in cancelleria degli esiti delle procedure competitive), stante la loro palese insussistenza (sette giorni di ritardo) ut supra delineata, relegando in secondo piano valutazioni di carattere opportunistico che, come tali, si possono sempre prestare a contrarie ed opposte valutazioni di merito.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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