Credito del concedente in leasing in caso di bene non reperito dal curatore

Marco Terenghi
15 Dicembre 2011

Qualora, dopo lo scioglimento del Curatore dal contratto di leasing, il bene che ne è oggetto non venga restituito al concedente, costui ha diritto ad insinuarsi per un credito pari al controvalore del bene calcolato alla data del fallimento (massima).
Massima

Qualora, dopo lo scioglimento del Curatore dal contratto di leasing, il bene che ne è oggetto non venga restituito al concedente, costui ha diritto ad insinuarsi per un credito pari al controvalore del bene calcolato alla data del fallimento (massima).

Il caso

A seguito dell'intervenuto fallimento dell'utilizzatore, una società di leasing presenta al Giudice Delegato del Tribunale di Treviso domanda di rivendica del bene concesso in godimento, e chiede nel contempo l'ammissione al passivo della differenza tra il proprio credito residuo e la somma ricavabile dalla vendita del bene, una volta restituito. Il Giudice Delegato, accertata la mancata acquisizione del bene all'attivo fallimentare e quindi la sua mancata riconsegna all'impresa concedente, rigetta la domanda di rivendica ed ammette al passivo unicamente il credito scaduto alla data del fallimento, escludendo i residui canoni a scadere, perché, in base a quanto deciso da Cass. 1 marzo 2010 n. 4862, con la cessazione dell'utilizzo del bene locato viene meno l'esigibilità del credito rappresentato dai canoni suddetti. Il Tribunale Fallimentare, nel decidere l'opposizione a stato passivo promossa dal concedente, riforma la decisione del Giudice Delegato ed ammette al passivo anche l'intero credito a scadere, osservando che l'impossibilità di restituzione del bene locato, in sede di rivendica, cristallizza in capo al concedente un credito pari al controvalore del bene alla data del fallimento, con la conseguenza che, in sede di ammissione, tale credito va compensato con l'obbligo gravante sul concedente di portare in deduzione quanto ricavato dal realizzo di quel bene (nella fattispecie nulla, poiché il bene stesso non è ricompreso nell'attivo fallimentare).

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il caso sottoposto al Tribunale di Treviso non consta avere alcun precedente in termini. Esso pone infatti la specifica questione della sorte riservata al credito della società di leasing verso l'utilizzatore fallito, allorquando il bene a suo tempo concesso in godimento non le sia stato restituito dal Curatore, e non sia quindi stato attivato il procedimento della sua “ricollocazione” sul mercato previsto dall'art. 72-quater l. fall., con conseguente determinazione dell'eventuale differenza tra valore di realizzo e credito in linea capitale da versare alla Curatela o da insinuare al passivo, a seconda dei casi.
Per meglio comprendere la specificità della questione, vale la pena di soffermarsi brevemente sull'attuale assetto della disciplina endofallimentare del contratto di leasing, che come noto, è stato oggetto di un profondo intervento ad opera sia del D. Lgs. n. 5/2006, sia del D. Lgs. n. 169/2007. La novella si è articolata nell'introduzione di un nuovo articolo della Legge Fallimentare, il 72-quater, espressamente dedicato alla locazione finanziaria, e nella successiva integrazione di quest'ultimo con l'inciso “avvenute a valori di mercato”, inserito nel secondo comma della norma ora citata per scoraggiare le società concedenti dal raggiungere possibili accordi di comodo a prezzi di “saldo” aventi ad oggetto i beni riallocati. La disciplina endofallimentare del contratto di leasing, nell'ipotesi statisticamente più frequente del fallimento dell'utilizzatore, è oggi schematizzabile come segue: a) il contratto, ancora pendente al momento di apertura del fallimento, rimane sospeso ai sensi dell'art. 72 l. fall., finché il Curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrarvi o di sciogliersene; b) se il Curatore si scioglie, il concedente ha diritto alla restituzione del bene, ed è tenuto a versare al Fallimento l'eventuale differenza tra la maggior somma ricavata dalla vendita/collocazione del bene, avvenute a valori di mercato, ed il credito residuo in linea capitale; c) il concedente ha inoltre diritto di insinuarsi al passivo per la differenza tra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene.
Tale schematica rappresentazione dimostra quanto il legislatore delle recenti riforme si sia discostato dall'elaborazione giurisprudenziale formatasi sotto il vigore della precedente disciplina, che a partire dalle famose sentenze di Cassazione del 1989 aveva distinto tra leasing di godimento e leasing traslativo, dove nel primo il bene esaurisce tendenzialmente la propria utilità entro la scadenza del contratto (tanto che il canone ne costituisce una sorta di corrispettivo per l'utilizzo), mentre nel secondo il bene stesso conserva, pur al termine del rapporto, un valore superiore al prezzo di riscatto (di modo che i canoni versati dall'utilizzatore contengono anche una “quota ideale” di prezzo, oltreché la remunerazione per il mero uso). Oggi, per contro, il contratto di leasing viene inquadrato come negozio con causa (quantomeno prevalente) di finanziamento, in cui il bene concesso in godimento giunge a rappresentare l'oggetto di un soddisfacimento extraconcorsuale (almeno in senso sostanziale) del concedente, secondo uno schema che ricorda, quanto al risultato, il meccanismo previsto dall'art. 53 l. fall. per i creditori muniti di pegno o di privilegio speciale su beni mobili.
Il Giudice Delegato, prima, ed il Tribunale Fallimentare di Treviso, poi, si sono quindi misurati su di una fattispecie non espressamente regolata dall'art. 72-quater, vale a dire quella in cui il bene concesso in locazione finanziaria non viene reperito dal curatore nell'attivo fallimentare (ad esempio in quanto distratto dal fallito durante il rapporto), e non può quindi venire restituito al concedente perché lo ricollochi altrove. Si tratta, peraltro, di una situazione non così infrequente nella prassi, ragion per cui l'importanza concreta della decisione in commento appare di un certo rilievo.
La soluzione al problema data dal Giudice Delegato non può dirsi né giuridicamente corretta, né sostanzialmente equa: respinta la rivendica, perché il bene concesso in leasing non era stato acquisito all'attivo fallimentare, egli ha escluso il credito residuo a scadere in applicazione del principio sancito da Cass. n. 4862/2010 (secondo cui con la cessazione dell'utilizzo del bene da parte del fallito viene meno l'esigibilità di tale credito), ed ha invece ammesso al passivo esclusivamente il credito scaduto ante-fallimento. Il Tribunale Fallimentare ha invece fornito una risposta più precisa al problema, attraverso una corretta concatenazione di passaggi logici: a) la mancata restituzione del bene non può ritenersi priva di effetti giuridici, e non può quindi condurre ad una situazione creditoria uguale a quella che si verrebbe a determinare nel caso in cui il bene fosse stato restituito; b) l'art. 103 l. fall. prevede infatti, quale principio a carattere generale, che il titolare di un diritto, se il bene su cui questo si esercita non è stato acquisito all'attivo della procedura, va ammesso al passivo per il controvalore del bene stesso alla data di apertura del concorso, ed a tale scopo può modificare la propria domanda di rivendica anche all'udienza di verifica del passivo, chiedendo l'ammissione del controvalore medesimo; c) quindi, l'impossibilità di restituzione del bene concesso in leasing determina, in sede di rivendica, un credito per il concedente pari al controvalore del cespite alla data del fallimento; d) in sede di ammissione del debito residuo, pertanto, il credito in questione va commisurato con l'obbligo del concedente di portare in detrazione quanto ricavato dal realizzo del bene; realizzo che però, in caso di mancata inventariazione, risulta ovviamente pari a zero, con la conseguenza per cui va ammesso al passivo l'intero credito residuo del concedente, e non solo quello scaduto prima del fallimento.

Osservazioni

Oltreché risolvere la peculiare questione sottopostagli, il Tribunale di Treviso sembra anche cogliere l'occasione per mitigare, senza farlo troppo notare, alcune asperità che avevano caratterizzato l'originaria produzione giurisprudenziale (anche dello stesso Tribunale di Treviso: si veda la sentenza del 6 maggio 2011) relativa all'art. 72-quater l. fall. In questo, il Giudice veneto si trova in buona compagnia, perché anche la S. Corte di cassazione sembra avere recentemente imboccato una strada meno “integralista” rispetto a quella inizialmente adottata.
In sintesi, la non copiosa giurisprudenza inizialmente formatasi in materia (Cass. 1 marzo 2010 n. 4862; Trib. Treviso, 6 maggio 2011; Trib. Pordenone, 4 novembre 2009) ha stabilito, tra l'altro, che la domanda di ammissione al passivo del credito del concedente dev'essere preceduta, pressoché a pena d'inammissibilità, dalla riallocazione del bene, perché solo dopo quest'ultima il Giudice Delegato potrebbe effettuare la comparazione tra il credito vantato alla data del fallimento ed il ricavato dalla nuova collocazione; anzi, in quest'ottica il diritto di credito del lessor sarebbe addirittura “eventuale”, in quanto superabile dal ricavato suddetto. Una simile conclusione, che forse denota ancora una scarsa dimestichezza con la nuova prospettiva “finanziaria” impressa dal legislatore al leasing (quantomeno nella sua versione endofallimentare), si presta almeno ad un paio di osservazioni critiche.
Anzitutto, benché la stessa scansione testuale della norma sembri suggerire una sorta di necessaria anteriorità logico-cronologica tra la (preventiva) riallocazione del cespite e la (successiva) domanda di ammissione (si veda l'uso del participio passato “ricavato” nel secondo comma), è bene precisare che l'unico antecedente in grado di condizionare l'esigibilità dell'eventuale credito della Curatela per la differenza tra valore di realizzo e capitale residuo è costituito dalla restituzione del bene al lessor, e non anche dalla sua rivendita/riallocazione ad opera di quest'ultimo (la quale, teoricamente, potrebbe anche non avvenire: si immagini un utilizzo “in proprio” del bene ad opera dello stesso concedente). Se così fosse, infatti, dovrebbe necessariamente concludersi che il suddetto diritto di credito della Curatela è assoggettato ex lege ad una condizione meramente potestativa del debitore-concedente, rappresentata appunto dall'intenzione (o meno) di quest'ultimo di reimmettere il cespite nel flusso commerciale. D'altra parte, anche laddove non esistesse alcun credito della Curatela (poiché il bene ha un valore inferiore rispetto al capitale residuo), la reimmissione del bene sul mercato non costituirebbe comunque un presupposto necessario per la domanda di ammissione, in quanto il concedente sarebbe tenuto esclusivamente a provare: a) il proprio credito; b) il valore anche astrattamente ritraibile dalla ricollocazione, senza che quest'ultima avvenga effettivamente. Non è infatti detto che vi sia sempre e comunque contrasto tra il Curatore ed il lessor riguardo al valore del cespite, soprattutto quando quest'ultimo è agevolmente valutabile attraverso il ricorso ad un listino-prezzi, magari di uso comune (si pensi al caso frequentissimo di un'automobile), o quando tra le due parti è intervenuta una transazione, magari attraverso l'autorevole giudizio rilasciato da un esperto di comune fiducia.
Sotto un diverso profilo critico, poi, deve ricordarsi che l'importo riveniente dal bene restituito al concedente va ad impattare solo su una componente del credito reclamabile dalla società di leasing, e cioè il capitale. In realtà, quasi sempre la dichiarazione di fallimento è preceduta dal mancato pagamento di uno o più canoni, relativamente ai quali esiste già una porzione di credito insuscettibile di rideterminazione in funzione della rivendita del bene: si tratta della quota di interessi corrispettivi incorporata nei canoni scaduti ante-fallimento e degli interessi moratori maturati su di essa. Poiché essi sono quindi già definitivamente certi al momento dell'apertura del concorso, non si vede per quale motivo la loro insinuazione al passivo dovrebbe avere quale presupposto necessario (a pena d'inammissibilità) l'attivazione del meccanismo perequativo previsto dal secondo comma dell'art. 72-quater l. fall.
Alle considerazioni di cui sopra deve aggiungersene un'altra di natura sistematica. Quello previsto dalla norma ora citata non rappresenta l'unico caso di credito sottratto al concorso sostanziale fallimentare, quanto alla fase del suo soddisfacimento. Anche il creditore pignoratizio e quello dotato di privilegio possono infatti realizzare, ai sensi dell'art. 53 l. fall., le proprie ragioni durante il fallimento, procedendo (a determinate condizioni) alla vendita del bene oggetto della garanzia: tale attività, però, é espressamente subordinata al concorso formale, vale a dire all'ammissione del relativo credito al passivo fallimentare. Ora, benché ciò accada molto poco frequentemente in concreto, nulla esclude che anche il creditore pignoratizio possa realizzare un ricavo addirittura superiore all'ammontare delle proprie ragioni, dovendone quindi restituire l'eccedenza alla Curatela: ma non sembra questo un elemento tale da escludere la preventiva insinuazione al passivo delle ragioni medesime.
D'altra parte, se è vero che, per comune ammissione, la nuova disciplina endofallimentare del leasing ne valorizza la componente finanziaria, spesso negletta dalla precedente interpretazione giurisprudenziale, non sembra scorretto notare come, nell'accostamento tra art. 53 ed art. 72-quater l. fall., il bene concesso in godimento (che comunque è e rimane di proprietà del lessor) finisca per adempiere ad una funzione pratica simile a quella del bene costituito in garanzia a favore del creditore finanziario (banca, erogatore di credito).
Proprio il richiamo all'art. 53 l. fall., d'altra parte, sta alla base della recentissima pronuncia di Cass. 15 luglio 2011 n. 15701, la quale, riformando con rinvio un precedente decreto del Tribunale di Pordenone, che aveva dichiarato l'inammissibilità dell'insinuazione al passivo di una società di leasing per omessa preventiva rivendita del bene, ha espressamente proposto un accostamento delle due fattispecie (artt. 53 e 72-quater), così accreditando la possibilità (anzi il diritto) per il concedente di partecipare al concorso formale attraverso la presentazione della domanda di ammissione, pur nella consapevolezza di potersi sottrarre al concorso sostanziale attraverso il meccanismo di soddisfacimento extraconcorsuale del proprio credito capitale.
Va notato come la pronuncia ora citata, legittimando la domanda di ammissione anche prima della ricollocazione del bene restituito, pervenga a conclusioni apparentemente divergenti rispetto all'unico altro precedente specifico in materia (Cass. 1 marzo 2010, n. 4862, cit., che si esprimeva in termini di “credito eventuale” e di “successiva insinuazione al passivo”), ma avendo cura di tracciare una sorta di continuità ideale con quest'ultimo, osservando come lo stesso già implicitamente ammettesse la possibilità di insinuare al passivo fin da subito quantomeno i canoni scaduti prima della dichiarazione di fallimento.
Rimane da osservare che, se le nuove disposizioni attribuiscono al leasing la natura di contratto di finanziamento, allora anche le considerazioni in ordine alle componenti del credito insinuabili al passivo devono fare i conti con i principi basilari in materia di negozi con causa (almeno prevalente) finanziaria. In particolare deve escludersi, esattamente alla stregua di un mutuo (che viene risolto o comunque posto in una situazione di decadenza dal beneficio del termine ex art. 1186 c.c. con la dichiarazione di fallimento), che il concedente possa insinuare al passivo la quota di interessi sui canoni non ancora scaduti, per il venir meno del piano di pagamento (equivalente al piano di ammortamento di un finanziamento). Per contro, andranno ammessi gli interessi corrispettivi (remunerativi del capitale finanziato) incorporati nei canoni scaduti prima dell'apertura del concorso (analoghi alla quota interessi della rata di un mutuo impagata dal mutuatario), nonché gli interessi moratori al tasso contrattuale maturati sui canoni scaduti fino alla dichiarazione di fallimento, così come il prezzo pattuito da versare in caso di esercizio dell'opzione di acquisto.

Questioni aperte

Suscita notevole interesse la questione se la disciplina prevista dall'art. 72-quater l. fall. si applichi esclusivamente al contratto di leasing pendente al momento della dichiarazione di fallimento (come la specifica collocazione della norma nella Sezione IV lascerebbe intendere), ovvero anche al caso in cui lo stesso sia stato risolto prima dell'apertura del concorso, per inadempimento dell'utilizzatore. La prima soluzione, più coerente con il dettato ed il sistema normativo, è stata adottata da Trib. Napoli 9 giugno 2010 e Trib. Udine 17 settembre 2010, che recuperano in tal modo tutta la precedente elaborazione giurisprudenziale in materia di leasing traslativo e di godimento, con conseguente ritorno al ricorso analogico, in presenza di quest'ultima fattispecie, all'art. 1526 c.c. In senso contrario si è invece posto Trib. Treviso 6 maggio 2011, evidenziando la vocazione “sostanzialista” della nuova disciplina endofallimentare e predicandone un'applicazione analogica, giusta l'art. 12 prel., al rapporto risolto prima del fallimento, anche in considerazione della stretta omologia esistente tra risoluzione del leasing per inadempimento e scioglimento del Curatore dal medesimo contratto.
Ancora, poiché l'art. 72-quater non stabilisce alcun termine entro cui il concedente deve alienare o comunque collocare il bene, ci si chiede se questi possa indefinitamente ritardare il momento della sua reimmissione sul mercato. Viene da rispondere che, qualora trovasse ulteriore conferma l'orientamento giurisprudenziale volto a sanzionare con l'inammissibilità l'insinuazione al passivo “prematura” rispetto al procedimento di riequilibrio previsto dalla norma citata, sarà lo stesso termine ultimo previsto dall'art. 101 l. fall. per la presentazione delle tardive ad esplicare effetti “acceleratori” per i concedenti, ogniqualvolta costoro abbiano la convinzione di continuare a vantare un saldo a credito verso il fallito pur dopo avere percepito il controvalore del bene riallocato.

Conclusioni

Il Tribunale di Treviso si conferma un attento osservatore ed un protagonista attivo del panorama economico-giuridico in continua evoluzione, e dimostra altresì il necessario grado di flessibilità interpretativa per adattare l'interpretazione teorica della norma alle esigenze, anche equitative, spesso sottese alla quotidiana realtà commerciale. Sarà interessante verificare la portata delle future pronunce giurisprudenziali sulle questioni sollevate in precedenza, e su quella specifica affrontata dal provvedimento in commento (mancata restituzione del bene al concedente e relative conseguenze in tema di ammissione del credito al passivo).

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Come già accennato, sullo specifico argomento in esame si rinvengono ancora poche decisioni giurisprudenziali, data la relativa novità delle modifiche legislative apportate dalle varie riforme del 2006 e del 2007. Cass. 1 marzo 2010, n. 4862, ha stabilito che in caso di fallimento dell'utilizzatore e di scelta del Curatore per lo scioglimento dal contratto, il concedente non può richiedere subito, mediante insinuazione al passivo, anche il pagamento dei canoni residui a scadere, in quanto con la cessazione dell'utilizzo del bene viene meno l'esigibilità del credito; egli ha esclusivamente un diritto attuale alla restituzione immediata del bene, ed un diritto di credito eventuale, da esercitarsi mediante successiva insinuazione al passivo, nel limite in cui, venduto o altrimenti allocato a valori di mercato il bene in leasing, dovesse verificarsi una differenza tra il credito vantato alla data del fallimento e la minor somma ricavata dall'allocazione del bene cui è tenuto il lessor. Trib. Pordenone, con il decreto del 4 novembre 2009 (pubblicato su Il Fallimento 2010, 809), ha a sua volta affermato che la riallocazione a valori di mercato del bene restituito (da attuarsi in concreto applicando, in quanto compatibili, le disposizioni in tema di vendita a danno del compratore ex art. 1515 c.c.) deve comunque precedere, a pena di inammissibilità, la domanda di ammissione al passivo dei crediti del concedente; il ricavato della nuova collocazione del cespite può essere trattenuto dalla società di leasing solo fino a concorrenza del proprio credito residuo in linea capitale, ottenuto escludendo le quote di interessi dei canoni periodici impagati e sommandovi il corrispettivo per l'esercizio dell'opzione di acquisto: se il ricavato dalla nuova collocazione supera il credito residuo in linea capitale, la differenza dev'essere versata al Curatore, non potendo essere compensata con il credito insinuabile al passivo che, in questo caso, sarebbe costituito dai soli interessi corrispettivi e moratori relativi agli eventuali canoni insoluti ante fallimento. Anche Trib. Treviso 6 giugno 2011, ha espressamente sanzionato con l'inammissibilità la domanda di ammissione al passivo presentata prima della riallocazione del bene. Il citato provvedimento del Tribunale di Pordenone, però, è stato cassato con rinvio da Cass. 15 luglio 2011 n. 15701, la quale ha statuito che l'art. 72-quater l. fall., nell'esentare il concedente dal concorso sostanziale in relazione al “soddisfacimento” sul bene oggetto di locazione finanziaria, non lo esime però dal concorso formale, vale a dire dalla previa ammissione al passivo del credito, esattamente come accade per i creditori pignoratizi e per quelli garantiti da privilegio speciale (cfr. art. 53 l. fall.); conseguentemente, l'insinuazione al passivo presentata prima del perfezionamento del meccanismo di riallocazione del bene previsto dal secondo comma dell'art. 72-quater l. fall. va ritenuta legittima, e non può essere dichiarata inammissibile. Si segnalano poi Trib. Udine 17 settembre 2010 e Trib. Napoli 9 giugno 2010, che ritengono applicabile l'art. 72-quater l. fall. al solo contratto di leasing pendente all'apertura del concorso, e non a quello risolto in precedenza.
In dottrina, per una completa disamina delle questioni in oggetto, si vedano Pajardi-Paluchowski, Codice del Fallimento, Milano, 2009, 819 e segg.; Quagliotti, Scioglimento endofallimentare del contratto di leasing: credito regolabile fuori concorso e crediti insinuabili, in Il Fallimento, 2010, 810; Quagliotti, La disciplina unitaria del contratto di leasing nel fallimento, in Il Fallimento, 2006, 1239; Patti, Disciplina concorsuale della locazione finanziaria nella nuova normativa, in Il Fallimento, 2007, 129; Demarchi, Lo scioglimento del contratto di leasing nella nuova legge fallimentare. Rilevanza del valore commerciale del bene, in Dottrina&Diritto-Ipsoa, ottobre 2007. Le norme che disciplinano la materia, come accennato, sono l'art. 72 l. fall. (per quanto concerne i rapporti pendenti alla data del fallimento) e l'art. 72-quater l. fall., per quanto più propriamente attiene a quella che il legislatore italiano continua a definire come “locazione finanziaria”. Si vedano altresì l'art. 103 l. fall. e l'art. 53 l. fall. per i necessari raccordi sistematici.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario