Diritto di voto dei creditori postergati

Luca Mandrioli
09 Dicembre 2011

Nell'ambito della procedura di concordato preventivo i creditori postergati in forza del disposto dell'art. 2467 c.c. ovvero di un accordo di postergazione volontaria sono privi del diritto di voto, sicché la classe dagli stessi formata è dotata di carattere meramente apparente, potendo essere considerata tale esclusivamente sotto il profilo descrittivo.
Massima

Nell'ambito della procedura di concordato preventivo i creditori postergati in forza del disposto dell'art. 2467 c.c. ovvero di un accordo di postergazione volontaria sono privi del diritto di voto, sicché la classe dagli stessi formata è dotata di carattere meramente apparente, potendo essere considerata tale esclusivamente sotto il profilo descrittivo.

Il caso

Chiamato a pronunciarsi sull'ammissibilità di una domanda di concordato preventivo presentata da una società per azioni in liquidazione, il Tribunale di Milano, non solo afferma che la classe formata dai creditori postergati non gode del diritto di voto – escludendo per di più che la medesima possa costituire una vera e propria classe, trattandosi invero di un classamento semplicemente apparente – ma disconosce altresì la prededuzione di cui all'art. 182-quater l. fall. in relazione ad un finanziamento – nel caso di specie un'apertura di credito – deliberato prima della presentazione del ricorso ex art. 161 l. fall. ma non ancora erogato a tale data, in quanto subordinato nell'utilizzazione all'accoglimento del ricorso di concordato ed alla concessione da parte del Tribunale della prededuzione.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Mediante una succinta motivazione, completamente incentrata sulla valutazione della sussistenza delle condizioni per l'ammissione dell'impresa ricorrente alla procedura de qua, il Collegio meneghino conclude ritenendo:
a) che i creditori il cui credito è postergato ex lege, in quanto operante il disposto dell'art. 2467, comma 1, c.c., ovvero in forza di una postergazione volontaria subordinata all'omologazione della proposta di concordato preventivo - in ragione della quale fra le parti si è già perfezionato un accordo il cui effetto legale è la rinuncia a far valere il suddetto credito all'interno della procedura concordataria e nel concorso con gli altri creditori - siano privi del diritto di voto;
b) che le classi formate da creditori non legittimati al voto quali, nella fattispecie in esame, i creditori postergati possano considerarsi tali esclusivamente sotto un profilo meramente descrittivo, atteso il carattere solo apparente delle stesse, la cui previsione, volta semplicemente ad evidenziare la posizione dei suddetti creditori, non può incidere sulla legittimità ed ammissibilità della proposta concordataria;
c) che il secondo comma dell'art. 182-quater l. fall. consenta di parificare ai crediti prededucibili esclusivamente i finanziamenti funzionali alla presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo già effettuati e, pertanto, erogati e non anche solo deliberati al momento di tale presentazione.

Osservazioni

Numerose ed assai complesse sono le tematiche affrontate dalla pronuncia in rassegna. Quella attinente al diritto di voto dei creditori postergati è, in effetti, una questione fortemente dibattuta, la cui analisi non può prescindere da una fondamentale e preliminare distinzione – che è possibile rinvenire anche tra le pieghe del provvedimento del Collegio milanese – fra crediti postergati ex lege e crediti oggetto, invece, di postergazione volontaria.
Ciò posto, in relazione ai crediti dei soci inerenti al rimborso dei finanziamenti eseguiti, in qualsiasi forma, a favore di una società sottocapitalizzata ed assoggettati alla postergazione legale di cui agli artt. 2467 c.c. e 2497-quinquies c.c., è doveroso sottolineare come una prima soluzione interpretativa sia favorevole a riconoscere alla suddetta tipologia di creditori il diritto di voto, dal momento che i medesimi conservano il proprio rango di creditori nonostante la loro postergazione legale. Un differente orientamento nega, invece, ai creditori in esame qualsiasi possibilità di influire sulla formazione delle maggioranze e, pertanto, ogni diritto di voto, e ciò tanto con riferimento ad un concordato preventivo senza formazione di classi, quanto nella circostanza in cui sia prevista siffatta suddivisione. A tal proposito, si è infatti argomentato che i soci finanziatori potrebbero vantare diritti nei confronti della società esclusivamente all'esito della liquidazione allorquando, soddisfatto integralmente l'intero ceto creditorio, dovesse residuare ancora un attivo a loro distribuibile, sicché gli stessi non parteciperebbero al concorso, al pari di quanto avviene per i soci a titolo di credito per il capitale sociale versato.
Discordanza di opinioni, quella testé illustrata, che si registra anche con riferimento ai creditori postergati volontari, atteso che all'indirizzo che riconosce a questi ultimi il diritto di voto muovendo dalla considerazione che la postergazione volontaria non implica una rinuncia al credito, ma soltanto un soddisfacimento subordinato alla sussistenza di un residuo dopo il pagamento del restante ceto creditorio non egualmente postergato, se ne contrappone uno maggiormente rigoroso che non consente ai sopra citati creditori di influire, con il proprio voto, sulle sorti del concordato preventivo tutte le volte in cui la loro soddisfazione è prevista come meramente eventuale.
Con riferimento, invece, ai principi espressi in tema di prededucibilità dei finanziamenti alle imprese in crisi, la cui normativa trova riscontro nell'art. 182-quater l. fall., occorre rilevare come il Tribunale di Milano altro non faccia che affermare quella che la dottrina definisce una delle condizioni che contraddistinguono i c.d. “finanziamenti ponte”, rappresentata per l'appunto dalla necessaria concessione ed erogazione degli stessi prima della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo.
I finanziamenti in oggetto devono, in effetti, consentire o comunque facilitare l'accesso a tale ultima procedura, permettendo all'imprenditore di mantenere la solvibilità sino al momento in cui il suo patrimonio sarà al riparo dalle azioni esecutive. La legge fallimentare, infatti, richiede espressamente un nesso di funzionalità non tanto fra i suddetti finanziamenti e la complessiva sistemazione della crisi in cui si è venuto a trovare l'imprenditore, quanto fra i medesimi e la presentazione del ricorso ex art. 161 l. fall.

Conclusioni

Il decreto pronunciato dal Tribunale di Milano impone di dar corso ad alcune riflessioni critiche. Con riguardo alla postergazione volontaria - la quale è destinata ad esplicare i propri effetti nell'ambito del concordato preventivo solo qualora si addivenga alla stipula di una pattuizione che permetta di superare il principio dell'anticipata scadenza di tutti i crediti disposto dell'art. 55, comma 2, l. fall., la cui applicabilità in ambito concordatario è espressamente sancita dall'art. 169 l. fall. - non si può fare a meno di osservare come la medesima rappresenti invero una forma di dilazione e non anche di graduazione, una sorta, in altri termini, di pactum de non petendo, che finisce per incidere esclusivamente sull'esigibilità del credito, sì che il debitore concordatario è comunque tenuto al pagamento. Ciò significa, che la postergazione volontaria non priva il titolare del credito postergato del diritto di esprimere, in sede di adunanza dei creditori, il proprio giudizio in relazione alla domanda di concordato preventivo formulata dall'imprenditore. Una simile conclusione non deve peraltro stupire: i creditori più residuali e falcidiati, quali sono per l'appunto quelli postergati volontari, rappresentano coloro che nell'ambito della procedura de qua concorrono, anche mediante il sacrificio delle loro pretese creditorie, a definire le sorti della proposta presentata dal debitore ricorrente.
In modo del tutto analogo, vi è da ritenere che anche i creditori postergati ex lege godano del diritto di voto. Se si rigetta, infatti, la c.d. tesi sostanzialistica della postergazione - in forza della quale la subordinazione imposta dalla legge nel rimborso troverebbe concreta applicazione anche durante la normale vita di un'impresa in bonis, con la conseguenza che i finanziamenti di cui all'art. 2467 c.c. sarebbero parificati ai versamenti a fondo perduto o a titolo di ripianamento perdite, i quali sono di grado poziore esclusivamente nei confronti di quel credito che rappresenta l'estrema ed ultima postergazione: il capitale sociale - per aderire a quella processualistica - nel cui ambito il termine postergazione è inteso nella sua accezione tecnica, vale a dire di graduazione che non equivale ad un divieto di rimborso del prestito durante la vita della società, ma che opera esclusivamente in un contesto di concorso caratterizzato dalla necessità di dar corso ad un soddisfacimento dei crediti non più in forza di un ordinario criterio temporale di adempimento cronologico delle obbligazioni che vengono a scadenza, tipico delle imprese in bonis, ma sulla base di un ordine di preferenza accordato dalla legge che tenga conto delle legittime cause di prelazione che contraddistinguono gli stessi, nonché della natura dei medesimi – va da sé come il finanziamento soci di cui al sopra citato art. 2467 c.c. non possa essere equiparato ad un versamento in conto capitale – il quale, non rappresentando un credito, non attribuisce al rispettivo titolare il diritto al voto – ma debba, al contrario, essere considerato un credito del socio-finanziatore che, in quanto tale, gli conferisce il diritto di esprimere il proprio voto in sede di adunanza dei creditori.
Conclusione, quella testé affermata, la cui correttezza sembra trovare riscontro anche nel disposto dell'art. 182-quater l. fall. Dall'ultimo comma di tale disposizione di legge – che, letto congiuntamente con il terzo comma della stessa, stabilisce che i soci titolari di crediti derivanti da finanziamenti effettuati, limitatamente alla sola quota parificata ai crediti prededucibili, corrispondente all'ottanta per cento del credito medesimo, sono esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze per l'approvazione del concordato – è, infatti, possibile ricavare non solo il principio opposto in virtù del quale per la parte non prededucibile e, quindi, per il venti per cento del loro ammontare, i crediti in esame attribuiscono ai rispettivi titolari il diritto di voto, ma anche e soprattutto la regola generale che, allorquando esulano dalla fattispecie di cui al sopra citato art. 182-quater l. fall., i crediti dei soci-finanziatori inerenti al rimborso dei finanziamenti precedentemente erogati, ancorché postergati ex lege, attribuiscono ai rispettivi titolari il diritto di voto, non potendosi di certo ammettere, per non privare la sopra citata norma della propria ratio, che l'esclusione dal voto concerna i soli finanziamenti esecutivi del piano (tanto se erogati dal sistema bancario, quanto se provenienti dai soci) e non anche quelli c.d. “ponte”, atteso che i primi, sorgendo dopo l'apertura della procedura concordataria, sarebbero, per tale ragione, sempre e comunque esclusi dalle maggioranze e dal voto.
Apprezzabile è, invece, il principio, che è dato trarre dal provvedimento in commento, secondo il quale la legittimità e, conseguentemente, l'ammissibilità della proposta di concordato preventivo formulata dall'imprenditore ricorrente non sarebbero inficiate dalla previsione di classi prive del diritto di voto, create al solo scopo di evidenziare la posizione di alcuni creditori. Il classamento del ceto creditorio è, in effetti, funzionale alla composizione negoziale della crisi d'impresa, dal momento che il medesimo consente non solo di tutelare quei creditori destinati a subire una dequalificazione del proprio credito, in quanto evita che il loro dissenso possa annegare nel mare dei voti della maggioranza dei creditori, ma anche di rispettare esigenze equitative, incentivando l'adesione di parte dei creditori e, conseguentemente, la riuscita del piano di ristrutturazione, nonché di superare, attraverso il giudizio di cram down, quella resistenza strategica che potrebbe essere opposta da taluni esponenti del ceto creditorio.
Se così è, appare alquanto evidente come anche nell'ipotesi in cui il concetto di classe dovesse essere ricondotto esclusivamente a quei “gruppi” di creditori aventi diritto di voto, residuerebbe comunque una parte di creditori – rappresentante quello che si potrebbe definire il complemento a uno dell'intero ceto creditorio – che darebbe vita, a sua volta, ad un'aggregazione e, quindi, in ultima istanza, ad una classe, atteso che l'obiettivo ultimo di quest'ultima è per l'appunto quello di aggregare posizioni creditorie ai fini del trattamento concordatario e non anche di disaggregare singoli creditori.
Il che significa, che le classi di creditori non sono esclusivamente quelle legittimate al voto, ma anche quelle aggregazioni di creditori, formatesi in conseguenza del classamento degli altri creditori votanti, prive di tale diritto: è questa, ad esempio, la circostanza dei creditori privilegiati destinati ad essere soddisfatti per intero i quali, pur essendo esclusi dal voto, costituiscono comunque, qualora la restante parte del ceto creditorio sia stata suddivisa in classi, una sorta di aggregazione.
Interpretazione, quella testé formulata, che sembrerebbe trovare riscontro anche nel tenore letterale dell'art. 160, comma 1, lett. c), l. fall., il quale, nell'affermare che il debitore può prevedere la «suddivisione dei creditori (e non anche di una parte degli stessi) in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei», sembrerebbe riferirsi alla scomposizione in classi dell'intero ceto creditorio.
Ecco, quindi, che volendo trarre una conclusione dalle considerazioni che precedono, sembra possibile affermare che la suddivisione in classi dell'intero ceto creditorio, tesa ad individuare ed a descrivere la posizione dei singoli creditori o di talune categorie di essi indipendentemente dalla circostanza che i medesimi godano o meno del diritto di voto, sia non solo, al pari di quanto precisato dal Collegio milanese, del tutto ininfluente ai fini della legittimità e dell'ammissibilità alla procedura di concordato preventivo della proposta formulata dal ricorrente, ma addirittura auspicabile dal punto di vista tanto dei creditori chiamati ad esprimere il proprio giudizio su tale proposta, quanto del Tribunale.
Il classamento dell'intero ceto creditorio, anche solo a fini puramente descrittivi dello stesso, risponde infatti alla duplice esigenza di fornire ai creditori votanti un quadro il più possibile chiaro, esaustivo e trasparente in ordine alla soluzione concordataria formulata dall'imprenditore ed alla sua fattibilità, nonché di agevolare l'attività cognitiva ed istruttoria che il Tribunale è chiamato a svolgere in sede di giudizio di ammissione, favorendo la valutazione della correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi prescritta dall'art. 163, comma 1, l. fall.
Condivisibile è, pure, il rigetto da parte del Tribunale di Milano della richiesta del debitore istante di disporre - ai sensi dell'art. 182-quater, comma 2, l. fall. - la prededuzione di un finanziamento non ancora effettuato, laddove con tale ultimo termine deve intendersi quel finanziamento non solo già deliberato, ma anche già erogato al momento della presentazione della domanda di concordato preventivo.
Sennonché, nonostante la sua correttezza sotto il profilo giuridico, una simile interpretazione rischia, dal punto di vista operativo, di paralizzare l'erogazione di somme di denaro da parte degli istituti di credito. Questi ultimi, infatti, ben difficilmente mostreranno la propria disponibilità a concedere un finanziamento ad un imprenditore in crisi che abbia richiesto l'ammissione alla suddetta procedura concorsuale qualora non abbiano la certezza che tale finanziamento godrà poi della prededucibilità. Anzi, è verosimile ritenere che l'erogazione di somme di denaro senza la previsione di un loro successiva prededucibilità potrebbe addirittura rappresentare per l'organo deliberante della banca una fonte di responsabilità. A siffatto inconveniente potrebbe, tuttavia, ovviarsi mediante la costituzione a favore dell'istituto di credito e contestualmente all'erogazione del finanziamento di un deposito vincolato nel quale far confluire quest'ultimo in attesa che il Tribunale si pronunci sull'istanza presentata dal debitore ricorrente. Attraverso tale soluzione, in effetti, la banca potrebbe, senza correre il rischio di non poter poi recuperare le somme elargite, concedere il finanziamento richiesto dall'imprenditore in crisi anche prima del deposito da parte di quest'ultimo del ricorso ex art. 161 l. fall., atteso che lo svincolo del deposito sarebbe comunque subordinato all'ammissione dell'imprenditore medesimo alla procedura di concordato preventivo ed al riconoscimento della prededuzione da parte del Tribunale.
E' peraltro appena il caso di rilevare come, nella fattispecie in esame, il Tribunale di Milano bene avrebbe fatto a non limitarsi al solo rigetto del riconoscimento della prededuzione, negando addirittura la stessa ammissibilità del ricorso presentato dal debitore. Difficilmente, infatti, potrebbe ritenersi ammissibile una proposta di concordato preventivo la cui fattibilità si fonda tra le altre cose anche sull'erogazione di nuova finanza prededucibile, laddove il Tribunale dovesse poi negare, in sede di ammissione, tale prededucibilità e la banca, di conseguenza, non dovesse erogare il finanziamento contemplato dalla suddetta proposta. Diversamente argomentando, l'ammissione del Tribunale, precludendo al c.d. “finanziamento ponte” di operare, darebbe corso ad una sorta di modifica del piano di ristrutturazione dei debiti e del ricorso di concordato preventivo che esulerebbe dai poteri riconosciuti al Tribunale medesimo. In altri termini, negare la prededuzione ad un finanziamento che è parte integrante del piano equivarrebbe ad ammettere un concordato preventivo diverso da quello proposto e richiesto dall'imprenditore ricorrente; concordato preventivo la cui fattibilità potrebbe essere, fin dall'inizio, messa in discussione.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, normativi e bibliografici

In relazione al diritto di voto dei creditori postergati ex lege si vedano, per la tesi favorevole al riconoscimento di tale diritto, in dottrina, G. Racugno, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione e transazione fiscale - Sezione prima - Profili di diritto sostanziale, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore - A. Bassi e coordinato da G. Capo - F. De Santis - B. Meoli, Padova, I, 2010, 528, in nota n. 241); A. Jorio, Il concordato preventivo: struttura e fase introduttiva, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da A. Jorio - M. Fabiani, Bologna, 2010, 987; L. Stanghellini, L'approvazione dei creditori nel concordato preventivo: legittimazione al voto, maggioranze e voto per classi, in Il Fallimento 2006, 1064; nonché, in giurisprudenza, quale obiter dictum, Trib. Messina 4 marzo 2009, in Il Fallimento 2009, 797; con riguardo, invece, al differente indirizzo che priva i creditori in esame della possibilità di incidere sulla formazione delle maggioranze, in giurisprudenza, Trib. Firenze 26 aprile 2010, in Il Fallimento 2010, 873; in dottrina, L. Panzani, Classi di creditori nel concordato preventivo e crediti postergati dei soci di società di capitali, in Il Fallimento 2009, 807, in nota n. 21); P. Liccardo, Commento sub art. 177 l. fall., in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di A. Nigro - M. Sandulli - V. Santoro, Torino, 2010, 2194 e 2195.
Con riferimento, infine, al tema della prededucibilità dei finanziamenti alle imprese in crisi si vedano in dottrina, ex plurimis, i pregevoli contributi di L. Stanghellini, Finanziamenti-ponte e finanziamenti alla ristrutturazione, in Il Fallimento 2010, 1349 e 1350; G.M. Perugini, L'intervento delle banche nei finanziamenti di cui al primo ed al secondo comma del nuovo art. 182 quater l. fall., in Dir. fall. 2011, I, 339; nonché R. D'Amora, A) La prededuzione fra presente e futuro. B) La prededuzione dopo l'art. 182-quater l. fall. C) Le mobili frontiere della prededuzione: l'art. 182-quater l. fall., in Osservatorio-OCI.

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