Gli effetti costitutivi della sentenza revocatoria in relazione alla condanna alle restituzioni e ai pagamenti

Roberto Amatore
10 Gennaio 2012

Ai sensi del novellato art. 70, commi 2 e 3, l. fall., una volta che l'accipiens convenuto in revocatoria abbia restituito alla massa le somme ricevute, può disporsi l'ammissione al passivo del suo credito, inefficacemente estinto dal pagamento revocato, con la clausola di riserva, quale credito condizionale, in attesa della definitività della sentenza di revoca.
Massima

Ai sensi del novellato art. 70, commi 2 e 3, l. fall., una volta che l'accipiens convenuto in revocatoria abbia restituito alla massa le somme ricevute, può disporsi l'ammissione al passivo del suo credito, inefficacemente estinto dal pagamento revocato, con la clausola di riserva, quale credito condizionale, in attesa della definitività della sentenza di revoca.

Il caso

Una società presentava innanzi al Tribunale di Milano ricorso di insinuazione tardiva ex art. 101 l. fall. per l'ammissione al passivo fallimentare di quanto restituito al fallimento ex art. 67 l. fall. sulla base di una sentenza emessa dal predetto Tribunale, così come confermata in grado di appello, sentenza che condannava la detta società alla restituzione in favore della massa di una somma pari ad euro 403.467,64. Il curatore si opponeva alla domanda, in quanto la sentenza che aveva revocato, ex art. 67 l. fall., i pagamenti ricevuti dalla società creditrice, condannando quest'ultima a restituire le somme riscosse, non era ancora definitiva, avendo l'accipiens proposto ricorso per cassazione. Ad avviso della curatela, tutti gli effetti della predetta sentenza, compreso quello previsto dall'art. 70 l. fall., presuppongono, avendo essa natura costitutiva, il suo passaggio in giudicato.

Le questioni giuridiche

Il secondo comma dell'art. 70 l. fall. consente al convenuto in revocatoria, che sia risultato soccombente, di insinuarsi al passivo per il suo eventuale credito.
È stato affermato in dottrina e giurisprudenza che detto credito non nasce dalla sentenza di revoca, ma dalla concreta restituzione del bene oggetto dell'atto revocato o del pagamento oggetto della domanda di revoca ( Maffei-Alberti, Il danno nella revocatoria, p. 166 e ss. ; Trib. Roma 5.12.2001, in Fall. 2002, 789 ; Trib. Torre Annunziata 22.6.1999, in Fall. 2000, 109). Si è altresì precisato che l'ammissione al passivo del credito di restituzione non è automatica, ma deve essere richiesta dall'interessato (Trib. Milano 8.3.1993, in Fall. 1993, II, 668).
Peraltro, la giurisprudenza ha escluso che il soccombente in revocatoria possa insinuarsi al passivo per le spese del giudizio e per gli interessi (Trib. Perugia 30.4.1997, in Fall. 1997, 1039 ; Trib. Napoli 18.3.1996, in Fall. 1996, 708 ).
Il provvedimento in commento si segnala anche per la sua chiarezza espositiva in ordine a due problematiche interpretative collegate, da un lato, alla corretta esegesi dell'art. 70 in relazione alla necessità o meno che la sentenza - emessa ai sensi dell'art. 67 l. fall. e posta alla base dell'obbligo restitutorio o di pagamento che consente la successiva ammissione al passivo fallimentare dell'accipiens convenuto in revocatoria - sia definitiva o meno, e, dall'altro, alla corretta valutazione della natura costitutiva della sentenza di revoca ex art. 67 l. fall. e alle conseguenze sui capi di condanna restitutoria discendenti dalla dichiarazione di inefficacia dell'atto impugnato.
Sotto il primo profilo, appare del tutto condivisibile l'affermazione contenuta nella sentenza in commento, secondo cui sarebbe iniquo immaginare che l'accipiens sia immediatamente obbligato, in ragione della provvisoria esecutorietà della statuizione di condanna alle restituzioni ex art. 67 l. fall., a restituire quanto ricevuto in pagamento e debba invece attendere, per poter far accertare il suo diritto di partecipare al concorso, l'irretrattabilità della statuizione costitutiva, così rischiando altresì di dover patire un trattamento deteriore rispetto a quello riservato agli altri creditori nell' ipotesi in cui, ad esempio, nelle more la procedura fallimentare si chiuda per effetto di concordato fallimentare, qualora il proponente, avvalendosi della possibilità riconosciutagli dall'art. 124 l. fall., limiti gli impegni assunti ai soli creditori ammessi al passivo al tempo della proposta.
Del resto, va aggiunto che il problema interpretativo qui in esame non può prescindere dalla necessaria considerazione che, accedendosi ad un'esegesi letterale dell'art. 70, comma 2, l. fall., tale norma non richiede affatto, quale condizione determinate il diritto di ammissione al passivo fallimentare, che la sentenza di revoca, in base alla quale sorgerebbe il diritto creditorio azionato nell'istanza di ammissione e conseguente alle restituzioni operate dall'accipiens, sia dotata della caratteristica della definitività ed irretrattabilità.
Venendo ora al secondo profilo sopra solo tratteggiato, giova ricordare che l'orientamento giurisprudenziale tradizionale e maggioritario è nel senso che la sentenza costitutiva produce la modificazione della situazione giuridica solo con il suo passaggio in giudicato (così ha ribadito, da ultimo, il recente arresto giurisprudenziale rappresentato da Cass. S.U. n. 4059/2010 in tema di sentenza costitutiva di accoglimento di una domanda ex art. 2932 c.c. relativa ad un contratto preliminare di compravendita ).
Tuttavia, ciò che è controverso riguarda l'ulteriore questione se debba, in ogni caso, escludersi che, nelle more del giudizio di impugnazione, sia ammissibile l'anticipazione in via provvisoria, ai fini esecutivi, degli effetti discendenti dalle statuizioni costitutive, e cioè, detto altrimenti, se sia ammissibile il compimento di atti di esecuzione provvisoria della sentenza nei casi nei quali l'adeguamento della realtà materiale al decisum, che tali atti sono destinati a produrre, sia reso necessario dalla pronuncia di condanna che accede all'accertamento costitutivo.
Sul punto, è stato efficacemente osservato che, se è pur vero che la sentenza costitutiva è in sè insuscettibile di esecuzione in senso stretto, tuttavia quest'ultimo rappresenta un limite intrinseco, non una preclusione di fonte normativa afferente alla provvisoria esecutività di ogni sentenza costitutiva (Cass. n. 16737/2011).
Una preclusione siffatta, invero, non si rinviene neppure nel disposto degli artt. 2908 e 2909 c.c., giacché la prima norma fa riferimento alla tutelabilità in sede giurisdizionale delle azioni costitutive e la seconda stabilisce per la sentenza costitutiva, come per le altre sentenze in generale, l'ambito di efficacia derivante dal giudicato.
Di conseguenza, secondo la soluzione prospettata dalla giurisprudenza di legittimità (v. la sopra richiamata sentenza n. 4059/2010 delle Sezioni Unite), la possibilità di anticipare l'esecuzione delle statuizioni condannatorie contenute nella sentenza costitutiva deve essere riconosciuta, in concreto, di volta in volta, a seconda del tipo di rapporto tra l'effetto accessivo condannatorio da anticipare e l'effetto costitutivo producibile solo con il giudicato.
L'adeguamento della realtà sostanziale non può quindi ritenersi precluso in generale, in relazione al tipo di sentenza costitutiva, dalla circostanza che l'effetto costitutivo non si sia ancora prodotto, dovendosi piuttosto distinguere i casi nei quali le statuizioni condannatorie siano meramente dipendenti da quell'effetto, dai casi nei quali, invece, la statuizione condannatoria sia legata all'effetto costitutivo da un vero e proprio nesso sinallagmatico, ponendosi come parte - talvolta "corrispettiva"- del nuovo rapporto oggetto della domanda costitutiva.
Va pertanto precisato, conformemente all'orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, che il rapporto di stretta sinallagmaticità che lega, nell'ipotesi di sentenza sostitutiva del consenso nel contratto definitivo non concluso ex art. 2932 c.c., il pagamento del prezzo al trasferimento del diritto (il cui effetto si realizza solo con il giudicato) - rapporto che non consentirebbe al venditore di percepire il prezzo prima del trasferimento della proprietà - impedisce di attribuire la provvisoria esecutività al capo di condanna contenuto nell'indicata sentenza emessa ai sensi del predetto art. 2932.
Diversamente, nelle altre ipotesi in cui, invece, l'anticipazione degli effetti esecutivi si mostra compatibile con la produzione dell'effetto costitutivo in un momento temporale successivo, non è individuabile nell'ordinamento alcuna preclusione alla formazione del titolo esecutivo indipendentemente dalla cosa giudicata sull'esistenza del diritto.

Osservazioni

Deve osservarsi che, alla luce dei sopra richiamati condivisibili principii di matrice giurisprudenziale, nella fattispecie in esame il nesso tra la statuizione condannatoria e l'accertamento costitutivo si presenta come di mera dipendenza, atteso che la condanna alla restituzione delle somme ricevute con gli atti solutori dichiarati inefficaci dipende dall'accertamento circa la sussistenza, o non, del titolo in base al quale tali somme sono state acquisite. Pertanto tale accertamento non si presenta in un rapporto di stretta sinallagmaticità tra i due capi, come invece accade nella diversa ipotesi della sentenza costitutiva, sostitutiva del consenso non prestato, intervenuta ai sensi dell'art. 2932 c.c., con la necessaria conseguenza che, nella fattispecie in esame, l'anticipazione degli effetti esecutivi di tale capo condannatorio - cioè l'adeguamento della realtà materiale al decisum - non risulta incompatibile con la produzione dell'effetto costitutivo nel momento successivo del passaggio in giudicato.
Peraltro, deve anche essere precisato che tale anticipazione degli effetti esecutivi dei capi di condanna della sentenza revocatoria appare del tutto conciliabile con la disciplina del fallimento, che consente un efficace contemperamento, pur nei limiti della concorsualità, delle rispettive esigenze di tutela sia del credito restitutorio della massa verso l'accipiens, sia del credito di quest'ultimo verso il fallito, estinto dall'atto dichiarato inefficace nei confronti della massa (così, anche la sopra citata Cass. 16737/2011).
Sotto il primo profilo, le somme che l'accipiens restituisca alla curatela in ottemperanza, spontanea o coatta, alla sentenza di primo o secondo grado non ancora passata in giudicato non sono distribuibili, atteso il disposto dell'art. 113, ultimo comma, l. fall., introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006, secondo il quale le stesse devono essere trattenute e depositate nei modi stabiliti dal giudice delegato.
Sotto il secondo profilo, va ulteriormente ricordato che sia l'art. 71 l. fall. (abrogato dal D.Lgs. n. 5 del 2006), sia l'art. 70, commi 2 e 3, l. fall. (nel testo introdotto dal D.L. n. 35 del 2005, convertito in L. n. 80 del 2005), laddove prevedono, dopo che l'accipiens abbia restituito alla massa le somme ricevute, l'ammissione al passivo del suo credito inefficacemente estinto dall'atto revocato (o comunque del credito d'importo corrispondente a quanto restituito), non contengono alcun riferimento alla condizione che tale restituzione sia avvenuta in forza di sentenza definitiva, con la conseguenza che tale previsione normativa costituisce ulteriore conferma della validità della tesi esegetica che afferma l'insussistenza, nell'attuale sistema normativo, di una preclusione all'anticipata esecuzione della condanna restitutoria rispetto all'irretrattabilità, inerente al giudicato, della statuizione costitutiva.
Non appare poi criticabile l'affermazione secondo cui, sino a quando la sentenza di revoca non sia passata in giudicato, il soggetto soccombente in revocatoria che abbia restituito alla curatela il bene oggetto dell'atto revocato può essere ammesso al passivo in via condizionata (cfr. Trentini, in Fall. 2007, 80 ).
Del resto, proprio l'accantonamento, imposto dal già richiamato art. 113, ultimo comma, l. fall. della somma che l'accipiens abbia restituito in forza della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado implica specularmente, per identità di ratio, l'ammissione al passivo con riserva del credito condizionale dell'accipiens la cui estinzione è stata dalla stessa sentenza di revoca ritenuta inefficace nei confronti della massa. Si tratta infatti dei due effetti della sentenza che definisce il giudizio di revocatoria, i quali sono indubbiamente tra di loro interdipendenti (pur non essendo in rapporto di sinallagmaticità), e dunque devono considerarsi sottoposti, ai fini del concorso, alla medesima condizione costituita dal passaggio in giudicato della sentenza di revocatoria ex art. 67 l. fall. (così anche la già citata Cass. 16737/2011).

Conclusioni

La sentenza in commento risulta, in definitiva, condivisibile e conforme agli insegnamenti forniti dagli arresti giurisprudenziali sopra ricordati.
Non appare d'altronde dubitabile che, per un verso, l'art. 70, commi 2 e 3, l. fall., nel prevedere che il soccombente in revocatoria debba restituire alla massa le somme ricevute acquisendo conseguentemente il diritto all'ammissione al passivo per il corrispondente importo, non contiene alcun riferimento alla condizione che tale restituzione sia avvenuta in forza di sentenza definitiva, e, per altro, che l'anticipazione in via provvisoria, ai fini esecutivi, degli effetti discendenti da statuizioni condannatorie contenute in una sentenza costitutiva deve essere consentita allorquando la statuizione condannatoria sia meramente dipendente dall'effetto costitutivo.
Appare altresì corretta e condivisibile la statuizione in ordine agli interessi e alle spese legali.
Sul punto, è stato già sopra precisato che la giurisprudenza ha escluso che il soccombente in revocatoria possa insinuarsi al passivo anche per spese del giudizio e per gli interessi. Ed invero, gli interessi hanno avuto la funzione di remunerare la massa per non aver potuto trarre utilità dalla somma pagata dalla fallita all'accipiens in violazione della par condicio creditorum nel tempo intercorso tra la data della domanda e l'effettiva restituzione (e di cui, invece, l'accipiens ha potuto, nel medesimo arco temporale, godere), mentre le spese legali devono essere poste a carico della parte istante in quanto soccombente nel giudizio che la curatela ha dovuto intraprendere per far valere le proprie ragioni revocatorie ex art. 67 l. fall.
Va anche aggiunto, sul punto, che la giurisprudenza, nell'applicare l'art. 112 l. fall., ha talora statuito che il soccombente in revocatoria insinuatosi al passivo tardivamente dev'essere ritenuto responsabile della tardività della sua istanza per il solo fatto di aver resistito nel giudizio di revoca (Trib. Milano 19.11.1998, in Fall. 1999, 343 ; Trib. Udine 25.11.1980, in Dir. fall. 1981, II, 96 ).

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