Il contrasto in Cassazione sulla fattibilità del concordato preventivo: una novità (positiva) che rende necessario l’intervento delle SSUU

Filippo Lamanna
11 Novembre 2011

Il concordato preventivo non è un contratto di diritto privato, difettandone l'elemento fondamentale della volontà concorde di tutte le parti interessate, destinatarie dei relativi effetti.
Massima

Il concordato preventivo non è un contratto di diritto privato, difettandone l'elemento fondamentale della volontà concorde di tutte le parti interessate, destinatarie dei relativi effetti.

In tema di concordato preventivo, il controllo del tribunale sia nella fase di ammissibilità della proposta, che successivamente fino all'omologa, ha per oggetto anche la fattibilità del piano e non solo la completezza e la regolarità della documentazione allegata alla domanda, o la completezza e logicità dell'attestazione del professionista. Il suddetto potere di controllo del tribunale è esercitabile ex officio e non viene meno nel corso della procedura, potendo esso revocare, in qualunque momento, l'ammissione alla procedura ove, all'esito degli accertamenti del commissario giudiziale, risultino difettare le prescritte condizioni di ammissibilità.

La proposta di concordato preventivo deve necessariamente contenere la precisazione della percentuale di soddisfazione promessa ai creditori, pena la nullità della stessa per la sua aleatorietà e per il conseguente difetto di causa.

Il caso

Il Tribunale di Bari, con decreto poi confermato dalla locale Corte d'Appello, rigetta una domanda di concordato preventivo ritenendo insussistente il requisito della fattibilità. La Corte di Cassazione, investita della questione sul se il Tribunale potesse sindacare d'ufficio l'esistenza del predetto requisito, risponde affermativamente rigettando il ricorso straordinario. La sentenza, pronunciata dalla Prima Sezione Civile della S. Corte, si pone in frontale, consapevole e motivato contrasto con altre sentenze della medesima Sezione (nn. 18987/2011 est. Cultrera, 13817/2011 est. Zanichelli, 13818/2011 est. Zanichelli, 3586/2011 est. Didone, 21860/2010 est. Fioretti), che hanno negato al Tribunale fallimentare un autonomo potere di sindacato sul requisito della fattibilità.

Le questioni giuridiche sul sindacato circa la fattibilità del concordato  – il contrasto nella giurisprudenza di legittimità

La S. Corte, con la sentenza n. 18864/2011, riconosce per la prima volta, in modo espresso e chiarissimo, l'esistenza del potere del Tribunale fallimentare di sindacare ex officio, e per di più durante tutto il corso del procedimento (dall'ammissione fino all'omologa), il requisito della fattibilità della proposta concordataria, così facendo proprio un indirizzo interpretativo finora espresso dalla maggior parte della giurisprudenza di merito, compresa quella milanese, ma contrastato da altri collegi della stessa Prima Sezione della Cassazione.La pronuncia merita dunque particolare apprezzamento anche perché, distinguendosi dalle altre sentenze finora emesse dalla S. Corte in tale materia, paradossalmente risulta l'unica davvero (e ampiamente) motivata sulla base di articolati argomenti giuridici e non sulla base di considerazioni gravitanti semplicemente sulla pregiudiziale logico-ideologica costituita dalla pretesa “privatizzazione” del concordato, non a caso censurata dalla sentenza stessa con una critica nemmeno tanto velata.
Sta di fatto che la soluzione ora adottata, per quanto finanche auto-evidente (giacché nessuna norma era dato rinvenire che davvero avesse privato il Tribunale dei suoi ordinari poteri decisori e di sindacato su tutti i requisiti di ammissibilità delle proposte concordatarie), sembrava difficilmente prevedibile dopo la pronuncia dei contrari precedenti sopra citati, chiaramente mossi dall'intenzione di favorire ad ogni costo le soluzioni concordatarie (rischiando peraltro di pervenire a risultati opposti). Contro tali precedenti, che il collegio che ha ora pronunciato la sentenza n. 18864/2011 ha dimostrato di ben conoscere, tanto da averne esplicitamente citato almeno uno tra quelli emessi per ultimi (la sent. n. 13817/2011), vengono spesi argomenti molteplici e convincenti.

La soluzione e le sue motivazioni

Anzitutto il Collegio decidente contesta che l'ispirazione privatizzatrice della riforma concorsuale abbia trasformato tout court il concordato preventivo in un vero e proprio contratto, conclusione considerata irragionevole in assenza del principio unanimistico di formazione del consenso, e in presenza, viceversa, del principio maggioritario che informa la procedura di voto dei creditori.
Tuttavia la stessa S. Corte non nega che, rispetto alla disciplina precedente, vi sia stato ora un maggiore avvicinamento del concordato preventivo alle regole contrattuali, quanto meno sotto il profilo della necessaria causalizzazione, e quindi della non mera aleatorietà, delle promesse di pagamento contenute nella proposta concordataria; connotazione che, correlata del resto alla nuova disciplina della risoluzione del concordato (possibile ex art. 186 l. fall., in analogia funzionale con le regole del contratto, solo in caso di adempimento che non abbia scarsa importanza), esige sempre, anche in caso di concordato con cessione dei beni, la necessaria specificazione – pena altrimenti la ricaduta in un'aleatorietà integrale dell'istituto - della soddisfazione promessa ai creditori, attraverso l'enucleazione ex ante di una determinata percentuale, cui l'eventuale successivo inadempimento possa rapportarsi (per avere rilievo, appunto, come inadempimento non di scarsa importanza) e il cui pagamento possa produrre il divisato effetto integralmente esdebitatorio (anche per la parte in concreto non pagata).
Nelle normali ipotesi di concordato per ristrutturazione la persuasività di tale impostazione dovrebbe essere evidente per chiunque, ma non lo è forse altrettanto nei casi di concordati per cessione dei beni, che sono spesso proposti con l'idea di poter ottenere un'esdebitazione integrale qualunque sia la percentuale pagata ai creditori chirografari, anche se in ipotesi assai modesta rispetto a quella che nei ricorsi viene meramente indicata come possibile. La S. Corte, invece, con la pronuncia in commento, si pone in linea con una linea interpretativa, seguita negli ultimi anni soprattutto dalla giurisprudenza milanese, secondo la quale, una volta abrogata la norma di natura eccezionale contenuta nel secondo comma dell'art. 186 l. fall. ("Nel caso di concordato mediante cessione dei beni a norma dell'art. 160, comma 2, n. 2, questo non si risolve se nella liquidazione dei beni si sia ricavata una percentuale inferiore al quaranta per cento"), l'esdebitazione del debitore può avvenire solo nei limiti di quanto effettivamente ricevuto dai creditori, come stabilito, per la figura tipica di cessio bonorum (cui appunto si conforma il concordato per cessione dei beni), dalla norma imperativa di cui all'art. 1984 c.c., secondo la quale la possibilità di una esdebitazione totale è possibile solo mediante la stipula di veri e propri patti contrattuali in deroga, ai quali certo non corrisponde il procedimento di voto a maggioranza previsto nel concordato preventivo. Per aggirare dunque tale ostacolo l'unico mezzo a disposizione del debitore è quello di uniformare la causa (e l'alea contrattuale) del concordato per cessione dei beni a quelle delle altre figure concordatarie, nelle quali la ristrutturazione progettata dal debitore può mirare ad una riduzione dei debiti originari, ed aspirare ad una esdebitazione anche per la differenza non pagata, solo se il debitore si assuma i rischi della sua promessa di pagamento in percentuale, incorrendo così in una possibile risoluzione del concordato in caso di scostamento dalla percentuale promessa di tale entità da costituire grave inadempimento.
Pertanto – possiamo concludere traendo le fila del ragionamento della S. Corte – se si può ancora parlare di una più accentuata privatizzazione del concordato preventivo, lo si può fare dando però per presupposta la sua invariata natura di istituto giudiziale-concorsuale, che può dunque accostarsi in qualche modo al contratto, a tal fine utilizzandosi le più diverse sintesi verbali (qualificandosi ad esempio l'istituto come para-contrattuale o contrattual-giudiziale ecc.), ma solo nella consapevolezza dell'impossibilità di ridurlo sic et simpliciter ad esso, tenuto conto del fatto che la volontà dei creditori chirografari (i soli, peraltro, legittimati ad approvare la proposta) è solo uno dei requisiti di perfezionamento del concordato e si esprime non in modo unanimistico, ma con il sistema di votazione a maggioranza, orientata da interessi eterogenei insuscettibili di una sintesi comune.
La sentenza ricorda poi come la fattibilità altro non sia che uno dei requisiti di ammissibilità/omologabilità del concordato, che esigono un controllo di legittimità sostanziale e non meramente formale sulla proposta (sindacato per di più esplicabile lungo tutto il corso della procedura, senza alcun limite correlato ad inesistenti preclusioni o barrages), sia pure con l'ausilio della relazione dell'esperto che ne attesta la sussistenza, non potendo però tale relazione, che – precisa la S. Corte – va recepita ed utilizzata come si fa di norma con ogni altra “valutazione tecnica extragiuridica” (ossia, in definitiva, come si fa con una consulenza tecnica), espropriare il Tribunale dei poteri decisori che ontologicamente gli appartengono, quantunque il Giudicante, per prassi, non possa discostarsi in concreto dalle conclusioni del consulente se non in presenza di evidenti incongruità (per un'opportuna riconduzione della relazione al sistema delle prove e dell'onere della prova, v. Rago, I poteri del tribunale sul controllo della fattibilità del piano nel concordato preventivo dopo il decreto correttivo, in Il Fallimento, 2008, 264).
Si può evidenziare, peraltro, ad ulteriore sostegno di tale conclusione, come l'art. 67, comma 3, lett. d), l. fall., unica norma che indichi in quale modo la relazione dell'esperto debba essere redatta (con un esplicito riferimento ai soli piani attestati di risanamento, che però non può non estendersi, per ragioni sistematiche, anche ai concordati preventivi e agli accordi di ristrutturazione, stante la comune opinione che considera sostanzialmente uniforme in tutte e tre le soluzioni della crisi il requisito della feasibility oggetto dell'asseverazione), faccia non a caso rinvio, a questo fine, all'art. 2501 bis, comma 4, c.c. che a sua volta, rinviando all'art. 2501 sexies c.c. (e quindi ai criteri valutativi richiesti per la relazione da redigere in caso di fusione a seguito di acquisizione con indebitamento), rende pregnante l'accostamento dell'attività dell'attestatore a quella di un consulente tecnico, tanto che l'esperto viene da quella norma sottoposto allo statuto di responsabilità proprio del Consulente Tecnico d'Ufficio, ed è quindi tenuto a rispondere dei danni ai sensi dell'art. 64 c.p.c. (previsione che, derivando chiaramente dalla necessità di responsabilizzare i soggetti che, anche se nominati da imprenditori privati e non dall'Autorità giudiziaria, esprimono pareri tecnici destinati ad influire sulla volontà e sugli interessi economici di terzi, pure potrebbe giustificare, per quanto solo indirettamente in forza dei detti rinvii normativi, un'analoga responsabilità del professionista chiamato ad asseverare i piani in tutte le soluzioni alternative della crisi d'impresa).
Soggiunge poi la S. Corte che l'inevitabilità del controllo ufficioso sul detto requisito è indirettamente confermata anche dal potere del Tribunale di consentire ex art. 162 l. fall. integrazioni al piano e la produzione di “nuovi” documenti, materiale che, evidentemente, essendo introdotto successivamente alla redazione e al deposito della relazione attestatoria dell'esperto, non può che superare e rendere ormai inattuale quest'ultima. Pertanto essa non può essere intesa come preteso unico supporto dimostrativo della fattibilità (finendo per diventare essa stessa un mero requisito formale di ammissibilità al posto di quello sostanziale della fattibilità), la quale va invece investigata dal Tribunale, anche ex novo, proprio in ragione delle dette integrazioni, senza che l'asseverazione giochi un ruolo preclusivo, in senso positivo o negativo.
Ed in effetti anche in tal caso può evidenziarsi, a conforto della soluzione della S. Corte, come sia irragionevole ipotizzare che un vizio motivazionale della relazione attestatoria possa e debba valere sempre di per sé come causa giustificatrice di un'immediata pronuncia di inammissibilità della proposta laddove incongruamente ne prospetti la fattibilità (ad esempio considerando realizzabili al 100% crediti assai risalenti nel tempo e vantati verso debitori insolventi e falliti : classica ipotesi di asseverazione illogica e contraddittoria), anche quando, potendo concedersi comunque un termine al debitore per le integrazioni del piano ex art. 162 l. fall., egli potrebbe dimostrare aliunde l'esistenza del suddetto requisito anche in base a fatti sopravvenuti (ad esempio essendo riuscito a ricevere da terzi, nelle more, liquidità sufficiente a controbilanciare quella che prima incongruamente si attendeva dal realizzo dei crediti inesigibili). Sarebbe a dir poco assurdo, allora, per quanto conseguenza inevitabile alla luce della logica formalistica dei citati precedenti della S. Corte, dichiarare l'inammissibilità della proposta sulla base di un vizio motivazionale della relazione in punto di fattibilità, necessariamente originario e non più rimosso né rimuovibile, quando questa emerga poi come palesemente esistente alla luce delle disposte integrazioni istruttorie. È dunque la fattibilità che va intesa come requisito del concordato, e non (solo, o non tanto) la relazione che ne asseveri l'esistenza, e la prima può, a seconda dei casi, reputarsi sussistente anche quando la seconda si sia rivelata inidonea ad attestarla.
D'altra parte può osservarsi, sul piano empirico, che, siccome ogni proposta concordataria non può che giungere al Tribunale con un'asseverazione necessariamente positiva, se mancasse un diretto controllo del Tribunale sulla fattibilità (almeno nei casi di più evidente incongruità dei dati di riferimento) finirebbero per dover essere dichiarate ammissibili praticamente tutte le proposte di concordato (anche perché ormai confezionate con motivazioni alquanto standardizzate nella forma), laddove l'esperienza insegna – al contrario - come non poche siano quelle (anche palesemente) non realizzabili.
Dinanzi a tali articolati e convincenti motivi è francamente arduo attribuire valore dimostrativo alla semplicistica evocazione della pretesa “privatizzazione” del concordato preventivo, quale unico sostegno motivazionale su cui di fatto si basa la tesi contraria, anche perché la nuova e dissonante pronuncia non trascura nemmeno di evidenziare come il difetto della fattibilità non potrebbe che essere sempre sindacabile dal Tribunale anche qualora si volesse valorizzare al massimo la suddetta ispirazione contrattualistica, tenuto conto che un difetto genetico di veridicità dei dati aziendali in caso di sottostima sensibile delle passività, o anche l'occultamento o la dissimulazione delle stesse (a sua volta senz'altro sanzionabili anche ex art. 173 l. fall.), potrebbero evidentemente incidere - escludendo la realizzabilità del piano - sulla corretta formazione della volontà dei creditori ammessi al voto, invalidandola, quali figure di errore-vizio o errore-motivo, secondo appunto la disciplina del contratto, e potrebbero finanche integrare ipotesi di nullità contrattuale – anche come tale rilevabili dal Giudice ex officio - per impossibilità dell'oggetto (ex artt. 1346, 1418, comma 2, e 1421 c.c.).

Conclusioni

La pronuncia in commento ha quindi finalmente reso ben chiari i termini della questione e i motivi che sostengono e rendono convincente la soluzione per ultimo proposta.
Sembra tuttavia inevitabile ed auspicabile, a questo punto, che essa trovi conferma in tempi brevi in seguito ad un pronunciamento delle SS.UU., per evitare che il contrasto, prima esistente solo tra S. Corte e giudici di merito, e ora invece anche tra compagini della stessa S. Corte, continui ad aggravare ancor di più l'attuale situazione di incertezza interpretativa ed operativa.

Minimi riferimenti giurisprudenziali e bibliografici

Per la tesi favorevole al sindacato del Tribunale sulla fattibilità, v. per la giurisprudenza di merito già edita da alcuni anni: Trib. Roma, 24 aprile 2008, in Dir. fall. 2008, II, 573; App. Palermo 18 maggio 2007; Trib. Ancona, 9 maggio 2007, Giur. merito, 2007, 3227; Trib. Milano, 9 marzo 2007, in Fall. 2007, 684; Trib. Torino, 12 dicembre 2006, in Fall. 2007, 685; App. Bologna, 30 giugno 2006, in Fall. 2007, 470; Trib. Roma 8 marzo 2006, in Dir. fall. 2007, II, 103; Trib. Bari, 7 novembre 2005, in Fall. 2006, 52; Trib. Monza, 16 ottobre 2005, in Fall. 2005, 1403; Trib. Pescara 13 ottobre 2005, Giur. merito, 2006, 654; Trib. Sulmona, 6 giugno 2005, Riv. dir. proc. 2006, 1126; Trib. Salerno, 3 giugno 2005, in Giur. it. 2006, I, 559.
Quanto alla giurisprudenza più recente, i precedenti non possono citarsi tutti. Per limitarsi al Tribunale di Milano, che registra i maggiori flussi di proposte concordatarie, si segnala che esso è orientato ormai costantemente a ritenere che il Tribunale abbia un pieno potere di controllo sul requisito della fattibilità, considerando inoltre quale elemento di ammissibilità dei concordati per cessione dei beni la formulazione di una promessa di pagamento in percentuale inequivoca e precisa. Su tale ultimo aspetto cfr. da ultimo i recentissimi decreti di accoglimento 27.10.2011 e di rigetto 20.10.2011 emessi rispettivamente nelle procedure per l'ammissione al concordato preventivo FONDAZIONE SAN RAFFAELE e FIN IMMOBILIARE 2004 s.r.l., ancora inediti.
Per il dibattito in dottrina si vedano: Riccardo Fava, Concordato preventivo ed ammissione: natura e limiti del sindacato giurisdizionale, in Enciclopedia Treccani; Ambrosini, Il sindacato sulla fattibilità del piano concordatario e la nozione evolutiva degli atti di frode nella sentenza 15 giugno 2011 della Cassazione, in Il Caso.it, 254/2011; A. Carratta, Procedure concorsuali (riforma delle) II) profili processuali, in Enc. giur. Roma, 2006, 6; P. F. Censoni, Il “nuovo” concordato preventivo, in Giur. comm. 2005, I ,738; G. Bozza, Il sindacato del tribunale sulla fattibilità del concordato preventivo, in Fall., 2011, 189; Id., La proposta di concordato preventivo, la formazione delle classi e le maggioranze richieste dalla nuova disciplina, in Fall. 2005, 1213; Fabiani, Per la chiarezza delle idee su proposta, piano e domanda di concordato preventivo e riflessi sulla fattibilità, in Fall., 2011, 172; Galletti, La revoca dell'ammissione al concordato preventivo, in Giur. Comm., 2009, 733; A. Patti, I diritti dei creditori nel nuovo concordato preventivo, in M. Fabiani – A. Patti (a cura di), La tutela dei diritti nella riforma fallimentare. Scritti in onore di G. Lo Cascio, Milano, 2006, 282; G. Schiavon, La riforma del concordato preventivo, in F. Di Marzio (a cura di) Il nuovo diritto delle crisi di impresa e del fallimento, Torino, 2006, 27 e 45; G. Fauceglia, Il ruolo del tribunale nella fase di ammissione del nuovo concordato preventivo, in Fall. 2005, 1302; F. Santangeli, Auto ed etero tutela dei creditori nelle soluzioni concordate delle crisi d'impresa. Le tutele giudiziali dei crediti nelle procedure ante crisi, in Dir. fall., 2009, I, 606.

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