Condizioni di ammissibilità della proposta concordataria e concordato con parziale cessione dei beni

30 Novembre 2011

È inammissibile la proposta di concordato preventivo che sia presentata in forza di una delibera del consiglio di amministrazione indeterminata quanto alle condizioni del piano concordatario, atteso che ai sensi dell'art. 152, comma 2, l. fall., richiamato dall'art. 161, comma 4, l. fall., la proposta e le condizioni del concordato delle società devono essere deliberate dagli amministratori.La delibera del consiglio di amministrazione indeterminata in relazione alle condizioni del piano concordatario è insuscettibile di essere integrata ai sensi dell'art. 162 l. fall., posto che tale norma consente al Tribunale solamente di richiedere integrazioni del piano e non delle condizioni di proponibilità della domanda.
Massima

È inammissibile la proposta di concordato preventivo che sia presentata in forza di una delibera del consiglio di amministrazione indeterminata quanto alle condizioni del piano concordatario, atteso che ai sensi dell'art. 152, comma 2, l. fall., richiamato dall'art. 161, comma 4, l. fall., la proposta e le condizioni del concordato delle società devono essere deliberate dagli amministratori.

La delibera del consiglio di amministrazione indeterminata in relazione alle condizioni del piano concordatario è insuscettibile di essere integrata ai sensi dell'art. 162 l. fall., posto che tale norma consente al Tribunale solamente di richiedere integrazioni del piano e non delle condizioni di proponibilità della domanda.

Il concordato preventivo con cessione parziale dei beni del debitore è inammissibile per contrasto con gli artt. 2740 e 2910 c.c.

L'integrale pagamento dei crediti privilegiati come condizione di ammissibilità del concordato preventivo è da intendersi quale pagamento per intero, in numerario e secondo le scadenze previste, essendo il pagamento dilazionato consentito solo nei casi e nelle forme previste dalla legge.

Nel giudizio di concordato preventivo il P.M., in quanto parte necessaria, è legittimato a proporre istanza di fallimento anche oltre ai limiti fissati nell'art. 7 l. fall.

il caso

Una società concessionaria di una nota casa automobilistica, risentendo della crisi dell'intero comparto, ma, al contempo, apparendo sufficientemente patrimonializzata, sottopone all'attenzione dei giudici torinesi una domanda concordataria che prevede l'integrale soddisfacimento del ceto creditorio (privilegiati e chirografari) per mezzo della liquidazione solo di alcuni dei suoi asset, specificamente individuati, tra cui un immobile, con l'esclusione espressa di altri immobili di sua proprietà.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il Tribunale, come emerge dalle prime due massime, affronta il tema, proprio dei concordati delle società, relativo al contenuto della delibera autorizzativa che gli amministratori devono assumere con riguardo alla proposta di concordato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 161, comma 4, e 152, comma 2, l. fall.
I giudici torinesi, rilevato che nel caso sottoposto al loro esame la delibera del consiglio di amministrazione della società proponente si limitava ad autorizzare il suo legale rappresentante a proporre un concordato preventivo senza però individuare le condizioni specifiche del piano, hanno considerato la domanda inammissibile, senza peraltro dare corso a una richiesta di integrazione ex art. 162 l. fall., in quanto tale norma, sempre secondo la decisione in commento, consente al Tribunale di richiedere esclusivamente integrazioni al piano concordatario e non della documentazione che deve essere depositata con esso ai sensi dell'art. 161.
Ulteriore profilo di inammissibilità (terza massima) viene poi individuato nella proposizione di una domanda concordataria limitata solo ad alcuni dei beni del soggetto debitore. Il Tribunale, con specifico riferimento a questo aspetto, considera l'esclusione di parte dei beni dal progetto liquidatorio una inammissibile deroga al principio generale di cui all'art. 2740 c.c., secondo il quale il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, e al suo precipitato nella fase dell'esecuzione di cui all'art. 2910 c.c. Né considera rilevante, a smentita dell'assunto, la cessione negoziale di cui all'art. 1977 c.c., che, in quanto tale, non ha un effetto esdebitativo generale come invece quello ottenibile con l'adempimento del concordato preventivo e lascia i creditori liberi di agire sul resto dei beni allorché non vengano soddisfatti dalla liquidazione di quelli ceduti.
Nella quarta massima, il Tribunale appunta le sue censure anche sull'inammissibile sacrificio cui, nella fattispecie sottoposta al suo esame, sarebbero stati esposti i creditori privilegiati, il pagamento dei quali, come previsto nel piano, sarebbe stato sì integrale quanto all'importo, ma non puntuale quanto al termine previsto per l'adempimento. Secondo la prospettazione accolta nel provvedimento annotato, infatti, il pagamento dilazionato sarebbe consentito solo alle condizioni e nei casi previsti dalla legge (quale quello di cui all'art. 182-ter l. fall. in tema di transazione fiscale).
Infine, come spesso accade, nel caso in commento il Pubblico Ministero, unitamente al suo parere negativo in relazione all'ammissibilità della proposta di concordato, aveva avanzato un'autonoma istanza per la declaratoria di fallimento; istanza, naturalmente, contrastata dalla società proponente sotto molteplici profili, tra cui anche l'assenza di legittimazione del P.M. a procedere alla richiesta di fallimento al di fuori dei casi espressamente individuati nell'art. 7 l. fall.
Il Tribunale di Torino (quinta massima), pur respingendo l'istanza nel merito, ha riconosciuto invece tale legittimazione, sulla scorta dell'argomentazione per cui il P.M., in quanto parte necessaria del giudizio sull'ammissibilità del concordato, possa, in tale ambito, instare per la declaratoria di fallimento anche al di fuori dai casi di cui all'art. 7 citato.

Osservazioni

Quanto alle questioni discusse nelle prime due massime, attinenti al contenuto della delibera autorizzativa della domanda di concordato delle società, i giudici torinesi mostrano di aderire all'orientamento più rigido, che considera tale delibera come condizione di ammissibilità della proposta anche quanto al suo contenuto. Si renderebbe dunque necessaria l'approvazione specifica della proposta nella sua interezza (nel suo testo definitivo), prima del deposito del ricorso per concordato preventivo, non essendo sufficiente, secondo l'orientamento espresso dalla pronuncia in commento, una generica autorizzazione al legale rappresentante della società a formulare la proposta concordataria secondo le condizioni che riterrà opportune. Una posizione intermedia potrebbe portare a ritenere sufficiente, invece, la chiara individuazione nella delibera della natura del concordato (se liquidatorio o teso alla continuazione dell'attività) e delle condizioni essenziali che lo caratterizzano.
Anche la lettura che i giudici torinesi offrono dell'art. 162 l. fall. in relazione alla facoltà del Tribunale di chiedere integrazioni del piano e della documentazione sembra particolarmente restrittiva, laddove la considera confinata ai soli elementi del piano concordatario, non estendibile alla documentazione che con esso deve necessariamente essere prodotta.
Il punto di maggior rilievo della pronuncia in commento è forse quello relativo alla possibilità – esclusa in radice dal Tribunale – di realizzare un concordato parziale, sottraendo quindi ex ante parte dei beni del debitore alla garanzia dei creditori. In assenza di una norma espressa della legge fallimentare, il Tribunale, come detto, ravvisa in tale situazione una violazione del principio generale della garanzia patrimoniale, considerandola inammissibile alla luce dell'effetto esdebitativo che si realizzerebbe con il concordato. Ci si chiede se una diversa lettura della disciplina, volta a valorizzare maggiormente la natura “contrattuale” del concordato, possa far ritenere ammissibile una simile proposta rinviandola, quanto al merito, al giudizio dei creditori ammessi al voto e alla successiva delibazione dello stesso Tribunale ai fini dell'omologa. Del resto, non si può escludere a priori che, per le ragioni più varie, i creditori possano decidere di votare all'unanimità a favore di un siffatto concordato, sì da integrare un'ipotesi potenzialmente remissoria (o che comunque configura l'assunzione di un rischio ulteriore), ma non per questo illecita. Si tratta di stabilire se la portata del principio della responsabilità patrimoniale scolpito nell'art. 2740 c.c. possa essere convenzionalmente limitata successivamente al sorgere dell'obbligazione. Se così fosse, però, si avrebbe un contratto autonomo di natura potenzialmente aleatoria, che andrebbe valutato quanto alla sua meritevolezza secondo i principi generali dell'ordinamento.
Va poi ricordato che, nel caso di specie, si sarebbe forse posta anche la questione, già oggetto di pronunce giurisprudenziali di segno contrastante, dell'ammissione al voto dei creditori chirografari cui sia stato prospettato l'integrale loro soddisfacimento.
Viene poi affrontato il tema del pagamento dilazionato dei creditori privilegiati, l'ammissibilità del quale è ampiamente discussa in giurisprudenza e in dottrina. Anche a questo riguardo, il Tribunale di Torino mostra particolare rigore, aderendo alla tesi dell'inammissibilità di una tale soluzione, anche in presenza, come nel caso di specie, di un concordato con cessione dei beni. Per non incorrere nell'inammissibilità, risulterebbe necessario quindi – anche, come detto, nel caso di concordato liquidatorio – addivenire ad un accordo con i creditori privilegiati avente ad oggetto i tempi di pagamento, antecedentemente alla proposizione di ciascun concordato, allegando tale pattuizione in sede di presentazione della domanda.
Infine, sul tema della legittimazione del P.M. il Tribunale di Torino sembra collocarsi in quella corrente giurisprudenziale maggioritaria propensa a dare una lettura estensiva del ruolo del P.M., attribuendogli dunque una legittimazione generale a proporre l'istanza per la dichiarazione di fallimento.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Diversamente dal provvedimento che si annota, alcuni autori non considerano la delibera dell'organo amministrativo delle società in relazione al piano concordatario una condizione di ammissibilità o di procedibilità, ma una mera questione afferente la legitimatio ad causam, che, come tale, può intervenire sino a che il Tribunale non si sia pronunciato o, addirittura sino all'omologazione (v., per tutti, Lo Cascio, Il concordato preventivo, Giuffrè, Milano, 2011, 225). Nel senso della decisione che si annota, v. invece Trib. Roma (decr.), 29 luglio 2010, in Fall. 2011, 225, con nota di Nisivoccia.
Quanto all'impossibilità per il Tribunale di richiedere l'integrazione della delibera ex art. 162 l. fall., v. Maffei Alberti, sub art. 162, Commentario breve alla legge fallimentare, CEDAM, Padova, 2009, 944; Ferro, La legge fallimentare, CEDAM, Padova, 2011, 1859. Sul tema cfr. anche Cavallini, commento sub art. 162, in Cavallini (diretto da), Commentario alla legge fallimentare, Artt. 124-215 e Disposizioni transitorie, Egea, Milano, 2010, 443.
In ordine all'inammissibilità del concordato parziale, v., in termini, Trib. Roma (decr.), 29 luglio 2010, cit. Anteriormente alla riforma, nel medesimo senso, si segnalano due precedenti, piuttosto risalenti, di Trib. Bari, 22 luglio 1975, in Giur. comm., 1976, II, 864 e Trib. Bari, 14 luglio 1975, in Giur. it., 1976, I, 2, 435. Contra, Nisivoccia, Concordato preventivo e continuazione dell'attività aziendale: due decisioni dal contenuto vario e molteplice, in Fall. 2011, 228 e segg. che riferisce anche di altre posizioni conformi in dottrina all'indomani della riforma.
Il pagamento dilazionato dei creditori privilegiati è considerato ammissibile, dopo il decreto correttivo del 2006, da Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, CEDAM, Padova, 2008, 47 e segg., salvo riconoscere loro il diritto di voto in adunanza (v. a pag. 114, nonché, in giurisprudenza, da ultimo, Trib. Modena, 27 febbraio 2009, in Fall. 2009, 1003 e, ancora di recente, Trib. Mantova (decr.), 16 settembre 2010, in Fall. 2010, 1466). Si registrano poi pronunce che ritengono ammissibile la dilazione del pagamento ai privilegiati, richiedendo però il pagamento degli interessi compensativi (in questo senso, cfr. App. Palermo, 18 maggio 2007). Conclude invece per l'inammissibilità tout court di un pagamento dilazionato dei creditori privilegiati Trib. Roma (decr.), 29 luglio 2010, cit.
Sui poteri del P.M. nell'ambito del procedimento di concordato preventivo, la pronuncia in commento si pone sulla medesima linea del precedente di App. Bologna, 1 giugno 2009, in IlCaso.it, peraltro citato nel testo stesso della decisione.

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