Gruppi di imprese e scissione degli accordi di ristrutturazione
11 Novembre 2011
Massima
Poiché il legislatore non ha disciplinato il fenomeno degli accordi di ristrutturazione di gruppo, deve ritenersi che ciascuna società del gruppo medesimo sia tenuta a presentare un autonomo ricorso per omologazione, basato su un altrettanto autonomo piano industriale, ed accompagnato da un'autonoma relazione del professionista. Il caso
Innanzi al Tribunale di Monza viene presentato un unico ricorso per l'omologazione di un accordo di ristrutturazione concernente ben dodici società facenti parte del medesimo gruppo. Il tribunale dispone, con provvedimento istruttorio, che l'unica domanda venga scissa in tanti autonomi ricorsi quante sono le società facenti parte del gruppo, disponendo che ogni domanda sia accompagnata da un'autonoma attestazione. Le questioni giuridiche e la soluzione
Il caso portato all'attenzione del tribunale brianzolo poneva il problema dell'ammissibilità di un accordo di ristrutturazione unitario per tutte le imprese di un gruppo e, in senso più ampio, la possibilità di valorizzare l'esistenza dei gruppi nell'ambito delle soluzioni alla crisi di impresa alternative al fallimento, atteso che identica questione può porsi per il concordato preventivo. Osservazioni
La decisione del tribunale di Monza si muove indubbiamente lungo il percorso tracciato soprattutto dalla giurisprudenza sul postulato del carattere di autonomia (soggettiva e patrimoniale) che le singole società di un gruppo comunque conservano. Questa osservazione non sembra aver grandemente ostacolato la valorizzazione del gruppo nella disciplina dell'amministrazione straordinaria, forse proprio perché quest'ultima è maggiormente pensata e ponderata per l'insolvenza di grandi realtà imprenditoriali, quasi sempre articolate o inserite in gruppi. Orbene, per quanto forse non pienamente percepito (o comunque esplicitato) in sede di riforma, l'accordo di ristrutturazione costituisce strumento di soluzione della crisi di impresa che, per i suoi caratteri (capacità di negoziazione con la maggioranza del ceto creditorio, finalità di rilancio della realtà imprenditoriale, persistenza di una pianificazione strategica), appare a propria volta confacente a realtà industriali medio-grandi, e finisce, conseguentemente, per costituire un terreno elettivo per le operazioni di salvataggio e rilancio di entità articolate in gruppi. Le questioni aperte
Il provvedimento in esame non risolve esplicitamente altre questioni. La prima è quella della rilevanza dell'attestazione di gruppo, in quanto resta il dubbio se l'assenza della stessa in presenza di idonee e positive attestazioni per ciascuna società del gruppo possa costituire fatto ostativo all'omologa. La seconda è la possibilità, una volta appurata la non idoneità di alcuni degli accordi, di procedere con l'omologa dei soli accordi con valutazione positiva, scindendo i destini delle varie società e sacrificando quelle ormai irrecuperabili. Conclusioni
La risposta al primo quesito sembra dipendere dalla possibilità o meno che la ristrutturazione delle singole società possa risultare fattibile ma inadeguata nell'ottica della strategia complessiva di gruppo. È evidente che, ove a tale domanda si dia risposta positiva, sarà giocoforza pretendere la sussistenza di una “adeguatezza di gruppo”, supportata dalla relativa attestazione. Queste considerazioni valgono come principio di risposta al secondo quesito, in quanto è probabile che anche in questo caso il fattore decisivo sia quello della tenuta del gruppo. Qualora il sacrificio di singole componenti del gruppo sia comunque compatibile con la ristrutturazione di quest'ultimo, nulla sembra impedire un'omologazione solo di alcuni degli accordi. Ben diverso il discorso – e qui si rivela il ruolo dell'attestazione di gruppo – qualora le varie componenti si trovino in una situazione di simul stabunt simul cadent perché in tal caso la inidoneità della ristrutturazione anche di una sola società potrebbe compromettere l'intera operazione. Sullo specifico argomento si segnalano poche decisioni giurisprudenziali.Trib Roma, col decreto 5/11/2009 pubblicato sul sito ilcaso.it ha ritenuto ammissibile una domanda di concordato preventivo che consista in un unico ricorso riferibile alla impresa di gruppo e che sia supportato da un unico piano aziendale, puntualizzando che domanda di concordato dovrà tenere distinte le masse patrimoniali delle singole società e dovrà prevedere singole votazioni. In precedenza Trib. Roma 5/11/2009 sul sito ilcaso.it ha affermato che qualora l'accordo ex art. 182 bis l. fall. costituisca un elemento essenziale di un più ampio piano di ristrutturazione del gruppo di imprese del quale fa parte la proponente, anche quest'ultimo documento dovrà essere depositato presso il registro delle imprese, specialmente nel caso in cui l'accordo di ristrutturazione acquisti pienezza di significato solo nell'ambito del più generale piano aziendale. Il Trib. Milano nel decreto 10/11/2009 (pubblicato in Fall., 2010, 195; Foro it. 2010, I, 298; Dir. Fall. 2010, II, 205; Corr. Giur. 2010, 109) ha ritenuto la possibilità di procedere alla trattazione congiunta di una pluralità di ricorsi ex art. 182 bis concernenti le società di un medesimo gruppo (e la cui efficacia era peraltro subordinata all'omologa di tutti gli accordi medesimi). In dottrina alcuni cenni alla problematica in oggetto si rinvengono in Rolfi, Gli accordi di ristrutturazione: profili processuali e ricadute sostanziali, in Il Fallimento 1/2011. Le norme che disciplinano (lacunosamente) la tematica sono: l'art. 182 bis e – per ciò che può riguardare il profilo del debito fiscale – l'art. 182 ter l. fall. |