Trasferimento fittizio di sede legale e giurisdizione competente

Dario Spadavecchia
21 Dicembre 2011

La competenza ad aprire la procedura di insolvenza di un' impresa avente sede in uno Stato membro della UE spetta ai giudici dello Stato in cui è situato il centro degli interessi del debitore. Ove anteriormente all'istanza di fallimento la società abbia trasferito all'estero la propria sede legale, con conseguente cancellazione dal Registro delle Imprese, e tale trasferimento appaia fittizio, permane la giurisdizione del Giudice del paese originario. L'onere della prova del carattere fittizio del trasferimento verte in capo al creditore istante (massima).
Massima

La competenza ad aprire la procedura di insolvenza di un' impresa avente sede in uno Stato membro della UE spetta ai giudici dello Stato in cui è situato il centro degli interessi del debitore. Ove anteriormente all'istanza di fallimento la società abbia trasferito all'estero la propria sede legale, con conseguente cancellazione dal Registro delle Imprese, e tale trasferimento appaia fittizio, permane la giurisdizione del Giudice del paese originario. L'onere della prova del carattere fittizio del trasferimento verte in capo al creditore istante.

Il caso

Il Tribunale di Torino viene adito con un'istanza di fallimento presentata dal P.M. nei confronti di una società, già di diritto italiano, che ha trasferito, da oltre un anno, la sede legale in Grecia, con conseguente cancellazione dal Registro delle Imprese.

Il Tribunale ne dichiara il fallimento, ritenendo che la sede costituente il centro effettivo degli interessi sia rimasta in Italia, avendo comprovato il P.M. il carattere fittizio del trasferimento.

Le questioni giuridiche e la soluzione

L'istanza di fallimento presentata dinnanzi al Tribunale di Torino poneva anzitutto un problema di giurisdizione ex art. 9 l. fall., avendo la società debitrice trasferito la propria sede legale in Grecia; in secondo luogo esigeva di valutare gli effetti della cancellazione dal Registro delle Imprese da oltre un anno.
Il Tribunale di Torino fornisce una dettagliata spiegazione delle motivazioni che hanno portato alla sentenza di fallimento, in forza degli elementi probatori acquisiti dal P.M. sarebbe emerso che:

1) la debitrice avrebbe mutato sede legale al solo fine di non essere assoggettata a procedure concorsuali;

2) il centro effettivo degli interessi sarebbe rimasto nell'originaria sede legale, quindi a Torino;

3) il trasferimento non sarebbe stato supportato da motivazioni economiche, risultando pertanto fittizio e meramente funzionale ad eludere le obbligazioni contratte.

Osservazioni

Secondo il Tribunale di Torino sia il trasferimento della sede legale della società, che la contestuale cancellazione dal Registro delle Imprese presenterebbero caratteri di fittizietà.
Nel caso di specie la previsione normativa di cui all'art. 9, comma 5, l. fall., il quale stabilisce la irrilevanza del trasferimento all'estero se tale trasferimento è avvenuto dopo l'iniziativa di cui agli artt. 6 e 7 l. fall., non poteva essere proficuamente invocata stante l'ormai datato trasferimento della sede, prima in circoscrizione di altro Tribunale della Repubblica, e poi in Grecia, con contestuale intestazione delle quote sociali a cittadini di tale Paese e nomina di un legale rappresentante parimenti greco.
L'iter logico che ha condotto alla dichiarazione di fallimento muove invece in prima battuta dal fatto che, in tema di dichiarazione di fallimento di una società, ai fini della decorrenza del termine di cui all'art. 10 l. fall., la cancellazione dal Registro delle Imprese ha un rilievo meramente dichiarativo.
Ai sensi dell'art. 3, paragrafo 1, del Regolamento CE del 29 maggio 2000, n. 1346, sono competenti ad aprire la procedura di insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore, presumendosi - per le società e le persone giuridiche - che il centro degli interessi coincida, fino a prova contraria, con il luogo in cui si trova la sede statutaria; ove, però, anteriormente alla presentazione dell'istanza di fallimento, la società abbia trasferito all'estero la propria sede legale, e tale trasferimento appaia fittizio, non avendo ad esso fatto seguito l'esercizio di attività economica nella nuova sede, né lo spostamento presso di essa del centro dell'attività direttiva, amministrativa ed organizzativa dell'impresa, permane la giurisdizione del Giudice del Paese originario (nel caso di specie italiano) a dichiarare il fallimento.

Il Regolamento CE individua il centro degli interessi principali quale presupposto necessario per il radicamento della competenza giurisdizionale, specificando che questo può non coincidere con la sede legale indicata nello Statuto della società. Nel caso di specie, invero, il trasferimento effettivo della sede non sarebbe mai avvenuto, come corroborato dagli elementi probatori acquisiti dal P.M. che hanno reso vano il tentativo di celare i debiti sorti negli anni di attività presso la sede di Torino.

La problematica verteva dunque sulla dimostrazione o meno dell'effettività del trasferimento e, di conseguenza, dello spostamento del centro degli interessi principali dell'impresa fuori dal territorio della Repubblica.
Si potrebbe peraltro sostenere che, per poter compiutamente determinare l'effettività o meno del trasferimento, gli elementi fattuali dovrebbero essere ricercati non tanto nel territorio della Repubblica, ove sarebbero acquisibili (e conseguentemente allegabili) solo a fronte di proficua attività di P.G., ma piuttosto nel Paese estero.

A prova della fittizietà del trasferimento potrebbe ritenersi sufficiente l'omessa iscrizione presso i registri commerciali delle società estere, ovvero, a maggior ragione, l'omesso deposito di bilanci di esercizio presso le competenti autorità.

Sulla questione della giurisdizione la Corte di Appello di Napoli (con sentenza 26 marzo 2010) ha ritenuto che, sebbene “una società sia stata cancellata dal registro delle imprese italiano ed iscritta in quello dello stato estero, abbia presentato un bilancio conforme alla legislazione di quello stato, abbia ivi effettuato alcuni pagamenti ed istituito un ufficio con personale dipendente (…) non si può affermare che al trasferimento all'estero della sede legale abbia fatto seguito l'esercizio di attività imprenditoriale ed il trasferimento del centro dell'attività direttiva, amministrativa ed organizzativa qualora la società non svolga nello stato di destinazione alcuna reale attività, la compagine sociale sia ancora completamente italiana, la società svolga di fatto buona parte della sua attività, la struttura allestita all'estero sia poco più che un ufficio di rappresentanza, con un unico dipendente part-time…”.

Quanto all'onere della prova, è il creditore istante a dover fornire al Tribunale elementi di prova tali da superare la presunzione “iuris tantum” della coincidenza tra sede legale ed effettiva. In capo all'impresa convenuta verte invece l'onere di dimostrare l'effettività del trasferimento allegando documenti idonei a dimostrare che il centro degli interessi principali sia stato effettivamente collocato nello Stato estero.

Le questioni aperte

La sentenza pone allo scoperto la deprecabile prassi del distorto utilizzo degli artt. 9 e 10 l. fall. realizzato mediante esterovestizione di società nazionali per sottrarle al fallimento in Italia e alle conseguenti responsabilità penali, prassi che può avere ancora un certo successo in proporzione inversa alla difficoltà che hanno i creditori a superare sul piano probatorio la presunzione di cui si è appena detto.

Conclusioni

La questione, di sempre maggiore attualità, necessita di approfondimenti istruttori molto spesso non compatibili con i procedimenti pre-fallimentari.
Sarebbe quindi opportuno un maggiore impegno probatorio da parte dei creditori istanti per agevolare l'attività decisoria del Tribunale, resa spesso ancor più difficile dall'impatto con le variabili normative degli stati esteri. Si può infatti ricordare, a mero titolo informativo, che alcuni di essi pongono diversi limiti alle società trasferitesi da altro Paese quando chiedono di iscriversi nei locali registri commerciali; così, ad esempio, accade in Gran Bretagna, ove, per acquisire il diritto di iscrizione, una società trasferita può dover procedere ad un “merger” con altra società di diritto britannico, permanendo nelle more in una sorta di situazione di apolidismo, che può anche avere, talora, carattere di strumentalità.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Si rinvia per brevità ai riferimenti contenuti in Palladino, La giurisdizione del giudice italiano in materia di dichiarazione di fallimento in caso di trasferimento della sede sociale del debitore all'estero, in questo stesso portale.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario