La modifica sostanziale della proposta, il sovraprezzo come “risorsa esterna” e le regole del suo impiego

Luigi Amerigo Bottai
22 Dicembre 2011

La modificazione della proposta di concordato preventivo deve essere qualificata come nuova proposta, da sottoporre al Tribunale per tutte le verifiche previste dagli artt. 160 e segg. l. fall., allorché diversi (rispetto all'originario piano concordatario) si presentino i mezzi attraverso i quali soddisfare i crediti o quando si prevedano pagamenti solo parziali dei creditori privilegiati e/o differente suddivisione in classi del ceto creditorio.
Massima

La modificazione della proposta di concordato preventivo deve essere qualificata come nuova proposta, da sottoporre al Tribunale per tutte le verifiche previste dagli artt. 160 e segg. l. fall., allorché diversi (rispetto all'originario piano concordatario) si presentino i mezzi attraverso i quali soddisfare i crediti o quando si prevedano pagamenti solo parziali dei creditori privilegiati e/o differente suddivisione in classi del ceto creditorio.

È inammissibile la proposta di concordato preventivo che contempli il pagamento non integrale dei crediti assistiti da privilegio generale mobiliare senza l'avallo di idonea perizia di stima del patrimonio debitore, per tale intendendosi l'intero compendio costituito da beni, crediti ed eventuali diritti immateriali.

Un trattamento derogatorio dell'ordine delle cause di prelazione sembra possibile solo mediante utilizzo di risorse finanziarie non provenienti dal patrimonio della debitrice.

Non possono considerarsi risorse “esterne” quelle rappresentanti il controvalore di componenti del patrimonio del debitore proponente destinate ad essere cedute a terzi, seppure qualificate dalla proposta come “quota di prezzo esuberante rispetto al valore di mercato” del bene o credito ceduto.

Il caso

Una società, dopo l'iniziale ammissione alla procedura di concordato preventivo (sulla base di dati che il Commissario svela poi essere erronei, accertando minore consistenza dell'attivo e maggiore ammontare del passivo), chiede il rinvio dell'adunanza dei creditori e riformula integralmente la proposta. Nella nuova e diversa versione – dichiarata inammissibile dal Collegio giudicante - prevede la soddisfazione della parte dei crediti privilegiati degradati al chirografo (per asserita incapienza dei beni e dei crediti sui quali grava la prelazione, non asseverata specificamente con perizia ex art. 160, comma 2, l. fall.) e dei chirografari ab origine mediante la loro suddivisione in sette classi (articolate sulla falsariga dell'ordine dei privilegi, di cui agli artt. 2777 e segg. c.c. , e proporzionalmente trattate secondo percentuali decrescenti), destinatarie del prezzo del ramo d'azienda ceduto comprensivo di apporti ulteriori offerti dal terzo - sempre a titolo di prezzo - rispetto all'ipotizzato valore di mercato dei cespiti. Tali risorse, infatti, siccome derivanti da operazioni di liquidazione dei beni facenti parte del patrimonio della proponente, non costituiscono finanza esterna liberamente impiegabile e devono osservare le regole di cui all'art. 160, comma 2, l. fall.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il Tribunale, come emerge dalle massime sopra riportate, affronta due aspetti essenziali della disciplina del concordato preventivo: anzitutto la modificabilità della proposta dopo l'apertura della procedura (rivelandosi il piano non fattibile perché fondato su dati fallaci) e, poi, il soddisfacimento parziale dei crediti privilegiati mediante l'utilizzo di risorse - illegittimamente considerate “esterne” - rivenienti dalla cessione dei beni artificiosamente sopravvalutati.
In virtù del disposto dell'art. 175, comma 2, l. fall., introdotto dal D.Lgs. n. 169/2007, il debitore può modificare la domanda di concordato fino a che non abbiano inizio le operazioni di voto in sede di adunanza dei creditori; tuttavia, se detta modificazione implichi il passaggio da un tipo di concordato ad un altro (ad es., da conservativo/garantito a liquidatorio, con conseguente necessità di nuova determinazione del legale rappresentante ex artt. 161 e 152 cpv., su cui v. Trib. Roma, decr. 29.7.2010, in Fallimento, 2011, 225) ovvero il mutamento qualitativo e quantitativo dell'offerta ai creditori (come nella fattispecie, in cui “parzialmente diversi erano i mezzi attraverso i quali soddisfare il fabbisogno concordatario” e il pagamento dei crediti privilegiati non era più integrale), si rende indispensabile e pregiudiziale, rispetto alla votazione, revocare la precedente ammissione e procedere ad un nuovo vaglio di ammissibilità della proposta da parte del Tribunale. Nel ritorno alla fase di apertura del procedimento il Collegio giudicante ha correttamente individuato un profilo di inammissibilità insuperabile proprio nel trattamento dei crediti prelatizi e nella loro degradazione al chirografo senza l'osservanza degli adempimenti posti dalla legge (art. 160, comma 2, l. fall.) a garanzia di detto ceto creditorio.
Il controllo dei giudici ha rilevato, invero, il difetto di idonea perizia di stima dell'intero patrimonio del debitore – sul quale si esercitano i crediti aventi privilegio generale mobiliare, a termini degli artt. 2746 e 2776 c.c. -, che potesse giustificare la falcidia operata ai loro danni. Poiché il soddisfacimento non integrale di tali creditori (come di quelli ipotecari e pignoratizi) è consentito unicamente se e nella misura in cui la relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti stabiliti dall'art. 67, comma 3, lett. d), l. fall. attesti che il valore indicato nel piano di tutti i beni o diritti sui quali grava la prelazione risulti non inferiore a quello ricavabile dagli stessi in caso di liquidazione - senza possibilità di alterare l'ordine dei privilegi come tassativamente stabilito dal medesimo art. 160 cpv. -, nel caso in commento è mancata la valutazione (giurata) dei crediti vantati dalla proponente.
Di talché il valore dei “mezzi propri” ceduti dalla debitrice appariva sufficiente a soddisfare soltanto i crediti prededucibili e parte di quelli retributivi. La differenza necessaria a coprire il residuo fabbisogno concordatario era allora costituita da risorse in denaro messe a disposizione dall'affittuaria-acquirente dell'azienda sotto forma di “maggior corrispettivo” per l'acquisto del compendio, imputabile in parte al “teorico valore di avviamento (in concreto insussistente)” e in parte ad “apporto spontaneo, di natura gratuita, eseguito ai soli fini e nell'ottica dell'omologazione” del concordato.
Alle altre classi di crediti considerati chirografari, ma sorti come privilegiati, venivano dunque offerti tali apporti aggiuntivi secondo percentuali decrescenti.
Il Tribunale, sulla scorta di un analogo precedente (Trib. Milano, decr. 26.7.2011, G. S.p.A., est. Macchi, inedito), non ha condiviso siffatta impostazione della proposta, chiarendo come oggetto delle obbligazioni assunte dall'affittuaria fosse l'acquisto dell'azienda della debitrice e come, quindi, il corrispettivo offerto non potesse che qualificarsi in termini di prezzo, costituendo il controvalore dei beni ceduti dalla proponente-debitrice. Né ha dato rilievo alle motivazioni addotte dall'affittuaria nell'offerta irrevocabile di acquisto, ritenendole confinate nella sfera soggettiva della parte, ma non in grado di mutare la natura giuridica e la causa (di scambio) dell'operazione con i relativi effetti.
Così configurati gli apporti ulteriori, sulla cui base erano state formate le varie classi di creditori (degradati), restavano insoddisfatti alcuni tipi di crediti sorti come privilegiati, in violazione dell'ordine di graduazione previsto dalla legge. E ciò ha determinato l'inammissibilità della domanda di ammissione al concordato.

Osservazioni

Per quanto concerne la questione affrontata nella prima massima, attinente alla modifica della proposta dopo l'apertura della procedura e ai conseguenti effetti procedurali, va ribadito come soltanto con il c.d. Correttivo del 2007 (integrativo dell'art. 175, nel cui nuovo secondo comma è stata inserita la facoltà di mutare la domanda di concordato fino all'inizio delle operazioni di voto) siano stati superati i principali dubbi interpretativi dibattuti nel previgente regime circa la possibilità, il contenuto e il termine ultimo delle modifiche alla proposta concordataria. Ma alcuni difetti di coordinamento con la rinnovata disciplina della domanda di concordato - priva, come noto, di rigidi schemi prefissati - e con quella degli effetti dell'apertura (artt. 167-169) sono ancora esistenti. Senza poter qui ripercorrere le diverse posizioni espresse in passato, vale sottolineare anzitutto l'odierna ammissibilità di modificazioni peggiorative della proposta [prima la giurisprudenza prevalente riteneva inammissibili modifiche in pejus (v. Trib. Roma, 2.2.1994, in Fallimento, 1994, 648)], persino dopo l'ammissione alla procedura: per il giudice si tratterà di qualificare tali modifiche (anche migliorative) come meramente quantitative – relative, cioè, all'incremento del passivo o alla decurtazione del valore dell'attivo e, quindi, alla percentuale offerta -, rimanendo nel “tipo” o genus originario della domanda, ovvero come prevalentemente qualitative, ossia afferenti la struttura del piano o della proposta.
Nella prima ipotesi non sembra necessario un nuovo pronunciamento del tribunale in ordine all'ammissibilità, in quanto le componenti del patrimonio ceduto sono state già valutate dal Collegio e la loro diversa stima o allocazione (ad es. la previsione dell'intervento di un assuntore rispetto alla semplice cessione al miglior offerente) non influisce sul giudizio preventivo di legittimità, riguardando la convenienza nell'ambito di un concordato rimasto liquidatorio e, dunque, implicando solo una nuova relazione del commissario; nel secondo genere di modifiche (strutturali), invece, il nuovo vaglio giudiziale si impone, proprio per la differente composizione qualitativa della proposta e presumibilmente del piano sottostante (il passaggio, ad es., dalla fattispecie di trasformazione dei crediti in partecipazioni societarie a quella di cessio bonorum, soluzioni pur contemplate dalla medesima lett. a dell'art. 160, comma 1; oppure la risoluzione e la stipula di nuovi contratti preliminari di cessione a condizioni non omogenee). Nella fattispecie in commento la nuova proposta contemplava a) la formazione di sette classi di creditori (in luogo delle tre iniziali) e soprattutto b) il pagamento non integrale di gran parte dei crediti privilegiati: circostanze che obbligavano il tribunale a verificare le condizioni di ammissibilità ai sensi degli artt. 160-162.
Questione rilevante (ma che esula dal tema in discorso) è, infine, quella relativa agli effetti già prodottisi sotto il vigore del primo decreto di ammissibilità, ora revocato, secondo la disciplina degli artt. 168 e 169 l. fall.
In ordine alle problematiche sollevate dalle ulteriori massime in epigrafe, giova rammentare il principio generale della non conformabilità dell'obbligazione assistita da pegno, ipoteca o privilegio se non alle condizioni espressamente sancite dalla legge (nell'art. 160, comma 2) e con gli effetti dalla stessa previsti (artt. 160 cpv. e 177, commi 2 e 3), configurandosi le cause legittime di prelazione come un limite di ordine pubblico a garanzia delle regole del mercato, dei soggetti individuati dalla legge come meritevoli di speciale tutela e dell'efficacia delle garanzie (così Trib. Messina, decr. 18.2.2009, Fall., 2010, 79): trattasi di requisiti di legittimità formale della proposta, valutabili dal tribunale in sede di ammissione.
Strettamente correlato al suddetto principio è poi quello, contenuto nella medesima disposizione (art. 160 cpv.) e riferito all'ipotesi di suddivisione in classi del ceto creditorio, che vieta nella distribuzione dell'attivo l'alterazione dell'ordine dei privilegi. La questione non si porrebbe neppure, ove s'intendesse correttamente l'imperativo sopra descritto: le risorse derivanti dalla liquidazione vengono destinate al soddisfacimento integrale di ciascuna categoria di crediti dotati di prelazione (sul singolo bene ovvero sul patrimonio mobiliare), secondo la graduazione prestabilita dal codice civile e nei limiti del valore attribuito - con perizia giurata, se inferiore all'importo del credito - ad ogni singolo cespite, prima di poter passare a quella successiva.
Nella prassi, come pure in dottrina e giurisprudenza, si afferma peraltro un'importante deroga a tale principio nell'ipotesi in cui venga utilizzata la c.d. “nuova finanza”, la quale, non provenendo dal patrimonio del debitore, si considera liberamente disponibile nei concordati preventivo e successivo (altrimenti si finirebbe col tutelare un diritto che i creditori privilegiati non hanno: quello di soddisfarsi in via preferenziale anche su risorse economiche estranee all'attivo).
L'impiego di dette risorse esterne merita tuttavia un'ulteriore riflessione. Esso riguarda somme di soggetti estranei, i quali, ancorché intendano aiutare il proponente il concordato, lo fanno nell'ambito e all'interno di uno degli schemi consentiti dall'art. 160, avvalendosi della proposta del debitore; in tal guisa gli apporti in discorso (e a fortiori quando si tratti di surplus concordatario prodotto dal going concern value, i.e. dai flussi dei ricavi futuri previsti nel piano) dovrebbero restare assoggettati alle norme che disciplinano la domanda e il procedimento di concordato.
Le somme in cui si concretizzano entrano nel piano concordatario e vengono distribuite in favore di una o più classi in base alla proposta di concordato redatta con l'osservanza dell'art. 160 e sottoposta a deliberazione dei creditori. Non sono pagamenti segreti o extra-procedurali, i quali soltanto potrebbero sfuggire alle regole conformative della proposta.
Del resto, come è stato acutamente osservato, “anche le regole di impiego della finanza esterna dipendono dal sistema della responsabilità patrimoniale” (Di Marzio, Il diritto negoziale della crisi d'impresa, Giuffrè, 2011, 243), in quanto il principio derivante dall'art. 2741 c.c., tradotto nel concordato nel divieto di sovvertire l'ordine dei privilegi (art. 160 cpv.), si giustifica proprio con riferimento all'utilizzo di risorse esogene: se, infatti, per quest'ultima disposizione i crediti prelatizi devono essere soddisfatti almeno fino al valore di realizzo (stimato) dei beni su cui incidono i diritti di preferenza, risulterà ipso iure rispettata la graduazione ex lege delle cause di prelazione. Le risorse provenienti da terzi, allora, potranno soltanto mitigare tale effetto, consentendo un'applicazione - non del tutto libera, ma - meno rigida del predetto divieto; purché comunque il trattamento riservato al creditore garantito di primo grado rimanga superiore a quello previsto per il privilegio inferiore e la soddisfazione di quest'ultimo sia maggiore di quella dei chirografari.
Da quanto illustrato si deduce come pure le risorse de quibus debbano rispettare l'obbligo di non alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione, laddove si prevedano più classi di creditori.
Proprio ciò che non è accaduto nel caso in commento, in cui l'apporto aggiuntivo esterno, che aveva assunto la forma di deliberato “sovraprezzo” per l'acquisto dell'azienda, è stato destinato (senza perizia giurata) al soddisfacimento parziale, e in misura decrescente, delle varie classi del ceto creditorio - in realtà privilegiato -, incorrendo nella statuizione di illegittimità del Tribunale rispetto al chiaro dettato normativo.
La qualificazione degli apporti aggiuntivi nella fattispecie potrebbe, a prima vista, sembrare meramente terminologica; sarebbe bastato formulare separatamente l'offerta (parte come prezzo e parte come nuova finanza) per utilizzare liberamente (secondo l'opinione dominante) le risorse finanziarie recate dal terzo. Ma vi è un'altra ragione sostanziale, non evidenziata dal Collegio, che rende non corretta la proposta di acquisto con prezzo maggiorato nel caso che ci occupa: così operando l'acquirente si scarica come costo nel proprio conto economico il maggior prezzo pagato e, poi, mette all'attivo un cespite che, in base alle cifre fornite, vale circa un terzo.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Una completa e aggiornata disamina della dottrina e giurisprudenza sul tema della modificabilità della proposta concordataria (art. 175 l. fall., prima massima) si trova in Filocamo, La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico (a cura di Ferro), Padova, 2011, sub art. 175, 1988. Tra le pronunce più recenti in argomento, sotto i vari profili sopra illustrati, cfr. Corte App. Torino, 14.7.2010, in Unijuris.it; Trib. Milano, 16.7.2010, in Il Caso.it; Trib. Roma, 29.7.2010, in Fall., 2011, 225; Trib. Mantova, 9.12.2010, e 5.3.2009, Trib. Ravenna, 22.12.2010, Trib. Vicenza, 6.7.2009, tutte in Il Caso.it; Trib. Terni, 24.6.2010, in Fall., 2010, 1337; Trib. Ancona, 14.12.2009, in Osservatorio OCI, 2010; Trib. Pescara, 16.10.2008, in Fall., 2009, 1212; Trib. Messina, 18.2.2009, in Fall., 2010, 79 ss.. In dottrina, cfr. Censoni, in AA.VV., Il nuovo diritto fallimentare. Commentario sistematico (dir. da Jorio-Fabiani), Bologna, 2010, 1018; Vacchiano, Revoca e modifica della proposta di concordato preventivo, in Fall., 2011, 70; Genoviva, Questioni controverse in tema di concordato preventivo, in Fall., 2009, 1220; Galletti, La revoca dell'ammissione al concordato preventivo, in Fall, 2009, I, 750; ed anche Demarchi-Franconiero, Rassegna di giurisprudenza - Il concordato preventivo, in Giur. Comm., 2009, fasc. 4.
Circa l'atteggiamento della giurisprudenza riguardo all'immissione e distribuzione di risorse esterne aggiuntive a quelle rivenienti dal patrimonio del debitore, v. i commenti di Ruggiero (a cura di) Concordato fallimentare, in AA.VV. Concordato preventivo, concordato fallimentare e accordi di ristrutturazione dei debiti (a cura di Ferro-Ruggiero-Di Carlo), Torino, 2009, 327; , Norelli, La proposta di concordato, Relazione tenuta all'incontro di studio organizzato dal CSM in Roma il 5 e 7 luglio 2008, paragr. 6.5., reperibile in Cosmag.it; Di Marzio, op. cit., Milano, 2011, 240; Jachia, Il concordato preventivo e la sua proposta, in AA.VV. Fallimento e altre procedure concorsuali, dir. da Fauceglia e Panzani, vol. 3, Torino, 2009, 1609; Nardecchia, Le classi e la tutela dei creditori nel concordato preventivo, in Giur. Comm., 2011, I, 80.
Le disposizioni normative interessate dalla fattispecie sopra esaminata sono gli artt. 160, 161, 162 e 175 l. fall..

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