La vendita tramite procedure competitive
30 Novembre 2015
Massima
Nel caso in cui il curatore abbia optato per la vendita con forme negoziali alternative a quelle previste dal codice di procedura civile, la valutazione di legittimità della procedura di vendita è svincolata dalla rigidità delle prescrizioni codicistiche, dovendosi verificare il rispetto dei due unici principi di legge che governano la liquidazione negoziale, vale a dire l'idoneità della pubblicità che deve precedere la vendita e la natura competitiva del procedimento utilizzato per l'individuazione del soggetto acquirente. Il caso
Il giudice delegato al fallimento aveva autorizzato il curatore a perfezionare l'atto di vendita di un ramo aziendale con il soggetto risultato aggiudicatario all'esito della procedura competitiva svolta ai sensi del primo comma dell'art. 107 l. fall. La reclamante, esclusa dall'aggiudicazione, sosteneva la necessità di sospendere la vendita, ai sensi dell'art. 108 l. fall., perché l'aggiudicataria aveva provveduto al pagamento del prezzo con sette giorni di ritardo rispetto al termine stabilito nel bando di gara, chiedendo l'applicazione del primo comma dell'art. 587 c.p.c. che prevede la decadenza dell'aggiudicatario nel caso di mancato versamento del prezzo nel termine stabilito. Il tribunale, in sede di reclamo, dopo aver compiuto una breve ricognizione dei principi giuridici che governano la (nuova) normativa sulle vendite, dichiarava infondate le doglianze della reclamante e, per l'effetto, rigettava il reclamo, con la conseguente condanna alle spese. La questione
Il provvedimento in commento offre l'opportunità di approfondire la natura giuridica della vendita fallimentare e di valorizzarne gli aspetti più squisitamente pratico-innovativi. E' certamente radicata nella memoria collettiva la ferma convinzione che la legge fallimentare del 1942 avesse mutuato il sistema delle vendite fallimentari dall'esecuzione individuale con la conseguenza che alle predette vendite si applicassero le relative norme del processo di esecuzione del codice di procedura civile in quanto compatibili. La dottrina unanime (R. Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, III, Milano, 1974, 1581 ss.; A. Bonsignori, La liquidazione dell'attivo, in Commentario Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1976, 70 ss.; P. Pajardi, Codice del fallimento, sub art. 105, Milano, 1997 e, da ultimo, ibidem, sub art. 107, Milano, 2013) e la giurisprudenza consolidata (ex multis: Cass. 3 novembre 1981 n. 5784 e, più recentemente, Cass. 10 giugno 2010 n. 14760) ritenevano altresì applicabili alle vendite fallimentari, comprese quelle a trattativa privata, le norme del codice civile relative alla vendita forzata (artt. 2919 e ss. c.c.), , in primis perché tali vendite venivano effettuate contro la volontà del debitore. Per completezza, va detto che se nessun dubbio sussisteva circa la natura di vendita forzata nel caso di vendita di immobili con le formalità dell'asta con o senza incanto in pedissequa applicazione delle norme del codice di rito, alcune incertezze residuavano, invece, nel caso in cui, con riferimento al (vecchio) art. 106 l. fall., il giudice delegato avesse disposto la vendita di beni mobili con il metodo delle offerte private e, dunque, in applicazione di uno schema privatistico per l'attuazione di una vendita forzata (per un approfondimento sul punto specifico cfr. Cass. 6 settembre 2006 n. 19142, in Fall., 2007, 157, con nota critica di G. Federico). La soluzione giuridica
Il decreto in rassegna, accertato che anche le vendite competitive sono vendite forzate, ne ha tratto le doverose conseguenze sul piano sistematico ed interpretativo. Ed infatti la “deformalizzazione” delle vendite fallimentari non opera (più) alcun rimando, nemmeno per analogia, alle norme del codice di rito relative alle esecuzioni individuali (se non nel caso, come prima fatto osservare, che il curatore preveda che le vendite dei beni mobili, immobili e mobili registrati vengano effettuate dal giudice delegato secondo le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili: art. 107, comma 2, l. fall.), poiché tale principio di libertà di forma delle vendite fallimentari fissa come unico punto l'ulteriore principio secondo il quale il programma di liquidazione deve prevedere forme di pubblicità tali da garantire la massima informazione e partecipazione/competizione degli interessati. Il necessario contemperamento tra il principio della libertà delle forme e l'esigenza della tutela degli interessi dei creditori è assicurato dall'obbligo di motivazione incombente sul curatore che deve sottoporre le proprie decisioni al sindacato del comitato dei creditori (Trib. Ivrea, 11 ottobre 2012 (decr.), in Fall., 2013, 1472, con nota di C. Esposito). Le conclusioni
Il reclamante aveva poche chance fin dall'inizio. Le sue doglianze erano infondate, prima che in fatto, soprattutto in diritto, perché la deformalizzazione delle vendite fallimentari non contempla(va) alcun riferimento alle esecuzioni individuali e, in particolare, all'art. 587 c.p.c., che sanziona l'inadempienza dell'aggiudicatario con la decadenza e la perdita della cauzione, disponendo un nuovo incanto. Sbarrato appariva anche il tentativo di avvalersi della previsione di cui all'art. 108 l. fall. per pretesi gravi e giustificati motivi (ad eccezione di valutazioni economiche che dovevano essere eccepite nel termine di dieci giorni dal deposito in cancelleria degli esiti delle procedure competitive), stante la loro palese insussistenza (sette giorni di ritardo) ut supra delineata, relegando in secondo piano valutazioni di carattere opportunistico che, come tali, si possono sempre prestare a contrarie ed opposte valutazioni di merito. |